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Joy, dalla tratta che umilia alla rotta verso la Gioia

Nell’omelia tenuta domenica 14 febbraio in cattedrale, Mons. Pietro Lagnese, Vescovo di Caserta e Amministratore Apostolico della nostra Diocesi, suggerisce una riflessione sul contagio e sulla indignazione. La parabola del lebbroso ricorda molto l’odissea che oggi viviamo a vari livelli, con una malattia altrettanto letalmente contagiosa, ricorda l’isolamento, le precauzioni, i guanti, la mascherina e la distanza. La debita distanza, precauzionale, imposta, ricercata e per qualcuno, finalmente autorizzata. Un’attitudine che diventa legge, quella dell’isolamento e della non frequentazione. Poi mette in luce il termine “indignazione” perché la pandemia ci ha, per alcuni versi, autorizzati a non indignarci nemmeno più, presi e sopraffatti come siamo, dalla paura del contagio. Siamo chiusi in casa, ma anche chiusi dentro, senza volgere nemmeno un occhio dalle parti del mondo. Occhi bassi, che non incrocino, per carità, sofferenze altrui. Padre Pietro poi si lascia scappare una sofferenza, un libro che non riesce nemmeno a leggere, se non a piccole dosi. Una confidenza su una storia di quelle che non si conoscono, di quelle che si fa di tutto per non conoscere. Una storia come tante, che oltre alla protagonista parla di una società non solamente distratta ma addirittura ingiusta, egoista, menzognera, il cui sport preferito, in nome di una non meglio specificata sopravvivenza, è quello di calpestare i deboli, i poveri, gli ultimi, gli emarginati, i soli. A livelli tali che oggi nulla più ci indigna. La storia è quella di Joy, una donna nigeriana che con l’inganno è stata convinta a salpare alla volta dell’Italia per un posto di lavoro mediante il quale poter inviare soldi alla famiglia e mantenerla dignitosamente, avendo perso di recente il padre.

Una storia brutta, padre Pietro lo dice con “Faccio fatica ad andare avanti: ne leggo alcune pagine, poi mi debbo fermare, perché è troppo, troppo brutta quella storia!”.

La prefazione del libro – scritto da Mariapia Bonanate – è di Papa Francesco che ha voluto dare il suo contributo con la firma per testimoniare che la tratta degli esseri umani non è un reato lontano di epoche passate, ma è un affare ancora di oggi, moderno, e nella sua prefazione dice anche che “dal momento che sono innumerevoli le giovani donne, vittime della tratta, che finiscono sulle strade delle nostre città, quanto questa riprovevole realtà deriva dal fatto che molti uomini, qui, richiedono questi “servizi” e si mostrano disposti a comprare un’altra persona, annientandola nella sua inalienabile dignità?”

Ci indigna abbastanza? Temo di no, non abbastanza, salvo poi coprirci gli occhi e la coscienza, ribaltando la verità per come pensiamo di raccontarcela, specie se uno di questi uomini magari ci appartiene. In tal caso sono certe ragazze straniere che li adescano sottraendoli alle famiglie.

Ci indigna almeno un poco la nostra ipocrisia?

“Io sono Joy” non è solo il titolo del libro, è una affermazione, una sentenza, una presa di coscienza, un risveglio. Joy, nigeriana, donna, oggi ha 26 anni ed è JOY.

Niente altro, nessun’altra persona, nessun oggetto, nessun prodotto, desiderio o rivincita. Io sono Joy. E tanto basta.

Era una donna, l’hanno ingannata, è diventata merce di scambio, si è ripresa la sua vita aggrappandosi alla fede. Violenza, soprusi, schiavitù, aborti, maltrattamenti e quanto di più orribile possa sentire su di sé un essere umano trattato peggio di una bestia non domestica (quelle sono trattate di lusso).

In una frase non può entrare tutta la vita di Joy, nigeriana, laureata, 26 anni, partita per il mondo del lavoro per mantenere la sua famiglia, ingannata, ferita, delusa, tradita, usata, violata, relegata, uccisa. RESUSCITATA. Con “Io sono Joy” la donna si è ripresa la sua vita, denunciando i suoi aguzzini sostenuta da chi fa questo da una vita.

Dopo aver attraversato l’inferno in tutti i suoi gironi, Joy trova l’amore, quello vero, incondizionato, universale. Si aggrappa a suor Rita con le poche forze che le sono rimaste, il Signore ha esaudito la sua preghiera. Casa di accoglienza e poi condivisione della sua esperienza, sostegno alle altre donne che come lei arrivavano dall’inferno, e il Papa che per una serie di “coincidenze” o circostanze fortuite, approda a Caserta, terra in cui anche noi abbiamo qualcosa che ci appartiene.

