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Fatto un papa ce ne sta pure un altro, lo abbiamo visto e dopo le prime incerte perplessità, ce ne siamo fatti una ragione, sembrava impossibile contravvenire al proverbio antico portato alla ribalta da un romanesco Marchese del Grillo, ma tant’è e sovvertendo l’ordine precostituito del motto di più larga diffusione e antica tradizione romana, abbiamo imparato a convivere con l’idea di due papi e a guardare ai loro incontri con diverso sguardo, a metà tra comprensione ed incredulità, tra tenerezza e devozione.

Allo stesso modo, a metà strada tra un limbo nostalgico per ciò che è stato ed una moderata apprensione per ciò che sarà e non è preventivabile, nella giornata del 19 giugno, gli ischitani, secondi a nessuno in tema di paradossi, hanno amabilmente convissuto con i due vescovi, senza andare troppo o troppo in fretta per il sottile tra recriminazioni e aspettative disattese, tra nuovo e vecchio, uscente ed entrante, familiare o meno. Due vescovi c’erano, e noi ce li siamo presi, tenuti, goduti e voi no, sembrava dicesse la folla che, timorosa, già amava il nuovo, salda nell’affetto, non avrebbe lasciato andare facilmente nell’oblio della memoria, il vecchio. Che poi, a dirla tutta, resta da stabilire chi dei due è giovane e chi no. Nel dubbio abbiamo fatto come se due vescovi li avessimo tenuti da sempre, solo che quel sabato è stato ufficiale. C’erano pure le medio-alte cariche dello Stato, lo stato isolano, s’intende, alte è un eufemismo. Qualcuno mica lo superava il metro e sessanta di altezza!

Due piccioni con una fava, come quelli che troneggiavano sulla casa dell’acqua in prossimità del pontile, che non è mica sempre detto che due piccioni tubano e basta, avranno anche altro da rappresentare, però da noi calzava bene, castello di sottofondo, sciabordio del mare, crepuscolo dilagante et voilà: due vescovi in un’unica soluzione. Ottimizzando tempi, risorse ed energie, concentrando in un sol posto una intera diocesi, anzi due, quella puteolana e quella ischitana, ci siam dati convegno e abbiamo amabilmente accompagnato i due vescovi nel loro incontrarsi, salutarsi, allontanarsi. Qui c’è posto per tutti, pure per il terzo, Ausiliario o meno che sia.

Così,come in un miraggio in pieno deserto, le immagini evaporano in una consistenza effimera tanto impalpabile quanto è stata la tensione nell’accogliere il nuovo e la lacerazione del languore malcelato nell’accomiatarsi dal vecchio.

Nel fare, organizzare, disporre, seguire, osservare, rispettare le scalette, le distanze, le sedute e le rialzate, non c’è stato spazio o forse troppo poco, per gli scoramenti, le preoccupazioni, le resistenze.

Che poi, si potrebbe pure fare un po’ per uno, tipo tre diocesi in due o in tre, tanto chi si offende? Dove c’è posto per due, c’è posto pure per tre. In spending review dove c’è gusto non c’è perdenza e noi che siamo da sempre un popolo gaudente, volentieri ci contentiamo, assumendone due, ma pure tre.

Nella continuità dell’evoluzione, fa riflettere che se muore un papa non solo se ne fa un altro, ma oltre al papa si fa anche un cardinale che prenda il posto di chi è diventato papa e giù a scendere nella gerarchia, un altro che occupi il posto di chi diventa cardinale.

Noi no, lasciamo il mondo come sta e facciamo due papi e due vescovi, accompagnati da altri vescovi che non si dica che siamo in carenza e che non si dica che appena nominato il nuovo, il vecchio è dimenticato. Anzi, si ricordano in pubblica piazza e presenti anche tutti gli altri, pure chi è assente per cause di forza maggiore. Strano pensare a tutto quel che è successo, sempre che sia successo davvero mentre il mondo era in lockdown, eppure lì, in quel pomeriggio di un estate che si affaccia sull’isola, stava accadendo che un fermo immagine iniziava lentamente a muoversi.

Al nuovo abbiamo detto “Ischia le vuole già bene”, al vecchio però non abbiamo detto addio, ma solo arrivederci, rubando al covid la prossimità degli occhi negli occhi, delle mani nelle mani, delle pieghe degli occhi che sorridono nelle piaghe della nostalgia coperta dalle mascherine. I proverbi ci salveranno la vita, non fosse altro per sovvertirne il senso ed adattarlo ai nostri usi e costumi. O rendere il senso più morbido al tatto dell’anima. A mezz’aria, tra aspettative e resa, intercettiamo il nostro baricentro dove, a partire dai punti cardinali che il mare suggerisce, le bisettrici si incontrano e fissano il centro del nostro equilibrio non del tutto stabile proprio nel piazzale aragonese, la nostra rosa dei venti, quella senza spine, ma solo bei colori e leggeri profumi. Rimaniamo al centro di un presente dilatato e vissuto al rallentatore, per godere di una più ampia visuale quale che sia il futuro prossimo che nel frattempo è già arrivato ed è diventato passato.

Errare humanum est, perseverare sta un po’ più a ovest. Noi rimaniamo al centro, del pontile aragonese.

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