A 59 anni si è spento lo scalabriniano, già missionario in Mozambico e Sudafrica, noto per l’impegno a favore degli oppressi nei ghetti dei campi del Tavoliere
Un prete in scarpe da tennis e abiti usati presi alla Caritas, sempre in mezzo agli ultimi in Africa come nei ghetti della Capitanata. È morto martedì scorso a Bassano del Grappa a soli 59 anni padre Arcangelo Maira, il difensore degli oppressi dei campi del Tavoliere, sacerdote e missionario scalabriniano dal 1992.
Una grave malattia degenerativa lo ha immobilizzato e ucciso in cinque anni di calvario. Era un uomo instancabile sempre accanto, anche fisicamente, agli ultimi. I funerali sono stati celebrati a Bassano nella cappella del Centro missionario e trasmessi sul canale Facebook della congregazione per evitare assembramenti.
Tantissimi infatti i messaggi di dolore e cordoglio anche sui social da parte di amici, volontari e beneficiari che hanno condiviso con lui un pezzetto di cammino sulle strade polverose dell’Africa e dei ghetti del Tavoliere delle Puglie. Un messaggio, in particolare, esprime il sentire comune di tanti: «Era uno di quei preti che quando li incontri ti cambiano l’anima».
Padre Arcangelo, “Arca” per tutti, era nato a Caltanissetta nel 1962 e aveva conosciuto sulla pelle l’esperienza migratoria. La famiglia si era infatti spostata a Basilea, in Svizzera, dove è cresciuto e ha maturato la sua vocazione. Dopo l’ordinazione è stato in Germania, poi in Sudafrica e in Mozambico.
Quindi alla fine degli anni 2000 è iniziata la missione con l’Africa in Capitanata nella comunità scalabriniana di Siponto, dove si occupava, attraverso la Migrantes, dei raccoglitori di pomodori sfruttati e schiavizzati dai caporali, trovando anche il tempo di fare l’assistente dell’Agesci.
Era arrivato nei ghetti a cavallo delle diocesi di Foggia e Manfredonia prima di molti altri, col suo furgone colorato. In silenzio, prima di tanti che amano soprattutto apparire. La Chiesa in mezzo a persone di fedi diverse.
Anima pulita e uomo di sconfinata fede, ma anche persona pratica ed essenziale, guardava ai tanti bisogni e agiva immediatamente. Portava cibo e medicinali, spiegava ai lavoratori i loro diritti e come denunciare gli sfruttatori, li accompagnava dai caporali che non volevano pagare a riscuotere i salari rischiando in prima persona. E denunciava sui media e in convegni le ingiustizie che vedeva, senza paura di nessuno, anche se all’inizio era una voce nel deserto.
Faceva rete, coinvolgeva le associazioni. Nei ghetti del Tavoliere, dove ho avuto modo di conoscerlo nell’estate del 2013, aveva portato i volontari dei campo di servizio “IoCiSto” a impartire lezioni di italiano e a riparare le biciclette dei braccianti per farli muovere autonomamente dai caporali, ma soprattutto a portare umanità. Per lui era normale celebrare la Messa per i braccianti in una baracca dove vivevano e lavoravano le prostitute.
«Arca mostrava, attraverso le relazioni con i più periferici, come intendesse condurre il lavoro di network sul territorio che gli spettava come ufficio Migrantes – ricorda padre Gabriele Beltrami responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali degli Scalabriniani –. Niente lavoro virtuale, né rapporti puramente istituzionali, tutto partiva sempre dalle persone toccate dalle ingiustizie che abbondavano in quella parte del foggiano. Così ha mostrato, ha confermato il suo stile».
Gli è stata accanto fino all’ultimo la mamma. «Adesso la sua anima è libera dal corpo in cui era ingabbiata ed è in cielo», ha scritto su Facebook in un commovente messaggio la famiglia. Padre Arcangelo sarà sepolto a Basilea. Su una baracca della pista di Borgo Mezzanone, uno dei gironi infernali in cui ha portato il Vangelo, l’ultimo saluto dei suoi amici, i più umili: «Eri e resterai uno di noi»
Fonte: Paolo Lambruschi – Avvenire
Arcangelo Custode
E anche sull’isola d’Ischia, se pur indirettamente, padre Arcangelo ha lasciato un segno della sua vita generosa, dono per tanti. Questo il racconto commosso di Carlo Giordano che ha avuto il privilegio di incontrarlo, e di farsi contagiare dal suo amore gratuito per gli ultimi.
“Nella vita di ciascuno sono gli incontri che indirizzano le scelte, alcuni in un modo imprevisto…
Ho conosciuto padre Arcangelo, o semplicemente Arcangelo (come gli piaceva essere chiamato), a Stoccarda, nel 94/95, ero andato a trovare mio fratello Patrizio e mia cognata Patrizia che vivevano in quella città.
Era il parroco della chiesa cattolica italiana, Scalabriniano, figlio di emigranti e, per scelta, prete degli Ultimi, era abituato a guardare negli occhi la gente, a capirne i bisogni e cercare soluzioni il più velocemente possibile. Istintivo, generoso, insofferente delle complicatissime giungle burocratiche.
Iniziò a frequentare la casa di mio fratello, anche quando ritornarono in Italia, e quando veniva, all’improvviso, era sempre un momento bello. Siamo convinti che ci portasse anche fortuna. Lui arrivava con il suo zaino, quel sorriso e quell’abbraccio saldo. Si tratteneva sempre troppo poco ma è diventato presto parte della famiglia, al punto che uno dei miei nipoti, Francesco, ha lavorato una estate con lui nel ghetto di Rignano, nei campi di volontariato “Io Ci Sto”, una delle tante esperienze che lo ha visto in trincea come missionario. È stato in Africa, è tornato in Europa, ma il nostro parlare di lui vuol essere un ricordo di famiglia.
Veniva a trovarci, spesso all’improvviso, tra una città e l’altra, tra un continente e l’altro, arrivava come un tornado, con quella grande energia che trapelava dai suoi occhi, sempre vividi e quel sorriso aperto, positivo, quel suo parlare veloce di mille cose contemporaneamente. E ci travolgeva con i suoi racconti, le sue foto, tanti bambini sorridenti, luoghi lontani… e il suo entusiasmo era contagioso. Aveva sempre troppo poco tempo per le tante cose che c’erano da fare.
Un cuore grande e il desiderio di concretizzare. Si esponeva continuamente per gli “extracomunitari” che, ci teneva a ribadire a gran voce: “Sono una risorsa, non un problema!”
Pochi anni fa lo avevo chiamato per averlo ad Ischia per parlarci della sua esperienza nel campo profughi in Calabria e della piaga del Caporalato, si era dichiarato entusiasta, poi il progetto si arenò, e non se ne fece più niente, un gran peccato…
Qualcuno sicuramente lo avrà criticato per la sua scarsa diplomazia o perché agiva d’impulso, ma quelli che grazie a lui hanno ottenuto una bicicletta per andare al lavoro, riuscendo così a liberarsi da un “caporale” o quelli che sono riusciti ad avere assistenza per richiedere il permesso di soggiorno, o quelli che hanno potuto seguire lezioni di lingua italiana, insomma tutti quelli che lo hanno visto girare in mezzo a loro e partecipare alla loro difficile vita lo ricorderanno per sempre come il loro Arcangelo custode. Una grazia averlo conosciuto ed amato… e se è dagli incontri che la nostra vita prende forma e sostanza, l’associazione Il sorriso Simeone, nata e dedita agli Ultimi, chissà, è uno dei tanti innumerevoli frutti che sono nati da quell’incontro…”