Tra miti antichi e dialetti locali
Strano questo titolo no? Che cosa può mai avere a che fare il greco antico con la nostra quotidianità? Tantissimo, parola di una ex insegnante innamorata delle lingue classiche. Abbiamo un debito enorme nei confronti delle lingue antiche e col greco in particolare.
Vi dirò, parliamo greco non solo attraverso la lingua italiana, ma anche tramite i dialetti locali: il napoletano e le varianti vernacolari dei vari comuni dell’isola d’Ischia. E, per entrare nell’argomento, vi racconterò la storia meravigliosa delle nostre radici elleniche. Storicamente la civiltà greca ha influito in maniera innegabile sulla fondazione di Ischia e Napoli, territori plasmati da undici secoli di una civiltà che ha caratterizzato il modo di vivere degli abitanti, negli usi e costumi, fino alla parlata.
Napoli, che era la città più grande e più importante della Magna Grecia fu in realtà fondata nel VII sec. A.C. dai Cumani, in fuga dalla più antica colonia greca d’occidente, la nostra isola chiamata allora Pithecusa. E in quei territori si parlava l’antico dorico, poi soppiantato nel tempo da Roma col suo “latino parlato” da soldati, coloni, amministratori e personaggi di spicco.
Ma oltre alla storia disponiamo di svariati miti e leggende che si sono accavallati nel corso dei secoli sulla genesi di questa splendida città. Adagiata nelle acque del golfo impreziosito dalle isole di Capri, Ischia e Procida, splendidamente sormontata dall’isolotto di Megaride, nel bel mezzo della Magna Graecia, sorgeva la bellissima Partenope. Sirena di sublime bellezza, (vergine in greco antico)secondo il mito, avrebbe dato vita alla città. Ma che cosa sappiamo di preciso? Tante sono le voci: alcuni narrano che snobbata da Ulisse e non accettando mai il rifiuto dell’eroe acheo, si uccise e fu trascinata dalle correnti marine proprio tra gli scogli di Megaride (dove oggi sorge Castel dell ’Ovo).
Lì fu trovata da alcuni pescatori che la venerarono come una dea. Una volta approdato sull’isolotto, il corpo della sirena si dissolse trasformandosi nell’esuberante morfologia del paesaggio partenopeo. Nelle “Leggende napoletane” di Matilde Serao, Partenope ama alla follia Cimone, nonostante l’ostilità del padre che l’aveva promessa in sposa ad Eumeo.
I due amanti fuggono via, da un paesino greco affacciato sul mar Ionio ed approdano nelle terre che ancora portano il nome della ragazza, Partenope, amata e rispettata per la pietà e la generosità che aveva dimostrato verso chiunque arrivasse su quelle terre. E per capire la vitalità di questo luogo, riporto uno stralcio di Matilde Searao: “Se interrogate uno storico, o buoni ed amabili lettori, vi risponderà che la tomba della bella Parthenope è sull’altura di San Giovanni Maggiore, dove allora il mare lambiva il piede della montagnola. Un altro vi dirà che la tomba di Parthenope è sull’altura di Sant’Aniello, verso la campagna, sotto Capodimonte. Ebbene, io vi dico che non è vero. Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano, ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell’arancio; è lei che fa fosforeggiare il mare” ( Leggende napoletane-Matilde Serao).
Eppure, sebbene si parli ancora oggi di Partenope e partenopei, la città cambiò il nome in Neapolis (dal greco “nuova città”). Come vedete i miti greci hanno impregnato non solo i luoghi campani, ma anche l’arte, le abitudini e immancabilmente il linguaggio, che ancora oggi ricalca icasticamente le origini greche.
Nel dialetto napoletano, oggi ritenuto una vera e propria lingua dall’Unesco, non si può far a meno di notare l’etimologia di termini che utilizziamo quotidianamente come “pazziare”, che riproduce fedelmente il suono del verbo παίζω (paizo), il cui significato è “giocare, scherzare”; “nzallanuto”, che deriva dal termine σεληνιάω (seleniào), letteralmente: essere lunatico; “càntero”, derivato da κάνθαρος (kàntharos), con cui si soleva indicare una bacinella a forma di vaso (divenuto a Napoli il vaso da notte); “accattare”, che foneticamente rimanda a κτάομαι (ktàomai), letteralmente “acquistare”; “putèca”, la cui origine è ἀποθήκη (apothèke) per indicare una farmacia; “ciofèca”, che è da attribuirsi a κωφός (kofòs), letteralmente “sgradevole”; “pacchero”, costituito da πᾶς (pàs), tutto, e χείρ (chèir), mano, che indica un sonoro schiaffone dato con tutta la mano.
Ma non finisce qui. Vi ho accennato anche ai dialetti dell’isola d’Ischia che già nel nome più antico richiama la lingua greca. Pithaecusa è da mettere in relazione forse con cercopi o scimmie, dal greco πίθηκος (pithecos), ma l’etimologia più accreditata è riportata a πίθος (pitos), botte o vaso di creta, per l’arte del vasaio praticata dagli abitanti di Lacco Ameno, la prima zona in cui approdarono i Greci.
Anche il nome del piccolo comune richiama la lingua greca: Laccos (conca, pianura) ameinon (migliore), a significare che era l’ideale per stanziarsi e coltivare la fertile pianura che doveva esserci. Interessantissima anche l’etimologia della località Panza che deriverebbe da “pan-tutto e zao/zo-vivo”, località splendida e dalla natura rigogliosa e lussureggiante.
E proprio qui, in questa località della nostra isola si parla un dialetto piuttosto difficile da imparare, un dialetto che è testimonianza della colonizzazione greca di questo luogo. Riporterò solo alcune delle numerose parole ancora in uso, quelle che meglio possono farci comprendere quanto il greco antico abbia influito in maniera incisiva anche sulla lingua locale.
- Kresòmmela – albicocca < crusomhlon/crusomelon – pomo, frutto dorato
- Karusieghie – salvadanaio < kara o karh/ ciò che è duro
- Tsimbre – caprone < cimaroV, Chimaros capro
- Kannàte – brocca < kannata/cannata
- Foleke – covo di conigli < folea o fwleuw, esser vivo in covo
- Mummele – vaso a base larga e a collo stretto < bombuloV bombulos
- Skafareiè – scodella < skafuroV scafuros
- Kufanature – vaso per bucato < hufonotoz Eufonotoz dal dorso incurvato
- Krast’- coccio < grasta grasta ( klaw clao rompo)
- Ennà – dire di no < en neuw enneuo o < ananeuw ananeuo faccio cenno di no.
La negazione si esprime con il gesto greco, diffuso anche nei Balcani, di piegare fortemente la testa all’indietro: ennà, no assoluto. Ci sarebbe ancora tanto da dire, anche sulla lingua italiana in cui i grecismi abbondano, ma questa sarà un’altra storia.