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Festa dell’Ascensione del Signore

Omelia di Mons. Lagnese Domenica 16 maggio (At 1, 1-11; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20)

In occasione della celebrazione eucaristica per il 25° della professione solenne di Suor Tomasa e Suor Alice, presso la Chiesa Cattedrale

L’occasione per me è propizia per dire grazie per la vostra partecipazione e comunioneprofonda che nei miei otto anni di ministero qui ad Ischia mi avete testimoniato, per essermi state vicino e per avermi accompagnato con la preghiera e aver sofferto con me e condiviso il mio cammino”.

Con queste parole Mons. Lagnese ha voluto esprimere la sua riconoscenza a Suor Tomasa e Suor Alice nel giorno del 25° anniversario della loro consacrazione e del rinnovo della promessa, lodando soprattutto loro capacità di essere in comunione, di operare per il bene comune e non per il proprio particolare, mettendo in pratica quanto espresso da san Paolo nella Lettera agli Efesini, essere cioè degni della chiamata ricevuta, agendo con umiltà, dolcezza e magnanimità.

L’occasione è caduta nel giorno in cui la Chiesa festeggia l’Ascensione di Gesù al cielo, festa che ci invita, ha detto Mons. Lagnese, ad esultare, a gioire. Una gioia che è ben motivata per ogni cristiano, a partire da tre presupposti che proprio la festa dell’Ascensione ci ricorda.

Il primo motivo è che senza dubbio se Gesù ascende al cielo non ci lascia certo orfani: “La sua presenza è più grande e va oltre i nostri confini spazio – temporali, egli è presente sempre ovunque ci sia una comunità, anche se piccolissima, riunita nel suo nome”. Il secondo motivo è che se Gesù ascende vuol dire anche che la sua missione è totalmente e perfettamente compiuta, la sua vicenda terrena si è conclusa positivamente, il regno di Dio è già iniziato.

Il compimento della sua missione ha per noi una ricaduta fondamentale, poiché egli ci offre la possibilità, come battezzati, se lo vogliamo, di uscire dalla schiavitù del peccato in virtù di ciò che egli ha acquisito per noi attraverso il sacrificio della sua vita. Il terzo motivo è che Gesù ascendendo ci porta tutti con sé: “L’umanità sale al cielo con lui ed ha accesso al Paradiso, tutti coloro che sono uniti al suo corpo e formano la Chiesa”.

Attraverso Cristo siamo dunque stati elevati alla dignità di figli di Dio e siamo invitati a partecipare alla stessa gloria di Dio, siamo tutti cittadini del cielo. La Chiesa – ha precisato Mons. Lagnese – ha però il compito di annunciare questa notizia, non solo: deve mostrarla con l’esempio della sua vita. La vita consacrata in particolare ha questa specifica missione: “Far vedere i cieli, farne venire la voglia”, come i due personaggi del brano degli Atti che costituisce la Prima Lettura, che chiedono ai discepoli rivolti verso il cielo cosa mai guardassero, poiché ‘Questo Gesù che è stato assunto al cielo verrà allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo’.

La missione di consacrati e di testimoniare che egli verrà a prenderci con lui. Oggi come mai prima c’è bisogno di persone contemplative, in grado di parlare di cielo e di Vangelo. Mons. Lagnese ha proseguito elencando i segni che accompagnano coloro che hanno fatto questa scelta di vita, coloro che credono, come dice il Vangelo di Marco. Si tratta di segni che ad un primo ascolto potrebbero sembrare atti di magia, ma che vanno invece compresi nel loro significato più concreto e realizzabile.

Il primo segno: “Nel mio nome scacceranno demoni” – chi si apre al Vangelo è in grado di chiudersi alle tentazioni del demonio, scacciando dalla propria mente i pensieri che lo allontanano da Dio. Il secondo segno: “Parleranno lingue nuove” –  l’uomo che ha fede sa comunicare usando la lingua dell’amore, sa costruire, incoraggiare e non parla per distruggere. Il terzo segno: “Prenderanno in mano serpenti” –  chi ha fede sa affrontare i problemi e le difficoltà della vita senza scappare. Il quarto segno: “Se berranno qualche veleno non recherà loro danno” – se i demoni sono dentro di noi, essi vengono anche d fuori e possono contagiarci esattamente come virus, per scoraggiarci e farci credere che non siamo figli di Dio.

Il quinto segno – “Imporranno le mani ai malati e questi guariranno” – si è capaci di fare gesti di guarigione, di riconciliazione, di vita e non di morte. Mons. Lagnese ha concluso la sua omelia augurando per ognuno di noi di essere così, portatori dei cinque segni, annunciatori della bella notizia.

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