Dall’edizione dell’ 11 Aprile 2020 pag 5
Omelia del Vescovo Pietro in occasione della celebrazione del Venerdì Santo
Passione di nostro Signore
Evento trasmesso in streaming attraverso Nuvola TV e Facebook
Anna di Meglio
Il silenzio, la sobrietà, la compostezza che caratterizzano da sempre la celebrazione del Venerdì Santo, Passione di nostro Signore, sono stati senza dubbio amplificati oltremisura in questa singolare circostanza che ci troviamo a vivere. La diretta dalla cattedrale, mostra in tutta la sua evidenza la desolazione dei banchi vuoti mentre il piccolo corteo che accompagna il Vescovo percorre la navata centrale per arrivare all’altare. E ci viene da pensare alla desolazione e alla solitudine nella quale Gesù è morto, senza nessun conforto, come capita ai malati di coronavirus che, proprio in questo lungo e difficile periodo, affrontano la morte nella solitudine, avendo a loro fianco solo volti anonimi coperti da mascherine. Ma il volto e lo sguardo di Mons. Lagnese nell’apprestarsi a pronunciare la sua omelia non è mesto, Padre Pietro non ha una faccia da funerale. Egli non indugia nella tristezza e ci regala un altro tassello prezioso nel mosaico di questa Settimana Santa unica ed eccezionale, occasione per noi di riflessione e preghiera. Come sempre egli va diritto al punto, al nocciolo della questione, non fa giri di parole e condensa il suo pensiero in una domanda: “Perché siamo qui oggi?”. Saremmo tentati di rispondere che nel Venerdì Santo piangiamo la morte del Maestro. Ma la nostra risposta è subito smentita. Nella su azione didattica ed esplicativa, il nostro Pastore indica al suo gregge la via da seguire, affinché le sue pecore non si perdano, vagando inconsapevoli in lande di lacrime e flagellazioni, dove pianto e sofferenza sembrano fare a gara con la sofferenza di Gesù. Il sacrificio di Cristo sulla croce ci ha salvati e non è il momento di flagellarci, “non siamo qui per piangere, siamo qui per metterci sotto la croce”. Dunque sotto la croce, non sopra la croce, questo lo ha già fatto Gesù per noi.
Egli ha donato la sua vita per noi e la strada che a noi compete percorrere è quella indicata nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei (Eb 4, 14 – 16) “Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia”. Questo è il senso di questa liturgia: siamo qui per metterci sotto la croce, trono di grazia e misericordia – ci ha detto Mons. Lagnese – precisando come anche il Vangelo di Giovanni, previsto dalla liturgia di quest’anno, vada proprio in questa direzione. Il Vangelo di Giovanni infatti, confrontato con i sinottici, non indugia sui particolari della sofferenza di Gesù. La sua passione è vista come evento di salvezza, persino il Getsemani e il luogo di sepoltura di Gesù vengono denominati con il termine giardino, cioè come luogo di vita, di fioritura e non di morte. E ancora: solo in Giovanni si parla di acqua unita a sangue che esce dal costato di Gesù, acqua di vita, come portatrice di vita è la morte di Cristo. Nel bellissimo IV Carme del servo sofferente, prima lettura (Is 52,13 -53,12), si legge “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe siamo stati guariti.”, questi sono i sentimenti che devono animarci, poiché Cristo muore per donarci la vita. Mons. Lagnese prosegue con una delicata immagine: siamo come api che succhiano il dolce nettare che esce dalle ferite di Cristo, nettare che ci nutre e ci rende come Lui capaci di amare. Per quanto riguarda lo spinoso tema del tradimento, toccato anche nel Vangelo di Giovanni, riferito non solo a Giuda, ma soprattutto a Pietro, ci viene data una particolare chiave di lettura: Pietro tradisce Gesù rinnegandolo per ben tre volte. Lo fa per salvarsi la pelle, ma questo lo copre di disonore. Quando infine il gallo canta a suggellare la profezia fatta su di lui dal Maestro poco prima, quel canto risuona come uno schiaffo, che serve a Pietro per svegliarsi dal torpore, dal sonno della ragione e del cuore nel quale egli era caduto. Questo accade anche a noi, che ci addormentiamo in una fede tiepida e senza slancio, e abbiamo bisogno di uno scossone per riprendere la giusta via. È quello il momento per fare un esame di coscienza e riprovare a ricominciare. Forse lo scossone che ci serve è proprio questo tempo che ci è offerto dalla pandemia, tempo per ripensare alla nostra vita, come era prima, come è adesso e come potrebbe essere dopo. Mons. Lagnese conclude con l’auspicio di poter ricominciare. “Signore, voglio cominciare una vita nuova, voglio rimettermi ad amare: che sia questo il proposito di ognuno di noi, mentre ci mettiamo come Maria sotto la croce per accogliere la vita che ci viene dal sangue e dall’acqua che sgorga dal costato di Cristo.”