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Il Papa dopo l’operazione: “Non mi è mai passato per la testa di dimettermi”

Francesco è stato intervistato da Carlos Herrera su Radio COPE. Per la prima volta parla dell’intervento chirurgico di luglio e affronta anche le questioni di Afghanistan, Cina, eutanasia, riforma della Curia

Dall’operazione al colon, subita il 4 luglio scorso al Policlinico Gemelli, e le sue attuali condizioni di salute, alla crisi in Afghanistan e la preoccupazione per la popolazione. Poi il dialogo con la Cina, “via da seguire”, il punto di vista su eutanasia e aborto, entrambi simboli della “cultura dello scarto”, il maxi processo in Vaticano e, infine, le sfide del suo pontificato come la riforma della Curia e la lotta a corruzione e pedofilia. Pontificato che, giunto quasi al nono anno, contrariamente alle voci circolate su media italiani e argentini, non si interromperà prima del previsto: “Non mi è mai passato per la testa di dimettermi”. Dura un’ora e mezza l’intervista che Papa Francesco ha concesso lo scorso weekend a Radio Cope, l’emittente della Conferenza episcopale spagnola. Si tratta della prima intervista dopo l’operazione per stenosi diverticolare, la prima anche ad una radio della Spagna.

La salute dopo l’operazione al Gemelli 

A colloquio con il giornalista Carlos Herrera, sotto lo sguardo dell’immagine tanto cara al Pontefice della Madonna che scioglie i nodi, custodita nel salone di Casa Santa Marta, il Papa affronta tutti i temi di attualità e non si sottrae alle domande più personali. A cominciare dalla domanda più semplice ma, in questo tempo di ripresa post operatoria, più importante: “Come sta?”. “Sono ancora vivo”, replica Francesco con un sorriso. E racconta che a “salvargli la vita” è stato un infermiere del servizio sanitario della Santa Sede, “un uomo con oltre 30 anni di esperienza”, che ha insistito perché si operasse: “Mi ha salvato la vita! Mi ha detto: ‘Deve fare un’operazione’”. E questo, nonostante il parere contrario di alcuni che suggerivano invece una cura “con gli antibiotici”. L’insistenza dell’infermiere si è rivelata invece provvidenziale, visto che l’intervento – quindi programmato – ha rilevato una sezione necrotica. Ora, dopo l’operazione, rivela Francesco, “ho 33 centimetri di intestino in meno”. Cosa che, tuttavia, non gli impedisce di condurre una vita “totalmente normale”. “Posso mangiare tutto” e, prendendo “i medicinali adeguati”, mantenere la fitta agenda: “Oggi, tutta la mattina udienze, tutta la mattina”. Agenda che include anche il viaggio in Slovacchia e Ungheria il 12-15 settembre prossimi, il 34° del suo pontificato, e che non esclude un futuro viaggio a Cipro, Grecia e Malta e a Santiago di Compostela per l’Anno Santo giacobeo.

“Le dimissioni? Non ci ho mai pensato”

Sempre parlando della propria salute, il Papa smentisce categoricamente le speculazioni di alcuni giornali italiani e argentini su una possibile rinuncia al pontificato. Interpellato a riguardo, Francesco afferma: “Una parola può essere interpretata in un modo o nell’altro, no? Sono cose che succedono. E che ne so io… Non so da dove hanno preso la settimana scorsa che stavo per presentare le mie dimissioni! Che parola hanno preso nel mio Paese? È lì che è uscita la notizia. E dicono che ha fatto scalpore, quando non mi è nemmeno passato per la testa!”. Con una punta di ironia, il Papa spiega anche di essere venuto a conoscenza di tali notizie molto dopo: “Mi hanno anche detto che la settimana scorsa era di moda. Eva (Fernández, la corrispondente per l’Italia e il Vaticano di Cope ndr) me l’ha detto… e io le ho detto che non ne avevo idea perché qui leggo solo un giornale al mattino, il quotidiano di Roma. Lo leggo perché mi piace il modo in cui ha un titolo, lo leggo velocemente e basta, non mi faccio coinvolgere dal gioco. Non guardo la televisione. E ricevo, sì, più o meno il resoconto delle notizie del giorno, ma ho scoperto molto più tardi, qualche giorno dopo, che c’era qualcosa sulle mie dimissioni. Ogni volta che un Papa è malato c’è sempre una brezza o un uragano di Conclave”.  

