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E se finisse l’incenso?

Incendi, pascoli selvaggi e soprattutto le guerre nelle aree dov’è più diffuso, ne riducono la produzione. Il liturgista Tomatis: l’incenso è metafora viva della preghiera che sale a Dio

Tante volte la realtà è diversa da come la percepiamo. A girare per mercatini, quando l’emergenza Covid lo consente, è tutto un mescolarsi di fragranze dolciastre, di fumi sottili, di bastoncini usati per profumare gli ambienti e creare atmosfere vagamente orientali. Si accendono decine di “incensi” e certo la varietà degli aromi che solleticano le narici non fa pensare a un settore in difficoltà. La crisi invece c’è e investe la materia prima più ricercata, quella per intenderci impiegata nelle liturgie sacre.

Secondo la rivista “Nature sustainability”, infatti, della preziosa resina se ne produce sempre meno e se ne consuma sempre di più. Si calcola che tra vent’anni la sua quantità sarà ridotta del 50% e il trend, in calo, è destinato a proseguire, fino a un ipotetico azzeramento entro mezzo secolo. Oltre a incendi, pascoli selvaggi e all’azione di insetti “nemici” le cui larve si insinuano nei tronchi, la colpa va cercata nella guerra, nella violenza, che in modo più o meno cruento riguarda tutti i maggiori Paesi produttori, dalla Somalia allo Yemen, dall’Etiopia al Sudan all’India settentrionale. E conflitti vogliono dire anche campi bruciati, raccolti persi, esportazioni ufficiali bloccate, commercio in nero.

La soluzione, ovvio, sarebbe la pace ma nel frattempo si tratta di correre ai ripari, di fronteggiare l’emergenza. Nell’immediato – ha spiegato il biologo americano Stephen Johnson al “Catholic news service” – occorre garantire una maggiore tracciabilità sulla provenienza dei prodotti e potenziare l’autogestione.

Cioè puntare su coltivazioni magari piccole, private, ma in un’area più ampia. Dove la differenziazione potrebbe essere utile per provare a garantire una maggiore eticità del sistema produttivo. Nessuno in ogni caso mette in dubbio l’importanza dell’incenso, delle oleoresine secrete dalle piante del genere Boswellia, per i riti sacri. Anche se oggi – spiega Paolo Tomatis docente di liturgia alla Facoltà teologica di Torino – quando si utilizza l’incenso i nostri bambini si tappano il naso e gli adulti cercano di ridurre le volute di fumo, al contrario del Medio Evo dove bisognava stare attenti perché le persone si muovevano per andare a prendere, per “afferrare” l’incenso. E viene il dubbio che questo dipenda non solo da un cambiamento culturale a ma anche da una scarsa qualità, per cui se manca, se è più difficile reperire quello “vero” proveniente da Oriente ci si aggiusta in qualche modo. Non tutte le essenze sono uguali insomma. Penso a quelle che si possono trovare un po’ ovunque sulle bancarelle. Sono incensi che bruciano ma sono meno compatti, usati principalmente per creare un’atmosfera olfattiva. Ma non c’è solo il profumo. La forza dell’incenso utilizzato nei suoi “grani” non spezzettati e non mescolati è anche quella di produrre il fumo, che sale verso l’alto, metafora viva della preghiera a Dio. “Come incenso salga a Te la mia preghiera”, recita il Salmo 140.

Da una parte nella sua funzione olfattiva ha il significato di creare un ambiente di preghiera che sia simbolo di ordine, di pulizia, di bellezza, da cui la connessione tra profumo e ordine morale. Dall’altra parte richiama l’onore, il rispetto verso Dio ma anche verso i ministri, verso tutti i segni della presenza di Cristo: la croce, l’altare, i ministri, il popolo stesso, i morti nel rito delle esequie. Quindi segno di preghiera, segno di ordine e pulizia, segno di sacrificio, segno di onore e di rispetto. Quando si parla di incenso il pensiero corre al dono del Magi. Certo, un’offerta che è segno di venerazione, di adorazione, ma la Scrittura è ricca di molti altri riferimenti. Nell’Apocalisse l’incenso simboleggia l’adorazione. Addirittura nell’Esodo si spiega come dev’essere preparato.

Ci sono momenti in cui è obbligatorio l’utilizzo dell’incenso.
L’ordinamento generale del Messale Romano dice che nell’Eucaristia domenicale lo si può usare sempre ma in modo facoltativo. Cioè non è strettamente obbligatorio ma utilizzarlo nelle celebrazioni esprime una loro particolare solennità.

Nei riti delle esequie o della consacrazione di una nuova chiesa si prevede invece esplicitamente l’uso dell’incenso. Nelle esequie è un segno di onore e rispetto che sale a Dio in connessione con il sacrificio della vita della persona. Ci si augura e si prega perché l’esistenza del defunto sia gradita al Signore allo stesso modo con cui l’incenso sale a Dio. «Il profumo dell’incenso è segno di quel sacrificio di lode che è la vita del giusto» spiega il rito delle esequie. Storicamente le prime comunità cristiane guardavano con sospetto al suo uso, forse perché richiamava i riti pagani.

Non solo i riti pagani ma anche il culto dell’imperatore dove la dimensione civile assumeva anche un’impronta religiosa. Tanto più che proprio l’offerta dell’incenso poteva diventare il grande simbolo dell’apostasia, richiesta ai cristiani durante la persecuzione. Si può dire che per l’incenso si dava la vita, nella misura in cui rifiutarsi di bruciarlo davanti all’immagine di una divinità o dell’imperatore poteva portare alla condanna a morte. Quando, nel IV secolo, il cristianesimo diventa una Chiesa di massa, la religione ufficiale dell’impero, nel processo di sostituzione si registra anche un’inculturazione del segno che comincia a entrare poco per volta nella liturgia.

Si discute se ciò sia avvenuto anzitutto per una funzione pratica come odorare gli ambienti o, più probabilmente, per una questione simbolica, per cui come prima avveniva per le autorità civili, ora si incensano i ministri ordinati, che hanno peraltro anche funzioni civili. L’incenso viene utilizzato pressoché in tutte le religioni. Dall’Egitto pre israelitico alla religione d’Israele, a tutte le fedi del Mediterraneo e poi dell’America Latina o dell’India, è un segno che possiamo definire universale, che si accompagna a funzioni sacrificali, al grande tema del sacrificio, che rappresenta il “gesto” per eccellenza di ogni religione. Siamo partiti dal rischio di una ridotta disponibilità della materia prima. Ma dobbiamo essere preoccupati?
Non ho competenze specifiche circa le aziende produttrici ma oggi esistono ambienti come l’Africa che riescono a ottenere incensi di qualità. E certamente in un tempo nel quale si ha la capacità di mescolare i materiali e usarne di nuovi per trasformare gli elementi, si possono immaginare strategie per trovare qualità senza ricorrere alle resine preziose dell’Oriente.

Una sfida anche culturale, mi sembra di capire.
In campo liturgico si deve tenere conto di fattori nuovi, per esempio di non avere più chiese con alte volte, per cui l’incenso rischia di “affumicare” l’ambiente. Sotto il profilo culturale invece se non si è smarrito il senso del fumo che sale verso l’alto, almeno in Occidente ci si è però allontanati dal gesto dell’incensare cose e persone, per cui a volte si preferisce far bruciare i grani in un piccolo braciere anziché utilizzare il turibolo.

Fonte: Riccardo Maccioni – Avvenire

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