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Vaccino AstraZeneca, dobbiamo preoccuparci?

Vaccino AstraZeneca, dobbiamo preoccuparci?

Intervista a Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”

 di Elisa Chiari *

Quando si nota una coincidenza temporale tra una somministrazione e degli eventi avversi, senza che sappiamo se ci sia una correlazione o meno, è naturale che scatti nelle tantissime persone coinvolte in una campagna di somministrazione, in questo caso di vaccinazione, una certa preoccupazione. Mettiamoci nei panni di chi in questi giorni deve ricevere il vaccino AstraZeneca. Professor Garattini, hanno ragione di preoccuparsi e quanto?

«Io penso che se a scuola, in Italia, si studiasse bene che cosa è un rapporto di causa-effetto e la difficoltà di individuarne uno non avremmo tutta l’agitazione che abbiamo in questo momento. D’ altra parte l’agitazione è comprensibile proprio per questa ragione, per il fatto che non tutti hanno chiara una cosa che tutti invece dovrebbero sapere: noi sappiamo che qualcosa accade dopo un’ altra cosa, ma non è detto che tra le due cose ci sia una connessione. Faccio un esempio per spiegare meglio: ogni giorno in Italia, in questo momento storico, per le cause più varie, muoiono normalmente 2000 persone. Dal momento che c’è una vaccinazione di massa in corso, è molto probabile che tra queste 2000 morti ce ne sia qualcuna che avviene qualche ora, qualche giorno, qualche settimana dopo che la persona che perde la vita ha ricevuto il vaccino. Perché se muoiono 2000 persone al giorno è probabile che qualcuna muoia anche in vicinanza del vaccino, soprattutto in un momento come ora in cui sono tantissime le persone che ogni giorno ricevono un vaccino. C’è un certo numero di trombosi che avvengono normalmente ogni giorno per le più varie cause, è probabile che una di queste possa avvenire anche in vicinanza di una vaccinazione. C’è un certo numero di infarti cardiaci che avviene ogni giorno, qualcuno può avvenire in vicinanza della vaccinazione, ma non significa che il vaccino e la morte, o la trombosi o l’infarto, siano correlati. Noi dobbiamo sapere che il vaccino non è un protettore contro tutte le morti, è un protettore da morte da virus, ma l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale continuano ad avvenire, come avvengono quando non c’è nessuna campagna vaccinale in corso. Se la campagna c’è, può verificarsi una vicinanza temporale che però non è necessariamente un rapporto di causa-effetto».

Quando questa vicinanza temporale avviene durante la somministrazione di massa di un farmaco la comunità scientifica e la farmacovigilanza come agiscono?

«Ci sono degli algoritmi che vengono utilizzati e che stabiliscono se la frequenza con cui quell’evento segnalato durante la campagna di vaccinazione si verifica è compatibile con la frequenza con cui avviene normalmente: se ci fossero cento morti, in più del normale, tutti insieme dopo la somministrazione del vaccino e attribuibili a quello ci sarebbe un allarme differente. Quando un evento concomitante è segnalato, quello che si fa è andare a vedere se quell’evento potenzialmente avverso è statisticamente compatibile con quello che succede normalmente. E poi si va a guardare quali e quanti sono gli eventi dello stesso tipo in altri Paesi in cui c’è già stata un’ ampia somministrazione».

Vuol dire che i 20 milioni di inglesi che hanno ricevuto AstraZeneca oggi ci devono tranquillizzare?

«Sì perché vuol dire che se in Inghilterra nei mesi scorsi sono avvenuti casi del genere di quelli segnalati da noi, si sono fatte delle valutazioni per stabilire che non c’era un rapporto di causa-effetto con il vaccino. Abbiamo tanti mezzi attraverso cui stabilire se questo rapporto c’è. Intanto però sappiamo molto bene, perché non dobbiamo dimenticare che poi abbiamo a disposizione anche i dati della sperimentazione avvenuta su decine di migliaia di persone, che ci sono invece degli effetti collaterali che vengono normalmente descritti: mal di testa, febbre, dolori articolari, senso di nausea, dolore in sede di inoculo. Sono effetti dovuti al vaccino perché li abbiamo visti anche durante la sperimentazione (con un’ incidenza superiore rispetto a quanto è avvenuto alle persone che hanno ricevuto il placebo ndr.). E poi non dobbiamo dimenticare che, come per tutti i farmaci, anche per il vaccino, va sempre calcolato il rapporto rischio-beneficio. Non dimentichiamoci che a causa della Covid-19 abbiamo avuto in un anno in Italia 100.000 morti, quindi il beneficio del fare il vaccino è un beneficio enorme rispetto agli effetti collaterali, come un doloretto al braccio, un po’ di febbre, un po’ di mal di testa, effetti noti che per il momento sono accettabili e tollerabili rispetto al Sars-Cov-2».

Mettiamoci nei panni del singolo che ora si chiede: e se quell’uno che ha un evento avverso, al momento imprevisto e magari imprevedibile, fossi io?

«È una domanda che ci dobbiamo fare per tutto: anche se uno sale in automobile ha un rischio, non capita a tutti ma capita a qualcuno di avere un incidente anche mortale. In tutte le attività umane ci sono rischi: la gente che fuma ha rischi molto molto superiori a quello di assumere un vaccino, chi beve un eccesso di alcol, chi esagera con il cibo ha un rischio molto maggiore di avere problema. La vita non è priva di rischi. Tutto quello che facciamo comporta rischi, più o meno elevati. Oggi tutti fronteggiamo un rischio elevato e certo: venire in contatto con il Sars-Cov-2, un virus che circola molto e che causa più di 300 morti ogni giorno, oltre ai tanti ricoveri in terapia intensiva che non sono certamente un’ esperienza piacevole neanche nei casi in cui se ne esce con salva la vita».

