Commento al vangelo
Liberarsi dal possesso delle belle esperienze
Mc 9,2-10
Don Cristian Solmonese
La lotta nel deserto che abbiamo intrapreso domenica scorsa forse ha già subito delle battute di arresto. Forse abbiamo già accantonato i buoni propositi che avevamo intrapreso. Il deserto ci ha fatto ricordare la nuda e cruda realtà della nostra vita.
Ecco perché il maestro qualche volta ci invita a spostarci dal deserto alla montagna. Ci invita a salire per staccarci dalla folla, dal caos, dalle cose da fare. Ci prende in disparte. Sa che quando siamo in mezzo al caos non riusciamo a sentire e a parlare.
Portandoci in disparte è come se Gesù volesse dirci una cosa importare: a partire da una vera intimità con Gesù è possibile passare dal caos al cosmo, passare dalla schiavitù alla liberazione, dalla chiusura all’apertura. Il monte nella simbologia biblica è il luogo dell’incontro con Dio, dell’innamoramento, è il momento di vedere il volto di Dio, è il luogo dell’intervento di Dio. Anche stavolta, l’Alto monte del Vangelo, rivela qualcosa di Gesù, di Dio e di noi.
Gesù si trasfigura, letteralmente avviene una metamorfosi. Attenzione a capire questa parola: Gesù non fa come i supereroi che entrano nella cabina e si trasformano. Gesù non è Superman, ma accade qualcosa negli occhi dei discepoli che riescono a scorgere nel volto di Gesù un attimo di paradiso. Gesù è lo stesso davanti a loro, ma in un attimo i discepoli sono in grado di sintonizzarsi su tutta quella luce che c’è nello sguardo di Gesù. Quante volte accade anche a noi questo!
Quante volte il nostro sguardo è riempito di luce. Sembra che il silenzio del monte, la stanchezza che provi nel salire abbassi le tue difese, le tue lotte, le tue arrabbiature e puoi vedere finalmente tutto per un attimo con uno sguardo diverso. Rischiamo di guardare Gesù e non vederci niente di che. Il racconto tutto questo ce lo descrive con il linguaggio biblico: nube, luce, personaggi ecc. E’ il modo di raccontare questa esperienza.
Staccarsi, innalzare, osare sono i primi passi da fare per fare queste esperienze. Forse ti è già successo tutto questo e ti mette una nostalgia nel cuore. E se non ti è accaduto se avrai coraggio di staccarti, tutto questo ti accadrà.
Mosè ed Elia ci ricordano gli altri due piccoli passi che ti possono far fare questa esperienza: ascoltare la parola e la profezia ti fa fare un bagno di luce. «“Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati». È la paura a suggerire a Pietro questa genialata. È la paura che ci fa cercare rassicurazioni persino nella fede. “Tre capanne”, per tenere sotto controllo ciò che non si può tenere sotto controllo, cioè il Mistero.
Una cuccia, un luogo sicuro. Ma avere fede non significa piantare una tenda come una certezza che ti rassicura. Significa invece “ascoltare” il Figlio Amato: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E il messaggio di questo Figlio è di una semplicità disarmante: scendere da quella montagna! A noi non piace scendere. A noi non piace la “cruda realtà” della nostra vita.
Vorremmo sempre effetti speciali. Ma nessuno può arrivare a capire la Pasqua se non “scende”. Il significato della vita non è nella fuga dalla realtà, ma nel fondo della realtà. Bisogna bere fino in fondo tutto il calice amaro di quello che siamo, che stiamo vivendo, che ci sta accadendo per poter seguire davvero il Figlio di Dio.
Nessuno può dire di ascoltare il Figlio se non prende sul serio ciò che in questo momento sta vivendo, la sua nuda e cruda realtà. Ma non con un ascolto qualsiasi, ma con un ascolto di amore. “Aiutami ad amare quello che ora c’è nella mia vita, anche se non l’ho scelto, anche se non mi piace”.
È sempre difficile scendere dal Tabor, perché è sempre difficile amare ciò che c’è e non ciò che vorremmo ci fosse. Abramo vive in pieno questa esperienza. La prova che Abramo vive non serve a Dio per conoscere Abramo, ma serve ad Abramo per conoscere Abramo. Essere capace di affrontare la realtà anche sacrificando, il che non significa fare del male a quel figlio, ma guarire dal rischio del possesso.
