Commento al Vangelo Mc 9,30-37
Forse anche noi abbiamo fatto questo ragionamento tante volte: “Perché Signore dobbiamo soffrire quando noi ci avviciniamo a te esattamente per non soffrire? Eppure Dio ci parla della sua morte, ci parla della sua resa nelle mani degli uomini, ci parla del suo arrendersi davanti alla furia del peccato. Gesù rincara la dose dopo la scorsa domenica.
Perché Gesù continui a parlarci di sofferenza? Forse è vero che la vita è sofferenza? Attenzione, non entriamo nella trappola del “dolorismo” cattolico. Gesù non ci sta dicendo che la vita è sofferenza, che dobbiamo sopportare il dolore in attesa poi di un qualcosa che ti farà sentire bene.
Gesù ci sta dicendo che ci sono dei momenti in cui amare fa male. Ci sono dei momenti in cui amare chiede qualcosa di più di quello che siamo, ed è quello che Gesù sta sperimentando. Gesù sa di voler andare fino in fondo pur di insegnarci il volto del Padre, pur di lasciarci vedere il volto di Dio. È disposto ad andare fino in fondo, è disposto a non fare marcia indietro e sa che tutto questo costa perché ha a che fare con la felicità.
Quando si tratta della tua felicità, sai benissimo quanta fatica ci vuole per essere felice. A volte noi vogliamo essere felici, vogliamo arrivare alla meta senza faticare, senza affrontare il viaggio; vorremmo avere risultati senza fatica. I discepoli tacciono, non osano chiedere, non hanno capito. Non capiscono cosa sta succedendo, sono tutti bloccati nel loro piccolo orizzonte. Non capiscono che qui si fa sul serio, che Gesù è disposto ad andare fino in fondo nella sua missione, costi quel che costi. Non capiscono e, anzi, cominciano a discutere su chi sia il più grande fra di loro!
Sconcertante! Piccinerie anche nostre! Di questa pagina ne parlano tutti i sinottici, quindi non solo è accaduto, ma è stato un momento importante per il percorso dei discepoli. Gli evangelisti parlano senza vergogna, senza badare alla figuraccia che hanno fatto. Non hanno paura di ammettere, candidamente, di non avere capito nulla del discorso che ha fatto loro Gesù.
Delle sue parole essi hanno capito solo la rivelazione del suo messianismo. Ma non hanno voluto capire il seguito, il discorso della croce, la logica del dono di sé. E così, Gesù, con una stretta al cuore, deve ripetere la stessa profezia, vedendo stagliarsi all’orizzonte l’epilogo drammatico della sua vicenda terrena. Gesù parla della sua morte e loro, i suoi migliori amici, discutono sulle cariche da spartirsi!
Gesù, ancora una volta, si mette da parte e comincia ad insegnare seduto, come fanno i rabbini. Il Maestro, ancora una volta, si mette da parte, non guarda al suo dolore, non elemosina consolazione, ma insegna, cerca di far capire. Il Vangelo di oggi ci ricorda che abbiamo un innato bisogno di affermazione.
Anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per sé non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa un’insicurezza, quando tutta la vita siamo alla ricerca di conferme, di “primi posti”.
Così Gesù combatte questo virus proponendo l’antidoto dell’ultimo posto: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Perché solo uno che ha la libertà di mettersi all’ultimo posto allora è davvero il primo, perché è davvero libero di sedere in tutti i posti a partire dall’ultimo sino al primo. È come quella persona che se sa stare bene da solo, sa stare bene anche con gli altri.
Chi invece cerca i primi posti non ha la stessa libertà di sedere ugualmente negli altri posti perché in lui le logiche del “giudizio degli altri”, dell'”audience”, della “bella o brutta figura” hanno la meglio sulla sua libertà. E così sarà il “primo”, ma infelice, quando invece davanti a Dio ciò che conta è la gioia non il risultato.
Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Per farci capire questo, Gesù compie un gesto: si mette da parte e pone un bambino al centro.
Egli ci dice: “Ecco, guardate lui, accogliete lui; accogliete lui perché io sono come lui, perché il Padre è come lui”. Così con un solo gesto Gesù fa comprendere la fonte di ogni nostro valore: la nostra fragilità, la nostra delicatezza, che è la stessa di un bambino, tale fragilità è abbracciata da Cristo.
In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere di essere lupi. Ci si esercita ad essere così, però, imparando ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento. È lì che cambiano le prospettive.
Che grande dono questo Vangelo! Davvero il Signore ci aiuti a diventare bambini, non infantili; bambini vuol dire uscire dalla logica del mondo per entrare, credere che è possibile vivere un’esperienza di chiesa, profezia per un mondo nuovo.