Come il Papa anche altre persone vengono a conoscenza della sua storia, che è la storia di tutte le ragazze assoldate nel mercato della tratta, adescate con la promessa di un lavoro dignitoso, finite in strada a pagare debiti mai contratti con minacce varie e di varia entità per assoggettarle psicologicamente.

Papa Francesco, che ha incontrato personalmente Joy, definisce questa storia della sua testimonianza un patrimonio dell’umanità perché porta alla luce ciò che viene spesso relegato nell’ombra della nostra indifferenza. Ci sono molti Joy che vengono privati della loro libertà e della loro dignità, ridotti in una condizione di vera e propria schiavitù e papa Francesco esorta a riportare alla luce quelle persone che sono state costrette a vivere nel buio.

Mariapia Bonanate, autrice e scrittrice del libro che racconta la storia di Joy, si è fatta compagna del cammino di Joy rispondendo all’invito di Cristo “vieni e vedi” invito rivolto anche di recente mediante il papa nella giornata delle comunicazioni sociali dedicata ai giornalisti, agli scrittori, ai quali raccomanda di andare sempre a vedere e a condividere prima ancora di scrivere. Quindi, Mariapia dice di aver camminato insieme alla protagonista, mano nella mano, per diverso tempo, trascorrendo giorni insieme, ricalcando percorsi, brutture, speranze, di un viaggio che sembrava non terminare mai e di essere riuscita a dare una voce ad una espressione, ad un malcostume che riguarda tutte le Joy ancora in balia dei criminali trafficanti di esseri umani. Un libro difficile, come diceva anche il nostro vescovo Pietro, non solo da leggere, ma anche da scrivere dove chi scrive si sente addirittura colpevole di dover scrivere queste cose. Ecco l’empatia di chi si ferma e tocca la mano del fratello emarginato e lo accoglie nel posto più sicuro che ci sia, il cuore.

Molte le domande emerse durante la presentazione a distanza telematica, domande senza risposta, tra tante due “perché gli uomini che comprano 5/10 minuti del nostro corpo non vengono guardati con lo stesso disprezzo con cui guardano noi”? “come possono tornare nelle loro case lussuose e guardare negli occhi le mogli e le figlie, la cui età, spesso, è uguale a quella di qualcuna di noi”?

Joy oggi con il suo sfacciato sorriso dimostra che si può uscire dall’inferno. Con l’accoglienza delle religiose di casa Ruth ha ritrovato la forza ed il coraggio di vivere, di studiare, di lavorare e soprattutto, di condividere la sua storia per aiutare chi ancora è da salvare.


La prefazione di Papa Francesco

Ho accolto volentieri l’invito a scrivere questa breve prefazione, con il preciso intento di consegnare ai lettori la testimonianza di Joy come “patrimonio dell’umanità”.

Joy è una giovane che, in Italia, ha vissuto una seconda nascita. La sua terra natia è la Nigeria, angolo del nostro pianeta in cui ha visto per la prima volta la luce del sole e da dove la sua vita si è messa in viaggio.

Con questo libro, Joy fa dono della sua storia personale a ogni donna e a ogni uomo che coltivi un’autentica passione per la salvaguardia della vita. Ci restituisce la sua drammatica esperienza di viaggio, con la semplicità dei testimoni che, raccontandosi, danno voce a Dio: in ogni dettaglio della sua storia, infatti, Dio le è accanto, come un protagonista nascosto, silenzioso, ma non per questo inerte nelle vicende narrate.

La traversata del deserto, i mesi trascorsi nei campi di detenzione libici, il tragitto in mare, nel corso del quale si è salvata dal naufragio, sono altrettanti capitoli di una narrazione allo stesso tempo autobiografica e corale. Mentre prendiamo parte alla sua storia, compaiono innanzi ai nostri occhi anche Loweth, Glory, Esoghe, Sophia, Mary, amiche che hanno una storia simile alla sua e a quella di migliaia di ragazze nigeriane.

Quella di Joy è una storia che accomuna tante altre persone, come lei rapite in una catena infernale e colpite dalla tragedia dell’invisibilità della tratta. Una storia tanto sconosciuta quanto sinistramente onnipresente nelle nostre società globalizzate.

A ben guardare, la sua via crucis si dispiega come un mosaico di realtà vissute dai tanti fratelli e sorelle più vulnerabili, resi “trasparenti” agli occhi degli altri.