La crisi in Afghanistan 

Ampio spazio nell’intervista è dedicato alla crisi in Afghanistan, ferito dai recenti attentati kamikaze e dall’emorragia di cittadini dopo la presa del potere dei talebani. “Una situazione difficile”, osserva Papa Francesco che non entra nei dettagli degli sforzi che la Santa Sede sta compiendo a livello diplomatico per evitare rappresaglie contro la popolazione, ma elogia il lavoro della Segreteria di Stato. “Sono sicuro che sta aiutando o almeno offrendo aiuto”, dice, e definisce il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin come “il miglior diplomatico che abbia mai incontrato. Un diplomatico che aggiunge, non uno di quelli che sottraggono, che cerca sempre, un uomo di accordo”.

Il Papa ha fatto poi riferimento alla cancelliera tedesca Angela Merkel, “una delle grandi figure della politica mondiale”, e al suo incontro del 20 agosto scorso a Mosca con il presidente Vladimir Putin durante il quale si è parlato della irresponsabilità degli interventi politici esteri in altri Paesi per costruire la democrazia, ignorando le tradizioni del popolo. Interpellato in merito, Francesco definisce “lecito” il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, dopo vent’anni di occupazione, anche se “l’eco che ha in me è un’altra cosa”, ovvero il fatto di “lasciare il popolo afghano al suo destino”. Per il Papa, infatti, il nodo da sciogliere è un altro: “Come rinunciare, come negoziare una via d’uscita”. “Per quanto posso vedere – afferma nell’intervista -, non tutte le eventualità sono state prese in considerazione qui, sembra, non voglio giudicare, non tutte le eventualità. Non so se ci sarà una revisione o meno, ma certamente c’è stato molto inganno forse da parte delle nuove autorità. Io dico inganno o molta ingenuità, non capisco”.

Il dialogo con la Cina: è la via da seguire

Dall’Afghanistan, lo sguardo rimane in Asia ma si sposta alla Cina e all’Accordo sulle nomine dei vescovi rinnovato per un altro biennio. “C’è chi insiste perché lei non rinnovi l’accordo che il Vaticano ha firmato con quel Paese perché mette in pericolo la sua autorità morale”, rileva il giornalista. “La Cina non è facile, ma sono convinto che non dobbiamo rinunciare al dialogo”, replica il Papa. “Si può essere ingannati nel dialogo, si possono fare errori, tutto questo… ma è la via da seguire. Ma è la via da seguire. Ciò che è stato raggiunto finora in Cina è stato almeno il dialogo… alcune cose concrete come la nomina di nuovi vescovi, lentamente… Ma questi sono anche passi che possono essere discutibili e i risultati da una parte o dall’altra”.

L’ispirazione del cardinale Casaroli

Per il Papa punto di riferimento e ispirazione è il cardinale Agostino Casaroli, a lungo segretario di Stato durante il pontificato di Giovanni Paolo II, già con Giovanni XXIII “l’uomo incaricato di costruire ponti con l’Europa centrale”. Il Pontefice cita “un libro molto bello”, Il martirio della pazienza, in cui il porporato racconta le sue esperienze nei Paesi comunisti: “È stato un piccolo passo dopo l’altro, per costruire ponti… Lentamente, lentamente, lentamente, stava ottenendo riserve di relazioni diplomatiche che alla fine significava nominare nuovi vescovi e prendersi cura del popolo fedele di Dio. Oggi, in qualche modo, dobbiamo seguire passo dopo passo quei percorsi di dialogo nelle situazioni più conflittuali”. L’esperienza con l’Islam, con il grande imam di Al-Tayeb, è stata molto positiva in tan senso: “Il dialogo, sempre il dialogo o la disponibilità al dialogo”.  

Papa Francesco con i giornalisti di Radio Cope, Carlos Herrera e Eva Fernández

Le sfide del pontificato

Ed il dialogo è uno dei capisaldi di questi otto anni di pontificato che Papa Francesco passa in rassegna durante il colloquio. A cominciare dall’elezione del 13 marzo 2013, totalmente inaspettata (“Ero venuto qui con una valigetta”), passando per le varie sfide affrontate sempre con l’obiettivo di attuare quanto concordato dai cardinali nelle riunioni pre Conclave, tutto riassunto nella Evangelii Gaudium: “Penso che ci siano ancora diverse cose da fare, ma nulla è stato inventato da me. Sto obbedendo a ciò che è stato stabilito a suo tempo”.

