(con poco preavviso, anzi pochissimo)
Sabato sera, al termine di una settimana di lavoro e incombenze, sei lì lì per scivolare tra le braccia suadenti di Morfeo, cercando di guadagnare la riappacificazione tra il mondo esterno e quello interiore, mentre anche l’ultima luce si smorza e gli occhi stanno finalmente per cedere al buio, il trillo di una notifica, l’unica che sfugge al controllo della modalità silenziosa, spezza l’incantesimo. Ed è subito ritorno alla realtà. La posta certificata, l’unica autorizzata all’allerta, invita a presentarsi all’indomani, ore 09 presso il Centro hub all’uopo organizzato, per la prima dose del vaccino. Stop.
Freddo, sterile, implacabile. Senza nemmeno un barlume di incoraggiamento, un accenno di sostegno del tipo “non temete, il vaccino qualunque sia la marca, è sicuro”, niente: buonanotte ai suonatori, ci penserò domani. Peccato, volevo dormire un po’ di più visto che sarà domenica, ma tanto come sempre succede, resta un ingenuo desiderio come ogni altra domenica; la sveglia biologica può tardare di una mezz’oretta ma nulla di più.
E così ci svegliamo, anche senza la sveglia e poiché il tempo c’è, mi anticipo un pochino sull’appuntamento, non si sa mai.
Dall’ingresso principale del Palazzetto dello Sport tutto tace, sembra vuoto, penso: che fortuna, sono la prima, tra incombenze e scartoffie varie dovrei riuscire a fare in tempo per la messa delle 11.00. Parcheggio, entro nell’area sosta e scopro che prima di me varie decine di persone avevano fatto il mio stesso identico pensiero. Anticiparsi.
La prima barriera di quello che mi sembra da subito un video gioco dei miei tempi, tipo Tetris, propone di guadagnare il primo ingresso, che non era quello principale, ma uno dei tanti secondari.
La distanza di sicurezza tra gli avventori inizialmente è diligentemente osservata, più per confusione che per persuasione, ma alla vista della prima divisa, – poco importa il colore, nel nostro caso rossa di croce rossa italiana – un silente quanto mai pronunciato “rompete le righe” fa accalcare tutti all’imbuto di ingresso in attesa di una indicazione, un indizio, un’informazione o solo un primo numero. La persona che indossa la divisa guarda la folla, la folla guarda questo ignaro puntino rosso e, nell’attesa di non si sa bene cosa, si inizia a bofonchiare, da sotto la mascherina, sulla disorganizzazione, sull’esser trattati come numeri, sui contagi e qualcuno ha osato anche sull’economia e l’estinzione dei pappagalli blu.
Di domenica a quest’ora i negozi sono chiusi, peccato: i popcorn smangiucchiati tra un botta e risposta di questo o quell’altro, ci sarebbero stati bene. Chissà se occorre stare digiuni prima o dopo il vaccino, a proposito, ma che vaccino somministrano? Chi vivrà vedrà. Ed ecco il film delle puntate precedenti sulla cultura che ci siamo fatti nei salotti televisivi su AstraZeneca, Johnson, Pfizer, Moderna, Sputnik, almeno quelli che sin d’ora hanno fatto parlare di sé, mentre, alla fine di una lunga disquisizione mentale tra me e me – patologie inesistenti, timori malcelati, con le varie ed eventuali che non mancano mai -, cedo le armi ad una rassegnata più che sentita fede in un “che il Signore ci assista”, sarà quel che deve essere.
La bolla che custodisce le ipotesi da esperto virologo quale non sono, viene improvvisamente fatta scoppiare (notare la ferrea tenuta stagna) dal fermento che inizia a sentirsi con più insistenza nel famoso imbuto e così le teorie, le formule, i pro e i contro scappano e si librano nell’etere, uscendo da un fumetto la cui linea non è mai stata chiusa.
Superato il primo livello di non conoscenza tra chi è arrivato prima e chi dopo, tra chi è in sedia a rotelle e chi si aiuta con le grucce, un altro colore di divisa, questa volta nera della protezione civile, va avanti e indietro tra il fuori ed il dentro e finalmente compare una terza divisa, la polizia municipale, che con un mazzetto di fogli formato A4 ha l’aria di dare il via di inizio.
Eccoci dunque pronti a riscaldare le macchine per il prossimo livello, l’ordine impartito da un timbro di voce fin troppo poderoso, tanto da far svolazzare via gli ultimi o i penultimi dubbi è “in ordine di arrivo mettetevi in fila” (per tre col resto di due) che vi do i numeretti con i quali sarete chiamati.
E il solito luogo comune fa innalzare la battuta scontata del siamo tutti dei numeri. E va beh, di domenica mattina, tra la noia e la paura, pure ci sta.
Parte la corsa al superamento della prima barriera, un avamposto di qualcosa che è oltre e che fa presagire un altro avan qualcosa. Ma la faccenda è di non agevole soluzione e scorrimento, i fogli A4 sono volanti, gli elenchi sembrano essere in disordine alfabetico e in qualche caso il nome è sostituito dal cognome. Nulla di fatto, bisogna leggerli uno a uno e questo ogni volta che si consegna il numeretto.
Tra i primi a guadagnare la transenna c’è il solito intelligente che si lamenta, con l’ardire di farlo ad alta voce tanto per smorzare il sintomatico mistero degli occhiali da sole, che sostiene di stare lì dalle 7 e pur avendo appuntamento alle 10:30 (mentre gli altri erano convocati per le 9:00) pretende di entrare per primo. Quelli delle divise devono essere stati addestrati al disinnesco, non degli ordigni esplosivi ma delle polemiche pretestuose. Abili non c’è che dire, il tipo entra e nessuno fiata ma dagli sguardi poco circospetti il malcapitato di turno nel cordolo per entrare passa virtualmente davanti ad un silente plotone di esecuzione.
