A 28 anni dalla morte, si compiono passi importanti per la dichiarazione di venerabiltà di una figura straordinaria per la Chiesa già ritenuta da molti un “santo feriale”, vicino ai più poveri e agli ultimi
Un anniversario che è anche una festa. Ricorre oggi il 28° anno dalla scomparsa di don Tonino Bello, vescovo della diocesi di Molfetta tra il 1982 e l’anno della morte, avvenuta appunto il 20 Aprile 1993 a causa di una malattia incurabile. Don Tonino aveva 58 anni.
Perché una festa? Perché la presenza di don Tonino, che amava farsi chiamare “fratello vescovo” dai suoi concittadini, è viva e presente tra chi gli ha voluto bene e nella Chiesa.
Basti ricordare appena tre anni fa la visita ufficiale di papa Francesco sulla tomba del vescovo leccese, di cui il Pontefice ammira il carisma e la predilezione speciale per gli ultimi.
“Ascoltino gli umili e si rallegrino”, recita il motto episcopale del servo di Dio, di cui si avvicina a grandi passi la dichiarazione di venerabilità.
Ma per tanti don Tonino è già santo…
Il ricordo del nipote Stefano Bello
Cosa le rimane più presente del carisma di suo zio, don Tonino?
“Io ho avuto la fortuna di vivere da vicino il suo ministero, in particolare la vicinanza ai poveri, l’impegno per la pace e l’attenzione agli ultimi. I cardini del suo magistero. Senza dubbio mi restano impresse le virtù teologali che lui incarnava, così come il suo di vivere il vangelo per la strada in modo pratico, più che predicativo. Ho avuto modo di capire quello che lui chiamava ‘la chiesa del grembiule’, che ti fa capire che i cerimoniali e i paramenti sacri sono solo un contorno di quello che è il messaggio evangelico. Zio Tonino predicava una chiesa che viaggia sull’onda del Concilio Vaticano Secondo. Lui traduceva in vita con gesti concreti quelle indicazioni date dal concilio”.
Cosa pensa che oggi sia più attuale del messaggio di don Tonino?
“Zio Tonino aveva del profetico, il suo messaggio è di una straordinaria attualità, basti vedere quello che è successo nel Mediterraneo, o quello che accade in Africa, con le guerre di potere; lui già all’epoca è stato un precursore di tanti argomenti, come ad esempio l’informatizzazione la digitalizzazione, lui ci metteva in guardia da un utilizzo sconsiderato dei mezzi di comunicazione”.
Come parla oggi don Tonino Bello alla sua gente?
“Sono gli ultimi i veri destinatari del messaggio evangelico, a cui si rivolge sempre don Tonino. Credo che questo sia stata la sua forza. Mi piace definirlo un santo feriale, non è la classica statua da portare in processione, sulla quale recitare le preghiere, ma è per noi come un esempio da seguire. Ho imparato tramite lui a vedere i santi come esempi, guide, fari, ai quali rivolgersi non perché si debba ottenere una grazia straordinaria, ma perché ci indichino la direzione da prendere quando non sappiamo come comportarci davanti a varie situazioni. Tutto parte dalla Parola di Dio, ma quella particolarità della contemplazione unita all’azione, che come lui stesso diceva ci deve fare dei contempla-ttivi, è il modo di interpretare nella maniera pratica e giusta ciò che ci arriva da Dio, in gesti concreti”.
Le celebrazioni odierne
Oggi, nella chiesa collegiata del Santissimo Salvatore ad Alessano, città natale di don Tonino, sarà il nuovo arcivescovo di Napoli mons. Domenico Battaglia a celebrare la santa messa in memoria del vescovo leccese, eucarestia concelebrata da mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento.
Un’occasione per ricordare, ma anche per sottolineare – sebbene con numeri ristretti per le norme anti-Covid imposte dalla zona rossa – che la memoria di don Tonino Bello è memoria di tutta la Chiesa.
Renato Brucoli, giornalista scrittore ed editore di molti libri e scritti sul vescovo leccese, è stato a fianco di don Tonino negli anni del suo episcopato molfettese come direttore del settimanale diocesano Luce e Vita. Da così vicino, ha avuto un punto di osservazione privilegiato della vita del presule, di cui finalmente, dopo ventotto anni dalla morte, si avvicina il momento della proclamazione di venerabilità, si suppone entro l’anno in corso.