C’è un aspetto di cui non si parla molto: come spesso nelle catastrofi si contano molto i morti, ma poco i feriti che in genere sono di più e spesso hanno conseguenze a vita. È vero che anche la Covid-19 ha i suoi feriti, persone che vivono ma riportano danni a lungo termine, e che la morte non è il suo unico rischio?

«Esattamente, non solo, ma non si calcola che il rischio-Covid non si esaurirà in breve tempo. Ripeto l’appello che faccio da mesi: non possiamo continuare ad aspettare che gli altri ci aiutino a procacciarci vaccini. Noi abbiamo fatto una politica sbagliata per quanto riguarda la prenotazione e l’approvvigionamento delle dosi. All’inizio di dicembre avevamo l’idea che ci fossero quaranta milioni di dosi di vaccino, al 7 di marzo ne abbiamo avute 6,5 milioni: abbiamo sbagliato, abbiamo pensato che gli altri si occupassero di noi e di una parte dell’Europa. Se vogliamo uscire da questa emergenza: dobbiamo trovare vaccini e in secondo luogo fabbricarli noi, perché andremo avanti per molti anni a doverci vaccinare contro il Sars-Cov-2, fin quando non ci sarà una vaccinazione globale a livello mondiale noi continueremo a correre rischi, perché finché il virus circola, cambia e quindi può di avere varianti non sensibili ai vaccini che abbiamo adesso. Dobbiamo contribuire non possiamo sempre aspettare che altri ci levino le castagne dal fuoco. Non possiamo pensare di vaccinarci soltanto noi, dobbiamo preoccuparci che i vaccini arrivino anche nei Paesi che hanno un basso reddito, se no le varianti ritorneranno da noi: non è solo un problema di solidarietà, non è un atto di beneficenza, è un nostro interesse: se non ci preoccupiamo di questo ci perdiamo noi».

Le persone comuni ci chiedono: ci sono degli interessi, c’è il rischio che degli eventi avversi ci vengano nascosti, che non li veniamo a sapere?

«I titoli che ci sono oggi sui giornali ci dicono che, in una fase di vaccinazione di massa mondiale come questa, accade esattamente il contrario: sono titoli sbagliati che indicano un eccesso di allarmismo e di attenzione. Tutto si sa, tutto viene messo a disposizione di tutti, succede qualcosa in Danimarca, dopo cinque minuti ci sono discussioni sui giornali e sulle Tv di tutto il mondo. Vuol dire che le cose sono note, che il problema non è la circolazione delle notizie».

A proposito di trasparenza le case farmaceutiche che sono coinvolte in questa attività, e segnatamente sono coinvolte dalle notizie che allarmano più o meno a proposito, che cosa dovrebbero fare per massima trasparenza a favore della comunità scientifica e delle persone che devono ricevere il vaccino?

«Dovrebbero essere molto più responsabili, sapendo che per vaccinare tutti nel mondo avremmo avuto bisogno di almeno 10 miliardi di dosi. Avrebbero dovuto rinunciare alle loro prerogative normali e mettere a disposizione tutto perché si facesse una produzione più massiccia possibile di vaccini: avrebbero dovuto trasferire la tecnologia rinunciando temporaneamente ai privilegi che derivano dal brevetto».

Riguardo alla farmacovigilanza, nel momento in cui ti succede una coincidenza che potrebbe creare allarme, tu casa farmaceutica dovresti mettere più dati a disposizione della comunità scientifica o già si fa tutto il possibile in questo senso?

«Nei rapporti che sono fatti all’agenzia regolatoria, l’industria è obbligata a dare tutti i dati che ha a disposizione, perché la farmacovigilanza la deve fare un ente esterno all’industria per evitare ogni conflitto di interessi. Il problema principale oggi non è quello di avere informazioni sui vaccini, ma quello di vaccinare il numero più alto possibile di persone e non trovarsi in una situazione di dipendenza in cui si aspetta che le dosi ci vengano date da altri, dobbiamo essere autonomi e se necessario obbligare le industrie al trasferimento tecnologico perché dobbiamo produrre il più presto possibile questi 10 miliardi di vaccini e dovremo continuare a produrli per i prossimi anni, perché non sappiamo quanto dura la protezione di un vaccino, non sappiamo se dovremo vaccinare ogni anno. Per esempio sappiamo che AstraZeneca non si può utilizzare in Sud Africa perché la variante sudafricana non è sensibile a quel vaccino, questo è un esempio che spiega perché dobbiamo essere pronti a fabbricarne più tipi perché siano efficaci anche contro diverse varianti. Dobbiamo vedere lungo, avere la mentalità adatta ad affrontare lo scenario come se fosse il peggiore possibile, poi se le cose vanno meglio tanto meglio per noi, ma siccome non possiamo saperlo prima dobbiamo programmarci pensando al peggio, non dobbiamo contare sul fatto che la spagnola dopo due anni se n’è andata da sola: siamo in un mondo diverso, globale, in cui viaggiano le persone, le merci e anche i virus e i batteri purtroppo, dobbiamo avere una mentalità adeguata ai tempi e prepararci in anticipo per non farci sorprendere».

* Famiglia Cristiana

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