Solamente dopo il suo approdo in Italia, Joy ha scoperto di essere stata ingannata e di essere caduta nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Questi percorsi di disumanizzazione sembrano presentare una costante nella loro “genesi”, nel modo in cui hanno inizio: l’essere costretti a lasciare il proprio Paese d’origine, per andare a infoltire le periferie delle grandi metropoli. Dispersi nell’anonimato, questi “invisibili” smarriscono progressivamente quei punti di riferimento identitario che li ancorano alla propria cultura.

È quanto succede, ancora oggi, a tante famiglie. I trafficanti, individui senza scrupoli che prosperano sulle disgrazie altrui, approfittano della disperazione della gente per soggiogarla al loro potere. si arriva, persino, a progettare il tradimento “metodico”: si privano le vittime di informazioni chiare fino al momento in cui il sopruso e la violenza della strada prendono il sopravvento e finiscono per uccidere i sogni.

È ciò che è accaduto a Joy e alle sue amiche.

A questo punto non posso fare a meno di rivolgere un interrogativo al lettore: dal momento che sono innumerevoli le giovani donne, vittime della tratta, che finiscono sulle strade delle nostre città, quanto questa riprovevole realtà deriva dal fatto che molti uomini, qui, richiedono questi “servizi” e si mostrano disposti a comprare un’altra persona, annientandola nella sua inalienabile dignità?

Nella lettura di questo memoriale siamo portati a scoprire, pagina dopo pagina, quanto la testimonianza di Joy ci inchiodi dinanzi ai pregiudizi e alle responsabilità che ci rendono attori conniventi di questi avvenimenti. Ci farà bene metterci al fianco di Joy e fermarci con lei sui suoi “luoghi” del dolore inerme e innocente. Dopo aver sostato lì, sarà impossibile rimanere indifferenti quando sentiremo parlare dei battelli alla deriva, ignorati e anche respinti dalle nostre coste. Joy si trovava su uno di essi.

Nel suo cammino verso la libertà, Joy ci indica due realtà fondamentali: anzitutto, la fede in Dio che salva dalla disperazione. Una fede salda, messa alla prova nei momenti più duri. In secondo luogo, la comunità. Joy ha dato inizio alla sua rinascita nel momento in cui è stata accolta dalla comunità “Casa Rut” di Caserta.

Una casa di accoglienza può fregiarsi del bel nome di “comunità” solo quando è capace di accogliere, proteggere, integrare e promuovere nel suo seno ogni vita.

Questo libro è un racconto di fede, un canto di speranza e di ringraziamento per chi offre la propria vita ponendo in atto questi quattro verbi dal sapore evangelico.

Joy aiuta tutti noi ad aprire gli occhi, «a conoscere per meglio capire». spesso sono proprio loro, le vittime degli abusi più efferati, ad essere fonte inesauribile di supporto e di sostegno per le nuove vittime. I loro ricordi si rivelano come risorse informative di fondamentale importanza al fine di salvare altri giovani che versano nelle medesime condizioni.

Vorrei ringraziare tutte le persone e le organizzazioni che, anche a costo della loro incolumità, soccorrono le vittime dell’odierna schiavitù. Con la loro instancabile dedizione, restituiscono il valore di sé a chi è stato privato della dignità personale; riportano la fiducia e la speranza nella vita di quanti sono stati ingannati e hanno vissuto l’imposizione del terrore da parte di chi, dopo essersi presentato come salvatore, si è rivelato carnefice.

Ricondurre alla luce del sole quelle persone che sono state costrette a vivere nel buio fuligginoso dell’indifferenza sociale è un’opera di misericordia da cui non possiamo esimerci.

Infine, vorrei rivolgermi a te, Joy.

“Ti chiami Joy”, sei stata la gioia di tua madre fin dal grembo materno, e così hai ricevuto da lei questo bel nome che è anche uno dei nomi propri di Dio. Tu sei Joy, simile a tante donne di cui oggi raccontiamo la storia ma, soprattutto, tu “sei Joy”: unica, desiderata, e tanto amata.

Ti ringrazio per averci dato la possibilità di unirci a questa tua esperienza di assoluto coraggio che ci permette di capire meglio chi soffre la tratta.

Carissima Joy, come scrivi tu in queste pagine: «soltanto l’amore, che alimenta la pace, il dialogo, l’accoglienza e il rispetto reciproco, può garantire la sopravvivenza del nostro pianeta». Allora, mi raccomando: «Coraggio, studia e non avere paura». «Brava, vai avanti così!».

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