Tra i fatti che danno speranza di questo ai tanti che lo reputano già santo, la recente donazione da parte della famiglia Bello delle spoglie mortali alla Chiesa di Ugento, che le collocherà in una chiesa, dopo le dovute ispezioni e verifiche del caso.
“Io credo e mi auguro – afferma Brucoli – che vengano poste nel santuario mariano di Santa Maria di Leuca, per tanti motivi: la radice mariana profondissima di don Tonino Bello, poi perché lui aveva espresso la volontà di essere sepolto nella sua terra d’origine, che non vuol dire necessariamente Alessano. Poi perché questo santuario si affaccia sul Mediterraneo, che don Tonino ha sempre pensato come un mare di pace e luogo di accoglienza, che potesse essere solcato da arche di pace”.
Cosa significa questo per la causa di beatificazione?
“Mi accorgo che la Chiesa italiana e non solo è sempre più attenta alla figura di don Tonino, ne è capace di recepire il messaggio. Anche la presenza oggi ad Alessano di mons. Battaglia, che porta da quando è diventato vescovo la croce pettorale di don Tonino, così come mons. Lorefice e lo stesso cardinale Bassetti… Questo significa al di là dei simboli che c’è molta attenzione alla figura di don Tonino e al suo magistero. Poi c’è l’assonanza sempre più acclarata di questa figura con quella di papa Francesco, e un’altra cosa che mi fa molto piacere, don Tonino è ulteriormente rivalutato come vescovo conciliare, perché il tentativo in atto è quello di rendere la Chiesa sempre più conforme al concilio”.
Quali sono gli elementi della vita di don Tonino Bello che le sono rimasti più impressi?
“Avevo colto immediatamente il suo tratto di santità, legato alla testimonianza di carità che ha offerto in diocesi, mente la maggior parte delle persone attorno a lui non lo coglievano affatto. Dico questo perché sotto il profilo della carità egli non ha delegato nulla gli altri, perché in tanti modi si è dato da fare. Basti pensare a tutte le circostanze che lo hanno visto attivo. Mi ha colpito sempre il profilo della santità legato alla sua carità cristiana, non come assistenzialismo ai poveri, ma come capacità di riscattarli dalla loro condizione, come capacità di servire il mondo nei percorsi di emarginazione. Questa caratteristica che io di lui colsi immediatamente, spesso veniva commentata come la ricerca di un protagonismo da parte sua, di un volersi mettere in mostra. Ma questa capacità caritativa come dono della sua persona, come oblazione piena, io l’ho percepita nella sua natura ed essenza. Ed ero certo che nel tempo sarebbe emersa in tutta la sua evidenza”.
La testimonianza di un sacerdote
Mons. Antonio Ruccia, parroco di Bari e docente della Facoltà Teologica è autore di ben tre libri sulla figura del vescovo Servo di Dio, così commenta l’eredità di don Tonino Bello:
“Per me rappresenta il massimo, nel senso che è l’icona più bella della chiesa del concilio che ancora una volta risplende anche in questa situazione assurda della pandemia. Don Tonino ha cercato di comunicare agli altri l’amore di Gesù Cristo, parlando con le cose del mondo e con il linguaggio del mondo. Se ad esempio i Beatles sono stati la chiave di volta della musica, segnando il passaggio da quella classica a quella melodica, don Tonio è colui che ha dato la svolta per sapere leggere la storia secondo le pagine dell’attualità. E’ la sintesi culturale e umana del vangelo di oggi”.
Come si relazionerebbe secondo lei don Tonino con la situazione attuale in cui ci troviamo?
“Oggi ci avrebbe stimolato a non avere paura della pandemia e ci avrebbe anche richiamato a non aggirare le croce, ma a danzare con Maria sotto la croce per cantare il magnificat della liberazione. Si sarebbe rivolto, come allora, a quanti oggi hanno perso il lavoro, alla gente ha dimenticato l’amore di Dio. Oggi don Tonino ci avrebbe tirato su, dicendo ‘Forza è il momento di esorcizzare la pandemia, non attraverso le diavolerie odierne, ma attraverso il combattimento della fraternità’. Perché la pandemia ci a fatto tornare tutti uguali davanti a un nemico comune. Don Tonino ci avrebbe ricordato che la fraternità è la risposta alla pandemia”.
Fonte: Mariangela Musolino – Interris.it