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Tempo Divino – I sarcofagi di Bethesda arrivano ad Ischia

E alla fine sono arrivati.

I due sarcofagi che avevano costituito la mostra “Tempo divino – I sarcofagi di Bethesda e l’avvento del Salvatore nel Mediterraneo antico” presso i Musei Vaticani sono finalmente sbarcati a Ischia. Li aspettavamo giusto un anno fa, ma, causa Covid e chiusura dei musei, si sono fatti attendere, ma ora è stato possibile organizzarne l’esposizione nel palazzo vescovile di Ischia. Una piccola mostra, ma molto significativa e particolare, che, oltre a un ricco apparato iconografico, presenta due sole opere, affiancate e contestualizzate nel loro periodo storico: il “sarcofago di Bethesda” della Diocesi di Ischia e quello con lo stesso nome appartenente al Vaticano.

Opera molto poco conosciuta e solo dai pochissimi studiosi che se ne sono occupati in passato, il nostro sarcofago si trovava, fino a qualche anno fa, murato sopra l’architrave di una porta nell’appartamento privato del Vescovo, dove era stato posto nel 1866: una delle poche date certe e documentate che abbiamo. Ma, per volontà di Mons. Pietro Lagnese, e con il sostegno del direttore dell’Ufficio Beni Culturali della nostra Diocesi, don Emanuel Monte, quest’opera preziosissima e delicata è stata smurata – con la massima attenzione, vista pure la presenza di una venatura che faceva temere un possibile danno – ed è stata affidata per il restauro ai Musei Vaticani.

Come aveva sottolineato Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani, al momento della presentazione della mostra in Vaticano, è una cosa decisamente insolita che questi ultimi si occupino del restauro (affidato stavolta alle mani esperte di Valentina Lini che già aveva restaurato il sarcofago vaticano) di un manufatto appartenente ad un piccolo museo diocesano.

Siamo alla fine del IV secolo – apertosi, nel 313, con l’Editto di Milano o di Costantino che concedeva libertà di culto a tutte le religioni, quindi anche ai cristiani – e le opere d’arte cominciano a celebrare il trionfo glorioso di Cristo.  In particolare, durante i pontificati di Damaso e Siricio (fra il 366 e il 399) la figura del Salvatore è protagonista di una serie di sarcofagi che prende il nome dalla raffigurazione centrale: la guarigione del paralitico presso la piscina di Bethesda a Gerusalemme (Gv 5,1-18). Ai lati, sono scolpite altre scene evangeliche, e precisamente la guarnigione di due ciechi a Cafarnao, la guarigione dell’emorroissa, la chiamata di Zaccheo e l’ingresso di Gesù in Gerusalemme.

Come mai queste immagini così precise e dettagliate su un sarcofago? Da un lato la guarigione del paralitico è chiaro riferimento alla resurrezione del defunto in esso contenuto, dall’altra queste immagini erano una specie di “Bibbia dei poveri”, un “itinerario teologico” che serviva a diffondere in tutto il Mediterraneo il messaggio evangelico. Ideata a Roma, questa tipologia di decorazione si diffuse sulle sponde del Mare nostrum, risalendo poi i fiumi, tanto da raggiungere i centri della Gallia, la Penisola Iberica, la costa africana e la nostra isola; almeno sedici sono le testimonianze che ci restano, anche se la maggior parte ridotte a semplici frammenti; solo tre possono dirsi interi: quello murato fin dal Medioevo sulla facciata della Cattedrale di Tarragona, in Spagna, quello appartenente al Museo Pio Cristiano in Vaticano, e il sarcofago di Ischia. A differenza di quello vaticano, che presenta numerose fratture e staffe di tenuta oltre a vistose integrazioni settecentesche, il sarcofago ischitano è pressoché integro permettendo quindi una lettura molto precisa delle immagini rappresentate.

E avere ora la possibilità, qui sull’isola, di vedere il nostro sarcofago affiancato a quello vaticano, di scoprire le differenze tra i due, studiarne volti, figure e dettagli è davvero qualcosa di emozionante. E ora è stata allestita la mostra, che resterà aperta fino a fine ottobre. A quel punto, il sarcofago dei Musei Vaticani tornerà a Roma, mentre il nostro troverà la sua definitiva collocazione all’interno della sezione lapidea del rinnovato Museo Diocesano Ischitano, il MUDIS, a disposizione degli studiosi che hanno certamente tanto da indagare, e a testimonianza di quel ruolo di crocevia nel Mediterraneo che Ischia ha rappresentato nell’antichità.

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