Guadagno il primo livello con il numero 76, supero la prima barriera ed entro nello spazio successivo, altro giro, altra corsa, altra maschera di un nuovo Tetris, dove chi è già entrato si è seduto, occupando tutte le sedie già distanziate e chi entra, anche senza suggerimento, sa che deve sedersi su una di quelle libere. Solo così ci si uniforma, annullando la prima linea e passando al livello successivo.
Mi ritrovo seduta, guardo l’ora dal cellulare, alla mia sinistra si stendono tre banchi separati dove si fa accettazione e rapidamente scopro che le voci urlanti i numeri sono discordanti e rapidamente mi avvolge la sensazione di essere fuori posto con il mio tapino 76. Da destra arriva “novantaquattrooooooooo” da sinistra arriva “sessantadueeeee seidueeee” e immancabile come alla tombola di Natale il tipo dell’ultima fila chiede: “ma il 79 è uscito?” quelli che vengono da destra dicono sì, quelli di sinistra non rispondono, ma il tipo si alza e si affretta al banchetto del prossimo livello, qualcuno mormora che ancora non siamo arrivati al suo numero, ma lui imperterrito fa finta di non sentire e si avvicina lo stesso.
Nella pantomima, rimandato a posto, ci ha guadagnato una posizione in piedi più vicina alla postazione, perché nel frattempo la sua è stata occupata; il Tetris è così, quando arriva un blocco, se può, occupa il primo spazio libero.
Quelli seduti già da un pezzo si guardano tra loro, ringhiano sotto la mascherina e socchiudono gli occhi puntando con l’immaginario mirino di precisione il tipo che non è né tra i chiamati di destra né tra i chiamati di sinistra e che resta in piedi perché, nel frattempo che si è alzato qualcuno, chi arriva da destra è stato invitato a sedersi. Al posto suo. La lista scorre, qualcuno si alza e guadagna la postazione, ancora visibile all’utenza, dove ci siede nuovamente e ci si interfaccia con qualcuno che dal computer guarda che il prenotato sia lui e non qualcun altro. Da lontano null’altro si scorge.
Da lì, poi ci si incammina verso un’area che sfugge alla vista dei presenti, l’area vaccini.
Di quelli che, con ogni probabilità, hanno fatto il vaccino nessuno ha notizia: verosimilmente c’è, al di là degli scomparti modulari creati per privacy, un passaggio segreto, perso dietro a qualche pannello, chissà un portale tridimensionale che, dopo l’inoculazione, smolecola le persone e col teletrasporto le materializza direttamente in cucina a sminuzzare le verdure del soffritto per il bucatino al coniglio all’ischitana o al giorno dopo, sul posto di lavoro, come se nulla fosse accaduto e come se questo giorno non fosse mai esistito. Non fosse altro per non doverne parlare giustificandosi con i no vax o con i vax sì ma solo se è una determinata marca.
Nel frattempo penso che tra polizia municipale, croce rossa italiana, protezione civile e infermieri e medici in camice, non mi meraviglierebbe scorgere, appena il sole si alza un pochino nel cielo, il luccichio del fucile di precisione di qualche cecchino appostato sui tetti prospicienti il piazzale…. Giusto per essere sicuri che tutti quelli che entrano (compreso il barista che porta l’acqua) ne escano vaccinati.
Ed è subito 76, sette sei, e come in un video a velocità aumentata, mi ritrovo seduta davanti al check-in a confermare l’età, le patologie che non ho, i farmaci che non prendo e la mia strana posizione, né da AstraZeneca e non ancora da Moderna, categoria non ancora da Johnson, tutto sommato forse un rassicurante Pfizer, che mi pone una questione di fondo su alcuni interrogativi rimasti incastrati nel fumetto di cui sopra, malgrado il recinto sia stato aperto.
Quelli del Pfizer è meglio che siamo sicuri non muoiano mentre quelli dell’AstraZeneca tutto sommato possiamo pure correre il rischio di perderne qualcuno o viceversa? Pure sul Johnson però le recensioni non sono idilliache e nel frattempo il tipo delle 10:30 e che però è entrato per primo, è riuscito a litigare con una delle divise, ha vinto il bonus, che in qualche trasmissione si chiama Tapiro d’oro.
È ricomparso dopo il probabile vaccino e pretende di uscire dall’entrata, il che è vietato, la regola non scritta e non firmata era che doveva scomparire dietro i pannelli, nel famoso portale, accidenti, così rovina tutto il piano. Ma ormai è all’uscita e nessuno fuori saprà nulla di lui. Risparmierà il plotone di esecuzione questa volta.
Tempo di voltare lo sguardo e ad un passo dall’entrata, livello successivo guadagnato, un attimo prima di entrare nel posto segreto deputato ai vaccini, un vecchietto, che si era alzato avendo sentito un numero per un altro, ha guadagnato il mio posto per un attimo di empatia accondiscendente tra me e il vaccinatore. Ormai si era alzato, inutile farlo tornare indietro, si va avanti e si guadagna il bonus. Riprende la velocità di scorrimento della pellicola di un film in cui nessuno è protagonista, siamo tutti delle comparse sostituibili dell’attore principale, che nemmeno voglio nominare perché è da un anno e mezzo che ci propina lo stesso film autocandidandosi all’oscar della pellicola peggiore di tutti i tempi.
Si fa orario di Messa, giusto in tempo per una nuova puntata, un nuovo livello, una dimensione più dinamica di quella di prima, fortuna che è finita, è Game over. Alla prossima puntata, il giorno della seconda dose.