Abramo deve imparare ad amare quel figlio rendendolo libero dal suo possesso, sperimentando sul serio che il motivo per cui lui vive è di Dio e non suo. Da quel monte non è vero che scenderanno sani e salvi, ma scenderà un figlio veramente libero e un padre che, morto, è rinato perché non più padrone.
Questo è il discepolato: seguire Dio con fiducia in questa fatica. Il cristianesimo è vivere a modo Suo non a modo nostro. Solo così si riesce a scavallare un altro monte, il Calvario. È solo seguendoLo con questa fiducia che si arriva oltre ciò che sembra la fine. E’ solo così che dal buio si passa alla luce.
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Ecco perché il maestro qualche volta ci invita a spostarci dal deserto alla montagna. Ci invita a salire per staccarci dalla folla, dal caos, dalle cose da fare. Ci prende in disparte. Sa che quando siamo in mezzo al caos non riusciamo a sentire e a parlare.
Portandoci in disparte è come se Gesù volesse dirci una cosa importare: a partire da una vera intimità con Gesù è possibile passare dal caos al cosmo, passare dalla schiavitù alla liberazione, dalla chiusura all’apertura. Il monte nella simbologia biblica è il luogo dell’incontro con Dio, dell’innamoramento, è il momento di vedere il volto di Dio, è il luogo dell’intervento di Dio. Anche stavolta, l’Alto monte del Vangelo, rivela qualcosa di Gesù, di Dio e di noi.
Gesù si trasfigura, letteralmente avviene una metamorfosi. Attenzione a capire questa parola: Gesù non fa come i supereroi che entrano nella cabina e si trasformano. Gesù non è Superman, ma accade qualcosa negli occhi dei discepoli che riescono a scorgere nel volto di Gesù un attimo di paradiso. Gesù è lo stesso davanti a loro, ma in un attimo i discepoli sono in grado di sintonizzarsi su tutta quella luce che c’è nello sguardo di Gesù. Quante volte accade anche a noi questo!
Quante volte il nostro sguardo è riempito di luce. Sembra che il silenzio del monte, la stanchezza che provi nel salire abbassi le tue difese, le tue lotte, le tue arrabbiature e puoi vedere finalmente tutto per un attimo con uno sguardo diverso. Rischiamo di guardare Gesù e non vederci niente di che. Il racconto tutto questo ce lo descrive con il linguaggio biblico: nube, luce, personaggi ecc. E’ il modo di raccontare questa esperienza.
Staccarsi, innalzare, osare sono i primi passi da fare per fare queste esperienze. Forse ti è già successo tutto questo e ti mette una nostalgia nel cuore. E se non ti è accaduto se avrai coraggio di staccarti, tutto questo ti accadrà.
Mosè ed Elia ci ricordano gli altri due piccoli passi che ti possono far fare questa esperienza: ascoltare la parola e la profezia ti fa fare un bagno di luce. «“Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati». È la paura a suggerire a Pietro questa genialata. È la paura che ci fa cercare rassicurazioni persino nella fede. “Tre capanne”, per tenere sotto controllo ciò che non si può tenere sotto controllo, cioè il Mistero.
Una cuccia, un luogo sicuro. Ma avere fede non significa piantare una tenda come una certezza che ti rassicura. Significa invece “ascoltare” il Figlio Amato: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E il messaggio di questo Figlio è di una semplicità disarmante: scendere da quella montagna! A noi non piace scendere. A noi non piace la “cruda realtà” della nostra vita.
Vorremmo sempre effetti speciali. Ma nessuno può arrivare a capire la Pasqua se non “scende”. Il significato della vita non è nella fuga dalla realtà, ma nel fondo della realtà. Bisogna bere fino in fondo tutto il calice amaro di quello che siamo, che stiamo vivendo, che ci sta accadendo per poter seguire davvero il Figlio di Dio.
Nessuno può dire di ascoltare il Figlio se non prende sul serio ciò che in questo momento sta vivendo, la sua nuda e cruda realtà. Ma non con un ascolto qualsiasi, ma con un ascolto di amore. “Aiutami ad amare quello che ora c’è nella mia vita, anche se non l’ho scelto, anche se non mi piace”.
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