I riders e la riscoperta del sindacato
Le conseguenze possibili dell’inchiesta della Procura di Milano sulle condizioni di lavoro dei ciclofattorini
di Carlo Cefaloni *
“Non servi ma cittadini”. Viene presentata come una “notizia bomba” la chiusura dell’inchiesta della procura di Milano che contesta gravi violazioni in tema di diritto del lavoro alle società del settore della consegna a domicilio. Un caporalato 2.0 realizzato tramite piattaforme digitali in grado di determinare rigidamente, tramite un algoritmo, la vita del lavoratore.
Si tratta di società ipermoderne, con manager giovani dall’aspetto smart, controllate in gran parte da capitali internazionali e, quindi, in grado di resistere, con i loro avvocati, davanti ai tribunali. Come nel caso della legge sul caporalato, approvata nel 2016, tutto ha avuto inizio da alcuni fatti di cronaca. Nel settore agricolo si trattò della morte di Paola Clemente, bracciante agricola pugliese, che fece emergere un sistema di sfruttamento arcinoto coperto sotto il velo delle società di lavoro interinale.
Per i ciclofattorini siamo di fronte ad una serie di gravi incidenti, anche mortali, accaduti ai corrieri durante il turno della consegna a domicilio. Il bollettino del 2019, quando è iniziata l’inchiesta milanese, ne contava almeno 7 di età media sui 28 anni. Tra i casi più recenti del mese di febbraio 2021 c’è quello di Romulo Sta Ana, rider di 47 anni, originario delle Filippine, padre di una famiglia con 3 figli, morto a Montecatini in Toscana.
L’esposizione al pericolo del lavoro in strada è emerso, in tempo di lockdown, con l’esposizione al contagio da Covid 19, ma anche con vere e proprie aggressioni fisiche all’ordine del giorno subite da questi lavoratori che circolano da soli in strade poco o nulla frequentate. Ha fatto un certo scalpore il video della rapina subita da un fattorino a Napoli, malmenato e derubato della sua moto. Anche stavolta un lavoratore quasi cinquantenne, con famiglia a carico. In questo caso è scattata una solidarietà spontanea con una colletta pubblica lanciata a suo favore. Segnali incoraggianti di una cultura della solidarietà che si sostituisce, tuttavia, ad una carenza delle leggi che dovrebbero tutelare il rischio del lavoratore e il costo dello strumento che usa per consegnare la merce. La vera novità degli ultimi anni, oltre all’azione della magistratura, è stata, in questo settore, la rinascita del sindacato, dalle sigle confederali a nuovo forme auto organizzate che riprendono il motto ottocentesco “Non per noi ma per tutti”. Nonostante i proclami retorici la realtà delle cose ci mette davanti all’avanzare di nuove forme di lavoro servile, sgretolando anche posizioni che sembravano acquisite. Come al solito, si fa leva sulla solitudine dei lavoratori, la precarizzazione della vita in rapporti sempre più aleatori.
È significativa, in questo senso, la campagna lanciata da Amnesty International a favore del diritto dei dipendenti di Amazon ad iscriversi al sindacato, dopo le reiterate intimidazioni esercitate contro quei lavoratori che chiedono condizioni di lavoro migliori e più sicure. L’organizzazione nata per difendere le persone dai regimi totalitari invita, oggi, a scrivere a Jeff Bezos, il capo di una multinazionale che estrae enormi profitti durante la pandemia dal controllo e consegna della merce a domicilio. È notizia di questi giorni il lancio anche in Italia di Amazon fresh, servizio dedicato alla consegna giornaliera dei beni alimentari. D’altra parte i consumatori, soprattutto i più giovani e digitalizzati, mostrano di apprezzare questo tipo di servizio che non lesina incentivi e premi per collegare il singolo con l’universo mondo dei beni di consumo.