“Piccoli aggiustamenti” nella Curia romana

La riforma della Curia romana, ulteriori progressi nella trasparenza delle finanze vaticane e la prevenzione dei casi di abusi all’interno della Chiesa sono le tre questioni sulle quali Jorge Mario Bergoglio sta lavorando intensamente. Sulla riforma della curia, il Papa assicura che “sta andando passo dopo passo e bene” e rivela che quest’estate stava per finire di leggere e firmare la nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium, la cui pubblicazione è stata però ritardata “a causa della mia malattia”. Il documento, comunque, spiega il Pontefice, “non conterrà nulla di nuovo rispetto a quello che si vede ora”, giusto qualche accorpamento di Dicasteri, come l’Educazione cattolica con il Pontificio Consiglio per la Cultura e il Dicastero della Nuova evangelizzazione che si unirà a Propaganda Fide. “Piccoli aggiustamenti”, spiega il Papa.

Il processo in Vaticano

Rimane invece una grande lotta quella alla corruzione nelle finanze vaticane. “Sono stati fatti progressi nel consolidamento della giustizia nello Stato Vaticano”, afferma il Pontefice, e ciò ha permesso “alla giustizia di essere più indipendente, con i mezzi tecnici, anche con le testimonianze registrate, le cose tecniche attuali, le nomine di nuovi giudici, nuovi procuratori…”. Il riferimento è anche al maxi processo iniziato lo scorso 27 luglio in Vaticano per gli illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato, che vede tra i dieci imputati l’ex sostituto della Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu. Francesco, ricordando che tutta la vicenda è iniziata con le denunce di due persone che lavorano in Vaticano e che hanno visto irregolarità nel loro lavoro, ribadisce di “non aver paura della trasparenza né della verità. A volte fa molto male, ma la verità è ciò che ci rende liberi”. Quanto a Becciu, al quale ha revocato le prerogative e i diritti del cardinalato, spiega che il porporato è stato processato perché così stabilisce la legislazione vaticana: “Voglio con tutto il cuore che sia innocente. È stato un mio collaboratore e mi ha aiutato molto. È una persona di cui ho una certa stima come persona, quindi il mio augurio è che ne esca bene. Ma è una forma affettiva della presunzione d’innocenza… Oltre alla presunzione di innocenza, voglio che ne esca bene. Ora tocca ai tribunali decidere”.

Lotta alla pedofilia, appello ai governi contro la pedopornografia

Di giustizia il Papa parla anche a proposito della piaga della pedofilia. Interpellato a riguardo, prima elogia il cardinale Sean O’Malley, presidente della Commissione per la Tutela dei minori, per il suo “coraggio” e per tutto il lavoro svolto contro questo crimine già da quando era arcivescovo di Boston, poi lancia un forte appello internazionale ai governi ad agire e reagire contro la pedopornografia, “un problema globale e serio”. “A volte mi chiedo come certi governi permettano la produzione di pornografia pedofila. Che non dicano che non lo sanno. Oggi, con i servizi segreti, si sa tutto. Un governo sa chi nel suo Paese produce pornografia pedofila. Per me questa è una delle cose più mostruose che abbia mai visto”.

Eutanasia, segno della “cultura dell’usa e getta”

Con eguale vigore, il Papa affronta anche la questione eutanasia, alla luce delle recenti leggi emanate in Spagna. La legalizzazione di questa pratica è segno di quella “cultura dell’usa e getta” che ormai permea le moderne società: “Ciò che è inutile viene scartato. I vecchi sono materiale usa e getta: sono una seccatura. Anche i malati più terminali; anche i bambini indesiderati, e vengono mandati al mittente prima di nascere”, afferma. È quella “cultura dello scarto”, denunciata da inizio pontificato, che ha grande incidenza sull’“inverno demografico” dell’Occidente e che colpisce in particolare Paesi come l’Italia, dove l’età media è 47 anni. “La piramide si è invertita… La cultura demografica è in perdita perché guarda al profitto. Guarda a quello davanti… e a volte usando la compassione! Quello che la Chiesa chiede è di aiutare le persone a morire con dignità. Ha sempre fatto così”, commenta Francesco. Che non manca di stigmatizzare ancora una volta l’aborto: “Di fronte a una vita umana, mi pongo due domande: è lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema? È giusto assumere un sicario per risolvere un problema?”.

La speranza di essere a Glasgow per la Cop26

Di abusi il Papa parla anche nei confronti del creato, una delle sue più profonde preoccupazioni, maturata in questi anni di pontificato. Francesco spera di essere presente alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) che si terrà dall’1 al 12 novembre a Glasgow: “In linea di principio, il programma è che io vada. Tutto dipende da come mi sento in quel momento. Ma, in realtà, il mio discorso è già in fase di preparazione, e il programma deve essere presente”.

