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Siamo noi l’Europa dell’amicizia, della professionalità e della serietà

Sostengono gli economisti che una vittoria calcistica continentale può valere, per il Paese che si aggiudica il titolo, un punto di Pil (Prodotto interno lordo). Una cifra enorme (dai 12 ai 15 miliardi di euro nel caso dell’Italia), che certamente può far sorridere un’economia che langue. Ma il vero vantaggio, il vero guadagno, stanno altrove. E sono certamente difficili da misurare.

Perché si tratta di sentimenti, di valori, di amicizia e di solidarietà, di cuore e di passione. Sì, anche di dignità e di orgoglio. Persino di capacità di divertirsi correndo dietro a un pallone, come fanno i ragazzini e le ragazzine di tutto il mondo, nella speranza di calciare un gran tiro all’angolino e segnare il gol della vittoria. Che talvolta fa la storia, ma più spesso entra nella galleria dei ricordi che contano.

Ci sono tre immagini che ci hanno colpito al termine della sequenza da thriller dei rigori che ha lanciato l’Italia sulla vetta dell’Europa calcistica.

La prima è l’abbraccio interminabile fra il tecnico Roberto Mancini e l’amico Gianluca Vialli. Un abbraccio fra due amici di sempre, due uomini maturi, due campioni che hanno regalato alla Sampdoria il suo unico scudetto nel lontano 1991. Un abbraccio che si scioglie in un pianto liberatorio. Mancini si presenta davanti alle telecamere ma parla per pochi secondi. Ha ancora gli occhi pieni di lacrime e risponde con monosillabi. La loro amicizia, ulteriormente rafforzata dalla lotta di Vialli contro un grave tumore, trova nel tempio del calcio di Wembley il suo suggello. Ma durante questa avventura sportiva abbiamo capito che in questa Nazionale regna l’amicizia. Un sentimento che gli italiani apprezzano e che sanno vivere.

La seconda immagine è quella del portierone Gigio Donnarumma che dopo aver parato due rigori decisivi di fila ai maestri inglesi, serissimo, con un’espressione quasi incredula, si allontana dalla porta. Per la serie, “sono Gigio, ho 22 anni, sono un portiere di calcio, ho fatto solo il mio dovere che è quello di parare”. Quando al momento della premiazione è stato indicato come il miglior giocatore del torneo era altrettanto serioso e composto. Ci mancava solo che rispondesse “dovere”, come farebbe uno di noi, dinanzi a un lavoro fatto bene.

Ecco, un giovane campione così serio, ci racconta di un Paese che ha nei giovani come lui il proprio futuro. Sì perché questa Italia che vince, sa soffrire, sa rimboccarsi le maniche, sa tirare fuori il meglio di sé, è esattamente quello di cui tutti abbiamo bisogno. E cioè che i nostri giovani sappiano riprendersi il futuro e tirino fuori il Paese dalle secche in cui è sprofondato.

La terza immagine è quella di Leonardo Spinazzola, l’esterno che con le sue sgroppate sulla sinistra ha dato il tormento a tutte le difese avversarie, sino a quando il tendine di Achille ha fatto crac durante un allungo nei quarti di finale con il Belgio. Ebbene, abbiamo visto il calciatore a Wembley saltellare con la sua stampella fra i compagni di squadra e andare a ritirare, per primo, la sua medaglia da vincitore. Spinazzola, per la sua forza e il suo coraggio, è l’emblema di questo nostro Paese, profondamente ferito e sconvolto dal Covid.

Un Paese che pur dolorosamente colpito (nessuno potrà mai cancellare quella triste colonna di camion carichi di bare che attraversavano le vie deserte di Bergamo, né potrà mai dimenticare che un virus crudele ci ha strappato un’intera generazione di nostri “vecchi”, la nostra memoria) sa rimettersi in moto. Magari saltellando con la stampella, come il giocatore della nostra Nazionale.

Ma con la certezza che presto torneremo a correre tutti insieme, perché c’è un campionato ancor più importante da vincere. Quello contro un vero nemico, il Covid 19. Per poi continuare a correre per ricostruire un’Italia più forte, più giusta, più bella. E se possibile, persino più buona.

La chiamiamo tutti ricostruzione, insieme con Mattarella e Draghi. Come fu nel secondo dopoguerra. Ecco, lo spirito giusto per compiere l’impresa è quello dei nostri azzurri, giovani talenti e vecchi campioni integri. Nella disciplina di squadra, nella resilienza, nel coraggio e nella fantasia.

Sì oggi siamo gli italiani. Mai più i “soliti italiani” come ci raccontano nei giorni tristi. Ecco perché abbiamo meritato la felicità di riportare a Roma, dopo addirittura 53 anni, la Coppa continentale. Sì, siamo noi l’Europa. Dell’amicizia, della professionalità, della serietà, della maturità dei ventenni di oggi. Così si guadagna e si merita il futuro. Non solo nel calcio.

Fonte: Domenico Delle Foglie – Sir

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