Un cambio di paradigma che incide sulla vita sociale come la progressiva scomparsa dei negozi e la desertificazione delle città denunciata da Confcommercio che chiede a tutti di rispettare le regole, come quelle sul lavoro, secondo il principio della libera concorrenza. Come già esaminato le società riunite in Asso Delivery non vogliono applicare le regole del “decreto dignità” approvato dal primo governo Conte. Ritengono cioè che il tipo di rapporto con i ciclofattorini non possa essere classificato come “lavoro dipendente” regolato da uno dei contratti collettivi esistenti, in particolare quello della logistica, come chiedono la maggioranza dei sindacati. Tali aziende hanno, perciò, raggiunto un accordo con una sigla sindacale minoritaria (Ugl) per riconoscere alcuni diritti ma non tutte le tutele previste per i lavoratori dipendenti, e hanno subordinato la continuazione dell’attività dei rider all’adesione a tale accordo. L’ormai ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo aveva condannato quest’azione di forza di Assodelivery e convocato le parti sociali per arrivare ad una soluzione concordata.
La società Just eat, nel frattempo, si è dissociata da Assodelivery annunciando l’intenzione di regolarizzare i propri dipendenti, mentre, ad esempio, il tribunale di Palermo, a novembre 2020, ha riconosciuto la natura di lavoro dipendente e ingiunto alla società Glovo di un ciclofattorino di 49 anni che lavora stabilmente per tale società. La sentenza è stata eseguita, ma il signor Marco Tuttolomondo, nome del rider, sta ricevendo lo stesso trattamento che molte società, Fiat in testa, hanno sempre adottato in questi casi di assunzione forzata e cioè la corresponsione dello stipendio ma senza prestazione di servizio. Una modalità che mira alla risoluzione concordata del rapporto in attesa, stavolta, del punto di caduta dell’intera vertenza che vede coinvolti circa 60 mila riders secondo la ricostruzione della procura milanese che ha ingiunto, inoltre, una sanzione complessiva di 733 milioni di euro alle 4 società coinvolte (Eats, Just Eat, Glovo e Deliveroo) per diverse violazioni nel campo della sicurezza del lavoro. Altro capitolo che potrebbe aprirsi è quello relativo all’accertamento dell’elusione fiscale sui profitti trasferiti sulle sedi estere delle diverse aziende.
Si tratta, come è facile notare, di oneri pesantissimi verso società che affermano di non poter sopportare i costi del lavoro dipendente per continuare ad operare. Con effetti prevedibili sul mantenimento dei posti di lavoro Il contenzioso si preannuncia, quindi, assai acceso e viene ad esplodere, dopo 2 anni di inchieste da parte di ispettori del lavoro e nuclei specializzati dei carabinieri, sotto il governo Draghi nato per promuovere una pace sociale in tempo di crisi, sul modello di ciò che accadde nel 1993 con il governo di Azeglio Ciampi. La congiuntura attuale è, tuttavia, molto diversa e gli interessi contrapposti molto evidenti. La procura di Milano, guidata da Francesco Greco, ultimo esponente di quello che fu il pool di Mani pulite negli anni 90, ancora una volta vuole colpire un «fenomeno di illegalità palese e sotto gli occhi di tutti», ma sembra spingersi a configurare anche il tipo di rapporto di subordinazione esercitato tramite il meccanismo dell’algoritmo.
Si parla cioè di «un lavoro di tipo para subordinato che prevede un complesso di diritti per i lavoratori che ai rider erano sistematicamente negati». Non ci troveremmo, dunque, davanti ad un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato tutelato da un contratto collettivo. Con la conseguenza di restare, come già detto in precedenza, in quella “terra di nessuno” che, secondo alcuni giuristi, avrebbe bisogno di «una regolamentazione ibrida, diversa dalle categorie novecentesche della stabilità del lavoro dipendente e di quello autonomo». Nel merito di una questione così importante vanno ascoltati i lavoratori coinvolti che hanno promosso numerose assemblee on line oltre a manifestazioni pubbliche, compatibili con il restringimento imposto dalla pandemia, e hanno in programma di indire degli scioperi generali a marzo. Il fenomeno dello sfruttamento del lavoro tramite l’applicazione delle piattaforme digitali ha una portata sovranazionale e ci si aspetterebbe una direttiva almeno a livello europeo. In tal senso la Commissione europea ha promosso una consultazione pubblica tra le parti sociali per arrivare ad una regolamentazione comune secondo diritto e dignità.
*Città Nuova