Il reggente della Prefettura della Casa Pontificia racconta il “mestiere” del vescovo attraverso il pensiero di San Paolo VI
Il vescovo è pastore. Dono totale, supremo, dono gaudioso. Ma, molte volte, anche “dono doloroso”. Il vescovo è un cuore, dove tutta l’umanità trova accoglienza. Come osservò Paolo VI in un suo discorso del 30 giugno 1974. Il cuore del Pastore nel “mestiere” del vescovo.
A descriverlo è padre Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia. Autore di apprezzati saggi come “La Parola ai poveri” (Edb), del quale esce adesso il nuovo libro “Povero di cuore di vescovo”. Religioso rogazionista è uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco. La sua capacità organizzativa è stata ininterrottamente al servizio di tre pontefici.
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Francesco. Padre Sapienza sintetizza il pensiero di papa Montini sull’episcopato: “Per guidare i presbiteri, per formare i seminaristi per parlare ai laici di oggi, non basta il fascino, non bastano le adunate oceaniche. Ci vuole una dottrina ci vuole un esempio e una parola autorevole”. I poveri chiedono la parola, non strumentalizzazioni ideologiche.
Attraverso la povertà la Chiesa può parlare con credibilità al cuore di ogni uomo, i poveri rappresentano un severo richiamo per chi è chiamato a decidere le sorti dell’umanità. Padre Leonardo Sapienza rievoca l’11 giugno 1973, quando Paolo VI inaugura la 10° Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. “Mentre vede sfilare davanti a sé tante teste mitrate- racconta padre Sapienza parlando di Montini- sussurra benevolmente a monsignor Virgilio Noè, maestro delle cerimonie pontificie: ‘Quanto spirito santo!’.
Paolo VI ha amato tanto i vescovi italiani, che poteva seguire da vicino”. Le riflessioni di padre Sapienza sono di grande attualità. “Conoscendo tante situazioni particolari di tensioni e pressioni in molte diocesi- evidenzia padre Sapienza riferendosi a papa Montini-. Durante quella messa chiedeva: “ditelo voi. È facile oggi fare il vescovo? ‘”. L’Italia è erede di una formazione religiosa ottima.
Ma forse ormai un po’ stanca e consuetudinaria. “Nessuno vorrà dire che sia facile oggi fare il vescovo!”, disse Paolo VI l’11 aprile 70. “Ci vuole coraggio, ci vuole fede per rispondere ad una tale vocazione- puntualizza oggi il reggente della Prefettura della Casa Pontificia.
Forse è per questo che sempre più spesso accade che la risposta sia no. Cioè “si moltiplicano i casi di candidati all’episcopato che non accettano una simile investitura”. Lo ricorda lo stesso Paolo VI: “Non ci sorprende notare spesso come candidati chiamati all’episcopato cerchino declinare tale ufficio.
Che oggi non solo per le intrinseche esigenze. Ma anche per tante estrinseche difficoltà sembra essere diventato incomportabile” (11 aprile 1970). “Povero cuore d’un vescovo come farà ad assumere tanta ampiezza?”, disse Paolo VI. “Il vescovo è il garante e promotore della pluralità e dell’unità– commenta padre Sapienza-. Sempre impegnato a frenare le fughe in avanti. E a stimolare chi rallenta il cammino”.
Padre Sapienza cita un anziano presule sulla propria esperienza: “Se pur ci fosse stata una punta di vaghezza, nel desiderare l’episcopato, l’amara esperienza dopo soltanto un anno ti riporta alla triste realtà. Diffidenza. Difficoltà. Ostilità. Avversità. Divisioni e opposizioni nel clero.
Rifiuto di impegno da parte dei laici. La grande tentazione è quella della disperazione e della sfiducia. In fin dei conti il vescovo è una vittima!”. Nondimeno, considera padre Sapienza, “c’è ancora chi desidera, con una certa dose di incoscienza, ardentemente ‘fare carriera’. Aspirando all’episcopato”.
Padre Leonardo Sapienza riporta un aneddoto. Che può essere un monito per chi ancora oggi come allora briga per la carriera. “Si racconta di un Officiale che scalpitava per diventare vescovo- ricostruisce all’Adnkronos il religioso rogazionista-. Il suo superiore aveva coniato un consiglio bonario che dava ai collaboratori. ‘Dategli quel che chiede. Per non dargli quel che vuole’. E il diretto interessato, vedendo ormai sfumare il suo desiderio, andava ripetendo: ‘Mordere non posso. Lasciatemi abbaiare’”.
Quando il Vescovo si sente impotente, deluso, frustrato pastoralmente –prosegue Sapienza – non gli resta altro che gratificarsi accusando la società di non volerne più sapere di Dio e di Chiesa, tutta protesa com’è alla sola ricerca di un benessere terreno. E ancora, ricordando Papa Montini: rivolto alla Curia Romana ancora agli inizi del suo pontificato: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione, la Chiesa è servizio; l’autorità è servizio: non vi può essere posto per il desiderio di carriera e di onorificenze. (21 settembre 1963).
La rilettura di queste parole infonda nei Vescovi rinnovato ardore nel loro ministero. In modo che non sia più un «Povero cuore d’un Vescovo» ma, come concludeva Paolo VI : «No, povero! Felice piuttosto il cuore d’un Vescovo, che è destinato a plasmarsi sul cuore di Cristo, e a perpetuare nel mondo e nel tempo il prodigio della carità di Cristo. Sì, felice così!» (30 giugno 1974).
Fonte: Giacomo Galeazzi – Interris.it