‘Andate dunque e fate discepoli missionari’
Scorrendo le pagine di Evangelii Gaudium (EG) – in particolare nel capitolo III (EG, 111-134) – emerge progressivamente un identikit del ‘Discepolo Missionario’: conoscere i tratti di questo profilo cristiano del battezzato, consegnati per la prima volta in modo organico nel Documento di Aparecida (2007), è fondamentale oggi per ripensare in modo efficace la partecipazione dei laici al dinamismo evangelizzatore della Chiesa.
L’identikit del discepolo missionario
«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (EG, 1). Il Discepolo Missionario è una persona che ha sperimentato nella propria carne come l’incontro e la relazione con Gesù sia capace di trasformare la tristezza della fragilità, della crisi e del fallimento umano in un «fiume di gioia» (EG, 5). Una gioia che proviene appunto dall’aver sperimentato una ‘morte’ esistenziale dalla quale è scaturita una vita nuova. Non per il proprio sforzo, ma gratuitamente, per una sovrabbondanza di Amore che si riconosce provenire da Dio.
In forza di questa esperienza – mai definitiva, ma sempre bisognosa di rinnovamento e che perciò richiede una costante capacità di apertura, di ricerca, di rimessa in gioco – il Discepolo Missionario è contagioso (in senso buono). Sente la necessità di prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare (EG, 24). Non si sente ‘a posto’ e non ripone sicurezza nelle sue routine o nelle sue precomprensioni, ma abita il cambiamento come un fattore positivo della vita, ricco di nuove opportunità.
Il suo sguardo è illuminato dallo Spirito Santo (EG, 50) e per questo è capace di mettere in pratica un discernimento evangelico: è dotato di quell’‘olfatto del gregge’ (EG, 119) capace di interrogarsi e di cogliere la direzione indicata dallo Spirito in ogni situazione.
Vive un legame di appartenenza con una comunità cristiana, sale della terra e luce del mondo (EG, 92), considerandola appunto come piccola esperienza ‘segno’ – sempre in divenire – di quel Regno di Dio che sempre più si realizza nella storia dell’umanità. Perciò non crea barriere mentali tra ‘lontani’ e ‘vicini’ e non assolutizza la sua esperienza. Sa che lo Spirito spesso oltrepassa i confini ed è capace di ‘rompere gli schemi’ in modo sorprendente.
Proprio per questa consapevolezza è una persona ospitale: mette le persone a proprio agio. Si trova bene sia con coloro che si professano non credenti, sia con i ‘super cattolici’. È una persona capace di buon senso nelle relazioni. La sua testimonianza di vita è preziosa, perché capace di portare la bellezza del Vangelo nell’unico modo possibile, «da persona a persona» (EG, 127), in qualsiasi luogo.
Avendo ricevuto il battesimo è dotato di un ‘sistema propulsivo’ vitale e qualunque sia la sua condizione di vita è soggetto attivo nell’annuncio del Vangelo (120). In forza di questo dono ricevuto in modo permanente non ha bisogno di lunghi corsi di formazione per assumersi una responsabilità ecclesiale. La cosa importante è che resti sempre ‘discepolo’, cioè in una costante ricerca di verità e di pienezza (EG, 146; 266), sempre consapevole della propria fragilità e della necessità di metterla in rete con gli altri per ritrovare la gioia nelle difficoltà.
Non desidera catechizzare gli altri, non esercita forme di imposizione e traduce in ogni scelta uno stile di libertà (EG, 161), perché sa che l’unica cosa che conta è il fatto che siamo amati dal Padre. Perciò non dimentica di essere Figlio e sente la necessità di essere accompagnato e di accompagnare (EG, 173).
Come favorire la crescita di discepoli missionari?
Il Discepolo Missionario è una persona bella, che suscita simpatia e benevolenza (At 2,47). Come fare perché le nostre comunità cristiane siano capaci di (ri)generare profili di questo tipo? Mi permetto di indicare tre macro orientamenti consapevole della necessità di ulteriore approfondimento a riguardo, ma certo che queste attenzioni possono essere scelte adeguate ad iniziare processi di discepolato missionario, così necessari alla Chiesa oggi.
a) Ospitalità
Spesso ciò che manca in una comunità cristiana è una cultura dell’ospitalità e della cura. In diverse comunità si respira un clima freddo, che sfiora l’anonimato. Non si è attenti alla cura dei dettagli e soprattutto non si investono tempo e risorse per la cura delle relazioni inter-personali.
La cultura dell’ospitalità e della cura è più importante di qualsiasi strategia evangelizzatrice («la cultura si mangia la strategia a colazione», Peter Drucker). Perciò è necessario attivare processi capaci di trasformare la cultura di fondo delle persone che vivono la comunità in questa direzione, anche a costo di perdere ‘qualcuno dei nostri’.
b) Informalità
Non tutto deve essere chiaro, avere un compito, essere incasellato nel sistema parrocchia, … c’è necessità di (ri)creare spazi di informalità, in cui le persone possano stare bene, vivere un tempo di qualità senza avere ansia da prestazione, essere se stesse ed esprimere ciò che sono nella massima libertà.
Nella vita di oggi ci sono già troppe complicazioni: perché aggiungerne altre nella comunità cristiana? Un ambito decisivo in cui trovare nuove ‘forme di informalità’ è quella degli organismi di partecipazione. Non dimentichiamo che esiste una sinodalità informale, anche nella Chiesa.
c) Leadership
Come cattolici, a volte, abbiamo paura di parlare di leadership. E anche per questo motivo l’impostazione organizzativa delle nostre comunità è verticistica, centrata sull’esercizio (non sempre benefico) del potere.
Investire su una leadership sana, di tutti i battezzati, significa accompagnare le persone a (ri)scoprire e a mettere a servizio degli altri il proprio talento, creando spazi di ‘autonomia creativa’ in cui esercitarlo. Un vero leader è colui che sa generare altri leader («per guidare gli altri cammina alle loro spalle», Lao Tzu). Questa attenzione è oggi fondamentale per la comunità ecclesiale.
d) Piccoli gruppi
Un ultimo orientamento riguarda la forma o l’ambito favorevole alla crescita del discepolato missionario: il contesto privilegiato per la crescita di questi profili non è quello delle grandi sale, dei grandi spazi, dei grandi numeri.
Piuttosto diviene oggi importante favorire la dinamica dei piccoli gruppi – mini-comunità di Discepoli Missionari – funzionali a ritrovarsi anche al di fuori delle parrocchie, nelle case, in contesti che favoriscano una buona intimità e una dinamica relazionale umanizzante.
Ripensare le prassi pastorali alla luce dell’identikit del Discepolo Missionario e di orientamenti utili a generare questi profili di battezzati nel contesto delle comunità cristiane attuali è una sfida avvincente. Perché non provarci?
Fonte: Stefano Bucci – Centro Missione Emmaus