In occasione della 55sima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebrerà domenica 16 maggio, papa Francesco ricorda Manuel Lozano Garrido, primo giornalista laico beatificato.
«Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita». Sono le parole del beato Manuel Lozano Garrido, il primo giornalista laico beatificato, che papa Francesco ricorda proprio all’inizio del Messaggio per la 55ma Giornata mondiale delle comunicazioni Sociali, che si celebrerà domenica 16 maggio.
«Curiosità», «apertura», «passione», sono le caratteristiche che il papa addita a chi si occupa dell’informazione e mette in guardia sulla deriva di una professione che non sa «intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone». «Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole – ricorda il pontefice -. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere».
Anche il beato Lozano Garrido nei suoi scritti esorta i giornalisti a «far brillare sempre la stella della Verità», identificata da lui con la figura di Cristo. Vede Gesù come paradigma della comunicazione, mettendo in parallelo le notizie e la Buona Novella del Vangelo.
«Missionario della macchina da scrivere», con un carattere estroverso, gioioso, ottimista, Manuel Lozano Garrido nasce in Spagna, a Linares, il 9 agosto 1920 da una famiglia molto religiosa e piuttosto benestante. Quinto di otto figli, fin da giovane aderisce all’Azione Cattolica, scelta che segna la sua vita formandolo ad essere testimone della fede anche nella sua professione.
Da adolescente vive il dramma della guerra civile spagnola e l’uccisione del fratello maggiore. Ha solo sedici anni quando si assume l’incarico di portare, di nascosto e a prezzo della vita, la comunione ai cristiani perseguitati. A diciotto anni viene arrestato perché «cristiano troppo praticante» e trascorre la notte di un giovedì santo in cella, adorando l’Eucaristia che era riuscito a portare con sè. L’Eucaristia, infatti, sarà sempre fonte e culmine della sua spiritualità. Proprio verso la fine della guerra iniziano a manifestarsi i primi sintomi della spondilite, una malattia degenerativa che lo porterà a vivere per 28 anni su una sedia a rotelle. La malattia, però, non spegne il suo entusiasmo, l’amore per la vita e il desiderio di scrivere per comunicare la fede.
Vive la professione di giornalista come apostolato attraverso la carta stampata. Il lavoro gli consente di rimanere in contatto con il mondo e di mettere le sue capacità a servizio di una visione cristiana della vita. Molto attento alle problematiche contemporanee, Manuel propone soprattutto la dottrina sociale della Chiesa come un sicuro orientamento per i problemi della società. Scrive nove libri di spiritualità e tantissimi di articoli per diverse testate, nei quali testimonia la sua fede. Finché la malattia glielo consente utilizza la macchina da scrivere poi, quando perde la vista, detta i suoi testi alla sorella.
Compone anche un «decalogo del giornalista» nel quale raccomanda agli operatori della carta stampata di «pagare con la moneta della franchezza», di «lavorare il pane dell’informazione pulita con il sale dello stile e il lievito dell’eternità» e di servire «il buon cibo della vita limpida e piena di speranza».
Fonda anche l’opera Sinai, con la quale vuole sostenere il lavoro dei giornalisti. L’associazione Sinai è formata da gruppi, ognuno composto da dodici persone con disabilità e un monastero di clausura. Ogni gruppo «adotta» spiritualmente i giornalisti che lavorano in un giornale o in un gruppo editoriale affinché la loro opera sia orientata alla verità e al bene.
Manuel è maestro e testimone della missione laica dei giornalisti, mette al centro della narrazione la persona, sicuro di trovare, in ogni evento della storia, tracce di Bene perché – afferma -, Gesù «ci insegnò a non togliere mai gli occhi da ciò che ci circonda, per approfondire la realtà, meditandola ed amandola con passione».
Fonte: Vittoria Terenzi – Cittànuova.it