La figura dell’evangelista Marco è conosciuta attraverso gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo, sufficienti per tratteggiarne il quadro generale.
Nacque in Palestina o a Cipro intorno all’anno 20, era cugino di Barnaba (Lettera ai Colossesi 4,10) e quindi era ebreo di stirpe levitica.
Negli Atti degli Apostoli vi è un primo riferimento preciso su di lui nell’episodio in cui si descrive la liberazione miracolosa di Pietro dalla prigione:
Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera
(Atti 12,12)
Sua madre si chiamava dunque Maria e a quel tempo abitava nei pressi di Gerusalemme, alcuni studiosi vedono così in Marco il figlio della vedova, proprietaria della casa in cui avvenne l’Ultima Cena e in cui più volte Gesù apparve dopo la sua resurrezione. Si noti anche che Marco aveva due nomi, uno gentile e uno ebreo, Giovanni: a quel tempo era un’usanza abbastanza comune tra gli israeliti. In altri passi degli Atti viene chiamato o con il nome di Giovanni o con quello di Marco o con entrambi.
Non è noto da alcuna fonte se conobbe direttamente Gesù, ma se abitava a quel tempo a Gerusalemme deve aver perlomeno sentito parlare di lui. Di sicuro è noto che, pochi anni dopo la morte del Maestro, gli apostoli e i discepoli si riunivano a casa di sua madre.
Il fatto che sia l’unico evangelista a menzionare un giovinetto avvolto in un lenzuolo che seguiva da lontano gli avvenimenti della cattura di Cristo nell’orto degli ulivi: i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani, fa supporre che sia egli stesso quel giovinetto.
Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.
Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in casa di Marco, che poi li seguì nel loro viaggio di ritorno ad Antiochia. Viene indicato come aiutante di Paolo quando questi predicava a Salamina (Cipro) (Atti 13,5); più avanti, lo stesso libro ci riferisce che abbandonò Paolo, forse spaventato dalle tremende fatiche degli spostamenti dell’apostolo o dalla crescente ostilità che lo stesso incontrava.
In seguito alla sua defezione Paolo, partendo per consolidare le chiese della Siria e della Cilicia, si scelse come compagno Sila, mentre Marco, nel 52, partì con suo cugino per Cipro (Atti 15,37.41). In seguito Paolo dovette dimenticare questi dissidi in quanto si ritrova Marco a fianco dell’apostolo a Roma nel 62-64, secondo quanto riportato da una lettera di quest’ultimo.
Qualche anno più tardi Marco è in compagnia di Pietro, che lo cita nella sua prima lettera. Questo dimostra la grande attività svolta dall’evangelista negli anni cinquanta non solo a Cipro. Paolo nel 66 lo rivolle con sé, come indicato nella sua lettera a Timoteo:
Affrettati a venire da me al più presto… Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te, perché mi è utile per il ministero
Tim 4,9-11
Dopo la morte dell’Apostolo delle Genti, Marco rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco, secondo la tradizione, trascrisse la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare. “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha, per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”.
Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, segue uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione.
Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò, in un primo momento, il suo discepolo e segretario ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città, quindi, imbarcatosi, fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove, metre dormiva, sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus, hic requiescet corpus tuum” (Pace a te Marco, mio evangelista, qui riposerà il tuo corpo) promettendogli in questo modo che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, dove Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo e dove poi subì il martirio: fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, venne riportato in carcere, dove a notte un angelo venne a confortarlo; l’indomani Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani di recuperare il corpo e seppellirlo.
Nell’828, due mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, riuscirono a trafugare le reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia – nascoste in una cesta di ortaggi e di carne di maiale – dove giunsero il 31 gennaio 828, superando tutta una serie di peripezie e dando luogo a vari miracoli. Pochi anni dopo venne dato inizio alla costruzione della Basilica intitolata al santo.
Quella che vediamo oggi, però, fu iniziata dal doge Domenico I Contarini nel 1063: i resti degli edifici precedenti furono trasformati in cripta e la nuova basilica venne costruita sopra di essa. Già nel 1071 san Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di san Teodoro, che lo era stato fino ad allora: in fondo alla piazzetta verso il Canal Grande, le due colonne monolitiche portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo, ma reca lo scudo nella mano destra e la lancia nella sinistra, a significare che la Serenissima pensa prima a difendersi e poi a offendere.
La cerimonia della dedicazione e consacrazione della splendida basilica avvenne il 25 aprile 1094, preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa celebrata dal vescovo, il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone si spezzò e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica.
Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, per secoli posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
Il leone, simbolo di S Marco, deriva dalle visioni profetiche contenute nel versetto dell’Apocalisse di san Giovanni 4, 7. è infatti uno dei quattro esseri viventi descritti nel libro come posti attorno al trono dell’Onnipotente e intenti a cantarne le lodi, poi scelti come simboli dei quattro evangelisti. In precedenza questi “esseri” erano stati descritti dal profeta Ezechiele nel suo libro contenuto nella Bibbia ebraica. Il leone è associato a Marco in funzione delle parole con le quali comincia il suo Vangelo in riferimento a san Giovanni Battista:
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: «ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri
Mc 1,1-13
Il Battista vestiva nell’immaginario cristiano una pelle di leone (nonostante il Vangelo secondo Marco riporti che vestisse peli di cammello) e la frase evangelica della voce che grida nel deserto richiamava l’idea di un ruggito nel deserto. Il leone simboleggia anche la forza della parola dell’Evangelista.