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San Giorgio Martire – 23 Aprile

Cappadocia sec. III – †Lydda (Palestina), 303 ca.

Per avere un’idea di quanto fosse diffuso il culto del santo cavaliere e martire Giorgio in tutta la cristianità, basta pensare che nella sola Italia vi sono ben 21 comuni che portano il suo nome, così come sei re di Gran Bretagna e Irlanda, due re di Grecia e altri dell’Est europeo.

È patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania; di città come Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi, protettore di Genova. Forse nessun santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente: chiese dedicate a s. Giorgio esistevano a Gerusalemme, Gerico, Zorava, Beiruth, Egitto, Etiopia, Georgia da dove si riteneva fosse oriundo; a Magonza e Bamberga vi erano delle basiliche; a Roma la chiesa di S. Giorgio al Velabro custodisce la reliquia del cranio del martire palestinese; a Napoli vi è la basilica di S. Giorgio Maggiore; a Venezia l’isola di S. Giorgio. Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”; l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’Aragona; il Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio, ecc.

È considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scout, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e, particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano. Il suo nome deriva dal greco ‘gheorgós’ cioè ‘agricoltore’. La Chiesa Orientale lo chiama il “Megalomartire” (il grande martire).

Si può quindi capire come il suo culto, così diffuso in tutti i secoli, abbia di fatto superato le perplessità sorte in seno alla Chiesa che, in mancanza di notizie certe e comprovate sulla sua vita, nel 1969 lo declassò nella liturgia ad una memoria facoltativa; i fedeli di ogni luogo dove è venerato hanno continuato comunque a tributargli la loro devozione millenaria.

La sua figura è avvolta nel mistero: le poche notizie pervenute sono nella “Passio Georgii” (che però il ‘Decretum Gelasianum’ del 496, classificava tra le opere apocrife); in un’epigrafe greca, rinvenuta ad Eraclea di Betania e datata al 368, che parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”, e in opere letterarie successive, come “De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 ca., il quale attesta che a Lydda (Diospoli) in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano[detta basilica era già meta di pellegrini prima delle Crociate, fino a quando il sultano Saladino (1138-1193) la fece abbattere].

La “Passio Georgii”, tradotta in varie lingue, afferma che Giorgio era nato in Cappadocia ed era figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano, o dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore dei romani, il quale, con l’editto del 303, prese a perseguitare i cristiani in tutto l’impero.

Il tribuno Giorgio di Cappadocia allora distribuì i suoi beni ai poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l’editto, confessò davanti al tribunale dei persecutori la sua fede in Cristo; fu invitato ad abiurare e, al suo rifiuto, fu sottoposto a spettacolari supplizi e poi buttato in carcere dove ha la visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione.

E qui la fantasia dei suoi agiografi spazia in episodi strabilianti: vince il mago Atanasio che si converte ed è martirizzato; viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando la conversione del ‘magister militum’ Anatolio con tutti i suoi soldati che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata; l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima ottiene che l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengono inceneriti; promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia decapitare.

Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla sua tomba nel luogo del martirio (Lydda); la leggenda del drago comparve molti secoli dopo nel Medioevo, quando il trovatore Wace (1170 ca.) e soprattutto Jacopo da Varagine († 1293) nella sua “Leggenda Aurea”, fissano la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.

Essa narra che, nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno in cui si nascondeva un drago, il quale si avvicinava alla città e uccideva con il fiato quante persone incontrava. I poveri abitanti gli offrivano, per placarlo, due pecore e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte.

Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma il popolo si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli; dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.

Proprio in quella passò il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa e, quando il drago uscì dalle acque sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.

Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo: ”Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro”.

Allora il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago facendolo portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, influenzata da una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, dove il sovrano schiacciava col piede un drago, simbolo del “nemico del genere umano”.

La fantasia popolare e i miti greci di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, elevarono l’eroico martire della Cappadocia a simbolo di Cristo che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam; e con Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) san Giorgio venne invocato come protettore da tutti i combattenti.

Con i Normanni il culto del santo orientale si radicò in modo straordinario in Inghilterra e qualche secolo dopo nel 1348, re Edoardo III istituì il celebre grido di battaglia “Saint George for England”, istituendo l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera.

In tutto il Medioevo la figura di s. Giorgio divenne oggetto di una letteratura epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio. Nei Paesi slavi assunse la funzione addirittura ‘pagana’ di sconfiggere le tenebre dell’inverno, simboleggiate dal drago e quindi di favorire la crescita della vegetazione in primavera; una delle tante metamorfosi leggendarie di quest’umile martire, che volle testimoniare, in piena libertà, la sua fede in Cristo, soffrendo e donando infine la sua giovane vita, come fecero, in quei tempi di sofferenza e sangue, tanti altri martiri di ogni età, condizione sociale e in ogni angolo del vasto impero romano.

San Giorgio è onorato anche dai musulmani, che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Forse la funzione storica di questi santi avvolti nella leggenda è di ricordare al mondo una sola idea, molto semplice ma fondamentale, il bene a lungo andare vince sempre il male. La lotta contro il male è una dimensione sempre presente nella storia umana, ma questa battaglia non si vince da soli: san Giorgio uccide il drago perché è Dio che agisce in lui.

Fonte: Antonio Borrelli – Santi e Beati

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