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Cosa vuol dire socializzare

Quel 91enne solidale e gli indifferenti

di Lucia Bellaspiga*

Milano, Navigli, rave party convocato sui social, decibel a palla, ressa di giovani e simil giovani che bevono a canna, si agitano a ritmo di musica e per parlarsi urlano. Faccia a faccia, nessuno indossa la mascherina. Nasi e bocche immersi nella stessa aria si scambiano il respiro. Anche questa giornata finirà con la conta dei morti, che il respiro invece lo avranno perso in una delle terapie intensive di nuovo al collasso, ma a loro non importa, sono di un altro mondo.
Fa quasi tenerezza l’appello preventivo del sindaco Sala, ancora convinto di poter ricorrere al dialogo: «Raccomando ai cittadini un comportamento consono e responsabile», aveva detto, più che allarmato dall’ultimo fine settimana in zona gialla e dall’aria primaverile. Cervelli inebetiti e alcolici in mano, i giovani gli rispondono dai microfoni dei tg, «noi abbiamo bisogno di socializzare». Che in poche ore si traduce in risse e violenze, in barba al coprifuoco. Il giorno dopo l’acqua dei Navigli è sporca, sporca di bottiglie e di ciò che ha visto.

Massa Carrara, stesso fine settimana. Giovanni, 91 anni, ha letto sui giornali locali l’appello di Cinzia, mamma di Mattia, 22 anni, disabile. La vita di Mattia dipende in tutto da quella della madre. Anche il loro respiro si confonde, non nell’orgia di una notte, ma ogni giorno fin dalla nascita, e se si ammala lei contagia lui. «Concedete il vaccino a noi che dobbiamo proteggere i fragili», aveva chiesto Cinzia, e Giovanni in un attimo ha deciso: «Permettetemi di cederle la mia dose, è mia, posso donarla a chi ha più bisogno di me». Logico ma non facile, il dizionario di certa burocrazia non comprende la voce sacrificarsi: o giovedì si farà vaccinare o perderà la sua preziosa dose, gli risponde la pubblica sanità, ma Giovanni insiste, anche lui convinto come Sala che il dialogo funzioni: «Un vecchio se vuole si può difendere, basta che stia a casa – spiega alle telecamere indicando la poltrona – quella donna non può».
Socializza, Giovanni, lui davvero. Novantuno primavere, una guerra mondiale e mille esperienze hanno impresso nella sua vita il senso vero della parola, che indica armonia del singolo tra i suoi simili, rispetto dei doveri (i propri) e dei diritti altrui, relazioni basate su obiettivi comuni e pacifica convivenza. Paroloni che Giovanni non si è manco sognato, a lui per socializzare basta il buon senso, e nel suo sguardo si legge tutta la sorpresa di fronte a un’Asl che non trova una soluzione alla sua umanissima esigenza: ‘A me prima o poi arriverà un altro vaccino, io ho tempo’, allarga le braccia.

Dura lex sed lex, si dice. Eppure non dovrebbe essere impossibile trovare una crepa, un appiglio nelle pieghe della norma perché possa cedere il suo vaccino, senza perderne il diritto. Crepe ed appigli se ne sono trovati a iosa, al contrario, per centinaia di dosi erogate a chi il diritto non lo aveva. Se ve la siete persa, sarebbe utile rivedere sul web l’inchiesta condotta dal giornalista di La7 Alessio Lasta per ‘Piazzapulita’: nel Ragusano (ma non solo lì) parenti e amici di chi conta hanno avuto il vaccino già il 6 gennaio, prima ancora di medici, infermieri, anziani e fragili.

Uno di questi ha 26 anni e nessun pudore, ‘chi mi ha fatto vaccinare di sicuro non l’ha tolto a qualcuno che lo meritava più di me’ (curioso modo di intendere il merito). E chi lo ha fatto vaccinare è il suo medico curante, che poi è anche suo padre, ‘mi ha inserito nella lista d’attesa e quando c’è stata la possibilità sono passato’, al posto di un Giovanni siciliano. Lo stesso ha fatto un alto funzionario della Regione Sicilia – con moglie e figlia – che al giornalista dichiara: ‘Mi ha chiamato un amico. Io non ho sottratto il vaccino a nessuno, me l’hanno inoculato. Lei deve distinguere tra etica e morale, io moralmente non mi sento in colpa’… E per Giovanni una piccola crepa non si trova? Un amico ma di quelli buoni? Un Azzeccagarbugli per il bene? Il lieto fine vorrebbe che giovedì porgessero il braccio tutti e tre insieme, Giovanni, Cinzia e Mattia, finalmente protetti da un virus che non smette di uccidere e per farlo ha bisogno degli umani.

A causa dei giovani dei Navigli, come di quelli del Vomero a Napoli, o di Campo dei Fiori a Roma, o dello stadio a Bergamo, o delle spiagge a Palermo, nelle prossime settimane avremo matematicamente nuovi contagi e altri morti, i dati in salita costringeranno a zone rosse e chiusure prolungate, le attività lavorative già dissanguate languiranno, le scuole non riapriranno, tutti noi pagheremo il conto di una minoranza sciagurata e asociale. Che socializza, sì, ma soltanto con il virus.

* Avvenire

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