Solo un ballo popolare tipico di Ischia? Molto di più direi, a metà tra un’elegia guerresca e amorosa, un peana (canto di guerra e di vittoria) e una danza. Certo è che le origini di questo antico ballo non sono chiare ed hanno dato luogo, nel corso del tempo, a una serie di equivoci e dubbie interpretazioni. Dall’ipotesi delle sue origini medievali, a quelle ben più remote che la collegherebbero alla cultura greca che si era diffusa nell’isola a opera dei primi colonizzatori di Pithecusa.
Colonizzazione profonda se era arrivata a Buonopane, frazione del comune di Barano, luogo dove nacque la ‘Ndrezzata. Ma andiamo alle origini mitiche: secondo un antico mito Zeus, un giorno, trovò Demetra furente e disperata perché Ade, dio dell’Averno, le aveva rapito la figlia Persefone. Impietosito dalla povera madre, il re degli dei le inviò le Muse e Afroditeper placarne l’animo, rallegrandola con musica e danze.
Secondo la tradizione la danza era eseguita dalle Ninfe al ritmo di spade di legno battute dai Satiri su rudimentali manganelli che accompagnavano la musica prodotta dalla cetra d’oro di Apollo. Apollo si innamorò in quell’occasione della ninfa Coronide e dall’unione dei due nacque Esculapio.
Soddisfatto dall’amore con la ninfa, il dio concesse alla sorgente Nitrodi, lì dove si svolgevano le danze, la facoltà di donare bellezza e guarigione. Due storie che si intrecciano: la danza accompagnata dal ritmo delle spade di legno e l’origine della fonte di Nitrodi con proprietà terapeutiche e rigeneranti. Storicamente invece sappiamo, da un’ode del 1600 di Filippo Sgruttendio, (testo custodito nella biblioteca Antoniana ), di un invito a vedere la ‘Ndrezzata.
C’è poi un manoscritto, scoperto nella sagrestia della Chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, in cui si racconta dell’intervento del Vescovo per mettere fine a una controversia tra gli abitanti della contrada di Buonopane e quella di Barano. Il succo della vicenda vede i due protagonisti Rocc’none di Barano e Giovannone di Buonopane corteggiare la stessa ragazza.
Rocc’none che era un marinaio in uno dei suoi viaggi aveva acquistato una cintura che regalò all’amata, come pegno d’amore. Ma quando l’innamorato vide Giovannone indossare la cintura che nessun altro poteva avere, lo sfidò a risolvere la questione tra uomini sul ponte che divide i due paesi.
La storia tra Barnesi e Moropanesi si risolse pacificamente perché la cintura della discordia era stata solo perduta dalla ragazza e ritrovata dal povero Giovannone di Buonopane. Le due contrade stabilirono la pace un lunedì di Pasqua bruciando la disgraziata cintura davanti alla chiesa di San Giovanni e i Moropanesi festeggiarono ballando una ‘Ndrezzata.
E da allora si continua a ballare, il lunedì di Pasqua e il 24 giugno, giorno di San Giovanni. Ancora oggi è una danza viva più che mai, simbolo delle nostre tradizioni e del nostro passato dalla colonizzazione greca in poi. Tra le origini che le sono state attribuite, è innegabile lo stretto legame con l’elegia e l’epica di matrice greca. Gli elementi ci sono tutti. Dell’elegia c’è il narratore che pronunciava un componimento, mentre un flautista accompagnava e sottolineava il recitato di argomento vario.
Narratore e flauto oltre che tammorre sono presenti anche nella ‘Ndrezzata. Del poema epico c’è invece il proemio che recita: “ Io vengo da monte Cupo/per darvi un gran saluto/ vengo da Tarantiello/ cu na lanza e nu spurtiello. / Noi siamo tre fratelli….( Monte Cupo sarebbe Buonopane. ) I versi di apertura dicono l’origine geografica del narratore. Inoltre è vivissimo l’elemento guerresco simboleggiato dal sincronico sferrare dei colpi vibrati anche dalle donne insidiate dalle incursioni di genti ostili e molto determinate.
C’è poi il canto corale che accompagna la danza guerresca con suoni onomatopeici di chiara origine greca (Trallera, trallera…’u treia ‘u treia. Pititum, tindum, tindera…) E’ quindi un poemetto che intende evidenziare la memoria storica del popolo moropanese fiero di essere depositario di questa antica danza. E sappiamo bene che sono proprio i popoli montani quelli che conservano più gelosamente le proprie tradizioni, veicolate prima oralmente, di generazione in generazione con l’accompagnamento musicale e la recitazione, e poi affidandole alla scrittura poetica. Qualcuno sicuramente si starà chiedendo, al di là delle interpretazioni e della genesi di questa danza, come si svolge, chi siano i protagonisti, le figure e i movimenti.
Il rito comincia con la sfilata di diciotto danzatori nove dei quali indossano un giubbetto rosso, che rappresenta gli uomini, gli altri nove un giubbetto verde che raffigura le donne. Apre la sfilata il caporale, al suono di due clarini e due tammorre, un tempo flauti e fischietti. Alla fine della sfilata i gruppi di danzatori si dispongono in due cerchi concentrici impugnando, proprio come i Satiri del mito, un mazzariello nella mano destra e una spada di legno nella mano sinistra.
Le figure basilari sono due: la formazione di una rosa con l’intreccio dei mazzarielli e l’elevazione su di essa del “caporale”, che in lingua ischitana antica recita la predica (parte narrata). I movimenti invece sono: saluto, stoccate, parate, schivate, elementi tipici della scherma che indicherebbero come la ‘Ndrezzata sia una sorta di parodia dell’arte del combattere alla quale venivano addestrati i giovinetti greci. Le strofe raccontano l’amore, la paura provocata dalle incursioni dei Saraceni, le fughe sul monte Epomeo, “A vattuta e ll’asteche”.
Cioè la costruzione del tetto tondeggiante in pomice e calce delle antiche case di Ischia e Procida. Il significato? “Odi et amo”, Amore e guerra. Mito, mistero, leggenda, storia si mescolano in maniera inestricabile nella ‘Ndrezzata che non è un semplice ballo folcloristico, ma un rito, il cuore pulsante di un grande indimenticabile passato.