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In occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, avvenuta il 14 settembre 1321, e nell’ottavo centenario della morte di san Domenico, 6 agosto 1221, presso la Rettoria di san Domenico ad Ischia, martedì 14 settembre, il prof. Luigi Bruno ha tenuto una lettura del canto XII del Paradiso, dove il sommo poeta tesse appunto l’elogio del santo. Ve ne proponiamo un estratto.

Nel canto X del Paradiso Dante, insieme a Beatrice, ascende al cielo del Sole, il quarto secondo la cosmologia geocentrica medievale. Qui essi incontrano gli “spiriti sapienti”, che li circondano formando una ghirlanda di dodici luci, dalla quale uno spirito comincia a parlare: è Tommaso d’Aquino, domenicano, il più grande teologo di sempre, che nel canto XI fa l’elogio di san Francesco d’Assisi. Non appena « la benedetta fiamma » (XII 2) ha terminato di parlare, una seconda ghirlanda circonda la prima, e ad essa si accorda nella danza e nel canto. Da qui una seconda voce si fa udire: è « la vita di Bonaventura / da Bagnoregio » (XII 126-127), il grande teologo mistico francescano, che in risposta all’ «infiammata cortesia / di fra’ Tommaso» (XII 143-144), tesse le lodi di san Domenico. Siamo nel canto XII.

Molti studiosi hanno proposto una lettura del canto XII del Paradiso a partire dal tema della sapienza, che risale alla prima agiografia domenicana. Il papa Gregorio IX intitola infatti la bolla di canonizzazione del 1234 Fons sapientiae, e lo stesso Dante definisce Domenico « gran dottore » (XII 85).

Altri hanno invece messo in evidenza la fede del santo. Infatti Dante pone come centrale nella sua vita il battesimo, il momento in cui « le sponsalizie fuor compiute » « intra lui e la Fede » (XII 61-62). Io vorrei proporre un punto di vista diverso, già richiamato da alcuni studiosi (Giuseppe Ledda) ma finora poco trattato: quello dell’amore.

Molti sono i riferimenti all’amore nei canti in cui Dante si sofferma nel cielo del Sole: ben ventuno occorrenze dal X al XIV canto, mentre solo nel XII ne abbiamo cinque. Proprio Bonaventura comincia il suo discorso su Domenico con queste parole: « L’amor che mi fa bella » (XII 31). E lo stesso Tommaso nel canto X si presenta in questo modo: « Quando / lo raggio della grazia, onde s’accende / verace amore e che poi cresce amando » (X 82-84).

L’amore è un tema fondamentale nella Divina Commedia, e sembra quasi scandire i momenti salienti del pellegrinaggio dantesco. All’inizio dell’inferno, nel canto V, troviamo l’amore folle, passionale di Paolo e Francesca, dove Dante mette in evidenza le motivazioni e le conseguenze di quello che potremmo definire, per comodità di esposizione, “l’amore-passione”: « Amor, che al cor gentil ratto s’apprende… Amor, che a nullo amato amar perdona… Amor condusse noi ad una morte » (Inf., V 100. 103. 106).

Nel Purgatorio invece, nel canto XVII, che segna giusto il centro di tutta l’opera, quindi in una posizione fondamentale, il poeta per bocca di Virgilio espone una teoria d’amore che contraddice l’idea che esso sia una passione ingovernabile e travolgente, come l’amore dei due cognati.

Per Dante l’amore è la radice del bene e del male, delle virtù e dei vizi. Esistono cioè amori giusti, quelli indirizzati al bene mediante l’uso della ragione, e amori sbagliati che si volgono a oggetti cattivi, oppure caratterizzati da un eccessivo attaccamento o da poco vigore. Si potrebbe parlare di amore-ragione.

Infine nel Paradiso l’amore non è solo ciò che ordina tutte le cose, la forza cosmica che le tiene unite, « l’amor che move il sole e l’altre stelle » (Par. XXXIII 145), ma anche la scintilla divina nell’uomo capace di recuperare l’antica somiglianza con Dio, « facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza » (Genesi, 1, 26). Proprio mediante l’amore Dante può ascendere fino a vedere Dio. Ciò è possibile solo mediante l’amore-fede.

Nel canto XII del Paradiso Domenico viene chiamato « l’amoroso drudo / de la fede cristiana » (vv. 55-56), ossia il fedele amante, innamorato della fede cristiana, che ha abbracciato la fede come uno sposo accoglie una sposa. Egli, al pari di Francesco d’Assisi, ha amato la povertà fin dai suoi primi anni: « ché ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto, / fu al primo consiglio che dié Cristo » (vv. 74-75), ossia la prima beatitudine pronunciata da Cristo: « Beati i poveri in spirito » (Matteo 5, 3).

Infine Domenico ha rivolto tutti i suoi sforzi di studioso della Sacra Scrittura e della teologia per acquisire la vera sapienza che ha come unico obiettivo la salvezza delle anime: « per amor de la verace manna / in picciol tempo gran dottor si feo» (vv. 84-85). L’amore informato dalla fede è dunque la prima virtù che ha guidato e sorretto la vita e l’azione del nostro Santo.

di Prof. Luigi Bruno

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