Buona domenica!
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Forse anche noi abbiamo fatto questo ragionamento tante volte: “Perché Signore dobbiamo soffrire quando noi ci avviciniamo a te esattamente per non soffrire? Eppure Dio ci parla della sua morte, ci parla della sua resa nelle mani degli uomini, ci parla del suo arrendersi davanti alla furia del peccato. Gesù rincara la dose dopo la scorsa domenica.
Perché Gesù continui a parlarci di sofferenza? Forse è vero che la vita è sofferenza? Attenzione, non entriamo nella trappola del “dolorismo” cattolico. Gesù non ci sta dicendo che la vita è sofferenza, che dobbiamo sopportare il dolore in attesa poi di un qualcosa che ti farà sentire bene.
Gesù ci sta dicendo che ci sono dei momenti in cui amare fa male. Ci sono dei momenti in cui amare chiede qualcosa di più di quello che siamo, ed è quello che Gesù sta sperimentando. Gesù sa di voler andare fino in fondo pur di insegnarci il volto del Padre, pur di lasciarci vedere il volto di Dio. È disposto ad andare fino in fondo, è disposto a non fare marcia indietro e sa che tutto questo costa perché ha a che fare con la felicità.
Quando si tratta della tua felicità, sai benissimo quanta fatica ci vuole per essere felice. A volte noi vogliamo essere felici, vogliamo arrivare alla meta senza faticare, senza affrontare il viaggio; vorremmo avere risultati senza fatica. I discepoli tacciono, non osano chiedere, non hanno capito. Non capiscono cosa sta succedendo, sono tutti bloccati nel loro piccolo orizzonte. Non capiscono che qui si fa sul serio, che Gesù è disposto ad andare fino in fondo nella sua missione, costi quel che costi. Non capiscono e, anzi, cominciano a discutere su chi sia il più grande fra di loro!
Sconcertante! Piccinerie anche nostre! Di questa pagina ne parlano tutti i sinottici, quindi non solo è accaduto, ma è stato un momento importante per il percorso dei discepoli. Gli evangelisti parlano senza vergogna, senza badare alla figuraccia che hanno fatto. Non hanno paura di ammettere, candidamente, di non avere capito nulla del discorso che ha fatto loro Gesù.
Delle sue parole essi hanno capito solo la rivelazione del suo messianismo. Ma non hanno voluto capire il seguito, il discorso della croce, la logica del dono di sé. E così, Gesù, con una stretta al cuore, deve ripetere la stessa profezia, vedendo stagliarsi all’orizzonte l’epilogo drammatico della sua vicenda terrena. Gesù parla della sua morte e loro, i suoi migliori amici, discutono sulle cariche da spartirsi!
Gesù, ancora una volta, si mette da parte e comincia ad insegnare seduto, come fanno i rabbini. Il Maestro, ancora una volta, si mette da parte, non guarda al suo dolore, non elemosina consolazione, ma insegna, cerca di far capire. Il Vangelo di oggi ci ricorda che abbiamo un innato bisogno di affermazione.
Anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per sé non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa un’insicurezza, quando tutta la vita siamo alla ricerca di conferme, di “primi posti”.
Così Gesù combatte questo virus proponendo l’antidoto dell’ultimo posto: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Perché solo uno che ha la libertà di mettersi all’ultimo posto allora è davvero il primo, perché è davvero libero di sedere in tutti i posti a partire dall’ultimo sino al primo. È come quella persona che se sa stare bene da solo, sa stare bene anche con gli altri.
Chi invece cerca i primi posti non ha la stessa libertà di sedere ugualmente negli altri posti perché in lui le logiche del “giudizio degli altri”, dell'”audience”, della “bella o brutta figura” hanno la meglio sulla sua libertà. E così sarà il “primo”, ma infelice, quando invece davanti a Dio ciò che conta è la gioia non il risultato.
Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Per farci capire questo, Gesù compie un gesto: si mette da parte e pone un bambino al centro.
Egli ci dice: “Ecco, guardate lui, accogliete lui; accogliete lui perché io sono come lui, perché il Padre è come lui”. Così con un solo gesto Gesù fa comprendere la fonte di ogni nostro valore: la nostra fragilità, la nostra delicatezza, che è la stessa di un bambino, tale fragilità è abbracciata da Cristo.
In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere di essere lupi. Ci si esercita ad essere così, però, imparando ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento. È lì che cambiano le prospettive.
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Don Cristian Solmonese
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