15 luglio
Francescano, mistico, filosofo e teologo, faceva parte dell’Ordine dei Frati Minori di cui divenne ministro generale per 17 anni
Si chiamava, in realtà, Giovanni Fidanza. San Bonaventura nacque a Bagnoregio, presso Viterbo, in una data incerta che molti collocano nel 1218 e che, comunque, è compresa tra il 1217 e il 1221. Portava lo stesso nome di suo padre, di professione medico. Egli stesso narra che da bambino si ammalò di un morbo che lo stava conducendo alla morte, ma poi fu risanato da san Francesco in persona il quale, facendo su di lui un segno di Croce, pronunciò queste parole: «Bona ventura». Fu guarito e da allora fu chiamato Bonaventura.
Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Insegnò teologia all’Università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola. Nel febbraio del 1257 fu eletto, a soli 40 anni, ministro generale dell’Ordine, carica che conservò fino al 1274, anno della sua morte, dando saggio mirabile di sapienza, prudenza, spiccato equilibrio, tanto propizio in un momento difficile di assestamento dell’Ordine, da meritargli, per la sua opera moderatrice e costruttiva in piena fedeltà allo spirito di san Francesco, il titolo di secondo fondatore dell’Ordine francescano. Fu molto solerte nell’assecondare e promuovere le varie attività già esistenti nell’Ordine sul piano degli studi, del ministero pastorale, della predicazione, dell’apostolato missionario, per la Crociata e a favore dell’unione della Chiesa latina con la Chiesa greca. Per suo merito l’Ordine francescano, nonostante i suoi circa 30 mila frati, si conservò saldamente unito.
Viaggiò molto per le necessità dell’Ordine e incarichi pontifici, sia in Italia che in Francia, portandosi anche in Inghilterra, in Fiandra, in Germania, in Spagna. Predicò ovunque al popolo e in modo speciale agli ecclesiastici, alle monache, all’università di Parigi, dinanzi alla corte di Francia e a vari Papi riuniti in concistoro (Orvieto, Perugia, Viterbo, Roma). Il 28 maggio 1273 Bonaventura fu eletto cardinale e vescovo di Albano, avendo già declinato nel 1265 l’arcivescovado di York. Dal novembre 1273 attese alla presidenza dei lavori preparatori e poi alla celebrazione del Concilio ecumenico di Lione (7 maggio – 17 luglio 1274), predicandovi il 26 maggio e il 29 giugno. Il 19 maggio dello stesso anno, nel Capitolo generale celebratosi a Lione, Bonaventura si dimise da ministro generale dell’Ordine. Si adoperò in Concilio per l’unione dei Greci. Ma, estenuato dalle fatiche sostenute, il 7 luglio si ammalò gravemente e il 15 dello stesso mese morì (1274). Il corpo fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Lione.
Fu canonizzato da Sisto IV nel 1482, mentre Sisto V, il 14 marzo 1588, lo annoverò «inter praecipuos et primarios» dottori della Chiesa latina, sesto accanto a san Tommaso d’Aquino, di cui era molto amico. San Bonaventura fu definito dottore serafico, mentre Tommaso dottore angelico. Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di san Francesco. Il 3 marzo 2010 parlò a lungo di lui, tessendo le lodi, Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI. «Cari fratelli e sorelle, oggi vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio», esordì il Pontefice, che volle dedicare al santo l’intera riflessione di un’udienza generale del mercoledì. «Vi confido che, nel proporvi questo argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana, nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria». E, dopo averne racontato nel dettaglio la vita e il pensiero, concluse: «Un anonimo notaio pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini… Dio infatti gli aveva donato una tale grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non poteva celare”. Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’ estasi … entreremo nel gaudio di Dio”».
Fonte: Alberto Chiara – Famiglia Cristiana