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Un’Europa abbastanza forte per poter reagire

Dai vaccini alla Conferenza sul futuro Ue

Un’Europa abbastanza forte per poter reagire

allarghiamo lo sguardo ai cambiamenti che la pandemia da Covid-19 sta producendo nell’azione dei poteri pubblici e nei comportamenti individuali

In questi giorni l’attenzione dei cittadini europei è concentrata sulla questione dei vaccini. Ce ne sono buone ragioni, prima tra tutte la preoccupazione per la continua diffusione del virus e delle sue “varianti”. Il punto di osservazione per analizzarla è mobile: ruolo dei governi nazionali per quanto riguarda l’approvvigionamento e l’inoculazione, quello delle Big-Pharma e delle loro strategie produttive e commerciali, l’azione (e i limiti) dell’Unione europea nel coordinamento delle varie fasi della campagna vaccinale.

Di tutto questo si parla e si scrive. Pur senza sottovalutare la drammaticità e l’urgenza della questione, tuttavia, può essere utile allargare lo sguardo ai cambiamenti che la pandemia da Covid-19 sta producendo nell’azione dei poteri pubblici e nei comportamenti individuali.

Non si tratta di buttare la palla in tribuna. Ci sono questioni urgenti che devono essere affrontate. A questo proposito valgono le due parole chiave usate nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Mario Draghi: coordinamento e pragmatismo. Di questo atteggiamento s’è avuta eco già nella riunione di giovedì 25 marzo del Consiglio europeo. Al di là delle diverse sensibilità e delle divisioni, si è giustamente deciso di dare un colpo d’acceleratore. Mettere alle strette le industrie che non rispettano i contratti sottoscritti, coordinare meglio la distribuzione tra i Paesi, controllare con più severità le dinamiche import-export dei vaccini e delle componenti per produrli.

C’è una riflessione, però, che tra tutte si impone. Di fronte alla crisi pandemica più estesa dopo oltre un secolo, tutti si sono ritrovati più deboli. Stati grandi e piccoli, Paesi ricchi e Paesi poveri. E in questo quadro, appunto, è lecito chiedersi se c’è stata un’adeguata reazione dell’Unione europea.

Non bisogna indulgere ad una certa prova d’ingenerosità, come sembra emergere. In realtà, solo un anno fa non si sapeva neanche se e quanti vaccini sarebbero stati disponibili in un arco di tempo così breve. Ci si è concentrati, e tuttora sembra di doverlo fare, sulle misure di contenimento della diffusione del virus. Quelle che conosciamo e con le quali conviviamo ormai da tempo.

Eppure una certa autocritica si deve fare, come ha riconosciuto nei giorni scorsi il presidente francese, Emmanuel Macron.

Perché l’Unione europea, che conta oltre 400 milioni di cittadini, è una delle aree più ricche del mondo, si trova alla retroguardia rispetto ad altre realtà, Usa in primo luogo, ma anche Gran Bretagna o India? La risposta, purtroppo, è molto semplice.

Gli europei, raccolti in un’Unione che ne organizza ormai campi decisivi della vita economica e sociale e nella comune appartenenza attorno a valori condivisi, non investono abbastanza nella ricerca, si sono mossi in ordine sparso in un campo così vitale. La pandemia ha mostrato come una catena del valore allungata dalle logiche della globalizzazione (eravamo senza mascherine perché era meglio farle produrre in Asia!) vale anche per i sofisticati vaccini. L’approntamento di adeguati macchinari (i bio-reattori) e l’accumulo sufficiente di componenti necessarie per riprodurli ha trovato l’Europa sguarnita. Si sta recuperando, se è vero che, come ha annunciato il commissario Thierry Breton, capo della task force della Commissione europea, nel giro di poche settimane si stanno realizzando in Europa oltre cinquanta impianti industriali per finalizzare la produzione dei diversi vaccini disponibili.

Cambiando solo per un attimo registro possiamo dire con forza che di fronte al “sovranismo dei vaccini”, auspicato da quanti si rifiutano di confrontarsi con la complessità della questione, c’è bisogno di rilanciare il progetto di un vero “sovranismo europeo”. Questa Europa è troppo grande e abbastanza forte per non regredire, ma non può permettersi di comportarsi (ancora Macron) come “un diesel lento a partire”.

Volgiamo lo sguardo più avanti. In questi giorni è stata lanciata ufficialmente la Conferenza sul futuro dell’Europa. Un evento di grande importanza, voluto da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione con una Dichiarazione comune, basato sull’apertura a tutti i cittadini e alle espressioni organizzate della società civile.

Era stata pensata, questa Conferenza, prima della pandemia e ne ha subito un forte ritardo. Adesso, però, tutto è pronto per il suo lancio. Il 24 marzo si è insediato l’organo esecutivo della Conferenza, rappresentativo in modo paritario di tutte le istituzioni. I protagonisti, secondo l’impostazione scelta, saranno i cittadini chiamati non solo a esprimersi con le loro proposte ma a promuovere confronti e iniziative di tutti i tipi che confluiranno in una Piattaforma digitale multilingue, pronta a partire dal 19 aprile.

Una grande consultazione di massa, dunque, che si svolgerà secondo le linee guida di una Carta “per i cittadini e gli organizzatori di eventi” che in modo essenziale richiama valori e principi dell’Ue e indica modalità pratiche e organizzative.

Entra in gioco così la sfida che affida l’avvio di un percorso di riforma dell’Unione non solo al negoziato istituzionale, ma a un modello bottom up, a un processo che parta dal basso, coinvolgendo cittadini, portatori d’interesse, autorità locali e regionali.

La canalizzazione di questo dibattito pubblico, sarà assicurata attraverso sessioni plenarie ogni sei mesi (dove confluiranno anche le rappresentanze dei Parlamenti nazionali, del Comitato delle Regioni e di quello Economico e sociale e altre istanze rappresentative).

La sfida sarà quella di promuovere l’idea di una Europa più assertiva, impegnata a svolgere un ruolo globale per promuovere i suoi valori e i suoi standard civili e democratici. Un’Europa capace di affrontare le emergenze del cambiamento climatico, della rivoluzione digitale e degli squilibri sociali e di genere, delle migrazioni, dei conflitti aperti e latenti in aree vicine.

La Conferenza potrà fare tesoro dell’esperienza della campagna per le ultime elezioni europee svoltesi nel maggio 2019. Anche allora una piattaforma digitale aperta (#This time I’m voting #Stavoltavoto) contribuì, in un momento in cui le forze sovraniste e populiste ancorate a una angusta e anacronistica visione nazionalistica sembravano prevalere, a un incremento generale dei partecipanti al voto in tutta l’Unione europea (dopo quarant’anni!) e, soprattutto, a un aumento ancora più significativo nella fascia giovanile, registrando un ampio consenso delle forze pro-europee.

La Conferenza sul Futuro dell’Europa avrà il suo battesimo il prossimo 9 maggio, probabilmente a Strasburgo, e dovrebbe concludere questa fase nella primavera del 2022.

È un percorso aperto. Non ci sono scadenze fissate, se non la raccolta sistematica di tutte le proposte di riforma necessarie per far funzionare meglio le istituzioni europee e arricchirne le finalità. Potrebbe essere un limite.

Molto dipenderà perciò dall’incisività, dall’originalità e dalla concretezza di quanto emergerà in questo arco di tempo.

Fonte: Bruno Marasà * – Sir

* per molti anni funzionario del Parlamento europeo, specialista di politica estera e della comunicazione

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