Il motu proprio “Traditionis Custodes” 

Il focus nell’intervista si sposta poi sul motu proprio Traditionis Custodes che regola le messe in latino e che quest’estate ha suscitato alcune polemiche nei settori ecclesiastici più conservatori. Il Papa risponde ad una domanda sul tema, elencando la cronologia che ha portato alla firma del documento: “La storia di Traditionis Custodes è lunga. Quando Benedetto XVI ha reso possibile celebrare con il messale di Giovanni XXIII (precedente a quello di Paolo VI, che è post-conciliare) per coloro che non si sentivano a loro agio con la liturgia attuale, che avevano una certa nostalgia… mi è sembrata una delle azioni pastorali più belle e umane di Benedetto XVI, che è un uomo di squisita umanità. E così iniziò. Questa era la ragione”. “La preoccupazione – ribadisce il Papa, come già nel testo di accompagnamento al motu proprio – che più appariva era che qualcosa fatto per aiutare pastoralmente coloro che hanno vissuto un’esperienza precedente, si trasformasse in un’ideologia. In altre parole, una cosa pastorale trasformata in un’ideologia. Quindi abbiamo dovuto reagire con regole chiare… Se si legge bene la lettera e si legge bene il decreto, si vedrà che si tratta semplicemente di un riordino costruttivo, con cura pastorale ed evitando gli eccessi”.

Le raccomandazioni al Dicastero per la Comunicazione

Nel colloquio con la Cope, si cita anche la visita del 24 maggio scorso al Dicastero per la Comunicazione del Vaticano e alle parole di incoraggiamento ma anche di pungolo rivolte ai dipendenti dei media vaticani. “Era un rimprovero?”, domanda il giornalista. “La reazione mi ha divertito”, spiega il Papa, “ho detto due cose. Prima, una domanda: quante persone leggono L’Osservatore Romano? Non ho detto se è letto molto o poco. Una domanda. Penso che sia legittimo chiederlo, no? E la seconda domanda, che era più tematica, (l’ho fatta) quando, dopo aver visto tutto il nuovo lavoro di unione, il nuovo organigramma, la funzionalizzazione, ho parlato della malattia degli organigrammi, che dà ad una realtà un valore più funzionale che reale. E io dico: con tutta questa funzionalità, che è per funzionare bene, non dobbiamo cadere nel funzionalismo. Il funzionalismo è il culto degli organigrammi senza tener conto della realtà. Sembra che qualcuno non abbia capito queste due cose che ho detto, o forse a qualcuno non è piaciuto, o non so cosa, e l’ha interpretato come un rimprovero. È una cosa normale, è una domanda e un avvertimento. Sì… Forse alcune persone si sono sentite dire qualcosa, e …. Penso che il Dicastero sia molto promettente, è il Dicastero con il più grande budget della Curia in questo momento, che è guidato da un laico – spero che presto ce ne saranno altri guidati da un laico o da una laica – e che sta decollando con nuove riforme. L’Osservatore Romano, che io chiamo ‘il giornale del partito’, ha fatto grandi progressi ed è meraviglioso lo sforzo culturale che sta facendo”.

La famiglia, il calcio, le lacrime 

A conclusione dell’intervista, vengono affrontate altre questioni ecclesiali quali, ad esempio, il percorso sinodale in Germania, per il quale il Papa ricorda la sua lettera del giugno 2019 per incitare a “ragionare con serenità”, come pure tematiche internazionali come l’indipendenza della Catalogna e le politiche migratorie, per le quali il Pontefice argentino ribadisce la formula dei quattro verbi: “Accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Il Papa non si sottrae a domande più personali sul rapporto con la famiglia, in particolare con la nonna Rosa, e il tifo per la squadra di calcio del San Lorenzo, il suo non essere un uomo dalle lacrime facili, anche se è vero che alcune situazioni gli provocano tristezza. Dice poi che vorrebbe essere ricordato “come un peccatore che prova a fare il bene”, non come il “Papa superman” che taluni descrivono. Infine confessa che ciò che più gli manca dei tempi di Buenos Aires è di “camminare da una parrocchia all’altra” o le dense giornate di nebbia dell’autunno argentino mentre ascoltava la musica del compositore argentino Astor Piazzolla. “Mi piacerebbe camminare per strada, ma devo trattenermi, perché non potrei fare dieci metri”.

Fonte: Salvatore Cernuzio – Vatican News

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