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Farsi piccoli, minori – Festa del Beato Transito di san Francesco d’Assisi

Celebrazione del 3 ottobre presieduta dal Vescovo Gennaro presso la chiesa dei Frati Minori a Ischia

Gen 2,18-24; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16

Prima di commentare la Parola della Liturgia di domenica 3 ottobre, Mons. Pascarella ha voluto ricordare, citando la Lettera agli Ebrei che costituisce la Seconda Lettura, quanto ogni Messa alla quale partecipiamo sia occasione di riscoperta della grande dignità alla quale ha accesso ognuno di noi battezzati, la dignità di figli di Dio, alla quale abbiamo accesso non per nostro merito, ma solo grazie al sacrificio di Cristo, il quale «non si è vergognato di sentirsi nostro fratello e di morire per noi per farci come lui». Grazie al privilegio che Cristo ha conquistato per noi mediante il sacrificio della sua vita, noi possiamo oggi, come lui, chiamare Dio “Abbà”, padre, e possiamo rivolgerci a lui con fiducia. Dio ci concede di ascoltare, in ogni celebrazione, la sua parola, quella stessa che utilizziamo per i nostri discorsi quotidiani, ma che ci diventa chiara e comprensibile solo grazie all’intervento dello Spirito Santo.

Il Vangelo di domenica scorsa, anche vigilia della festa di san Francesco d’Assisi, si presenta – ha spiegato il Vescovo – in due parti distinte, ma collegate tra loro. Esso infatti comprende due episodi del capitolo 10 del Vangelo di Marco – “Il divorzio” e “I bambini” che apparentemente non sembrano in relazione tra loro. Nel primo brano, che riprende la Prima Lettura, tratta dal libro della Genesi, vediamo alcuni farisei che cercano di mettere Gesù alla prova, sottoponendogli la spinosa questione del divorzio.

Esisteva infatti per un uomo la possibilità, concessa da Mosè al suo popolo, di ripudiare la propria moglie. I farisei intendevano, con tale domanda, cogliere in fallo Gesù, che spesso aveva preso le distanze dalla legge ebraica, per poter avere una dimostrazione della sua colpevolezza. La legge che regolava il ripudio però, pur mettendo in pratica i dettami di Mosè, li intrepretava e li estremizzava secondo necessità.

La norma era infatti giunta fino a conseguenze estreme, per cui era possibile consegnare il libello di ripudio alla moglie anche solo perché aveva bruciato la cena. Gesù però non si fa cogliere in fallo, non risponde né sì, né no. Egli invece esorta a tornare alla legge originaria, al progetto di Dio, quello espresso dal Libro della Genesi, dove è scritto che Dio unisce marito e moglie ed essi diventano una sola carne. «Dio è colui che congiunge, l’uomo si guardi bene dal dividere ciò che Dio unisce». D’altra parte, ha ricordato il Vescovo, l’azione del dividere è il tratto caratteristico del diavolo, il quale agisce sempre contro la volontà di Dio.

I coniugi, al contrario, sono chiamati a collaborare al disegno di Dio. Certamente anche all’interno del matrimonio può generarsi una rottura, un problema, una crisi, ma le difficoltà non possono e non devono cancellare il disegno di Dio. Mons. Pascarella ha ricordato, a tal proposito, le parole di Papa Francesco: «Dobbiamo imitare il modo di agire di Dio con il suo popolo infedele, l’amore ferito può essere sanato attraverso la misericordia e il perdono». E la Chiesa, ha continuato il Vescovo, è chiamata ad avere, nei confronti delle tante coppie in crisi, un atteggiamento misericordioso e non di condanna.

Dunque è necessario adottare lo stile di Dio, esattamente quello che ci è suggerito dalla seconda parte del brano del vangelo di Marco, nel quale Gesù rimprovera i discepoli che tentano di allontanare dal lui i bambini, temendo che possano infastidirlo. I bambini – ha detto Mons. Pascarella – sono segno di debolezza e bisogno. Ma Gesù si identifica con loro. I più piccoli, quelli che sono più bisognosi e più deboli, vanno serviti per primi. Essere e farsi piccoli è il primo passo per accogliere il Signore: «Chi si sente autosufficiente non accoglie il Signore nella sua vita. Solo chi si sente piccolo sperimenta la tenerezza di Dio.».

Sentirsi piccoli, minori, è stata la scelta dei seguaci di san Francesco, la minorità ricorda infatti la piccolezza di bambini, che devono affidarsi a chi è più grande, al Padre celeste. Ma nell’amore di chi si affida al padre celeste c’è il segreto della libertà. «L’amore vero rende liberi; alla vita di san Francesco si può applicare un detto che era usato dai primi cristiani nei confronti dei loro nemici “Non ti temo, perché ti amo”»

Infine il Vescovo è intervenuto durante il momento di preghiera per ricordare la morte di san Francesco, il Beato Transito, termine che viene usato per ricordare che la morte è solo un momento di passaggio. Il Vescovo ha voluto utilizzare le parole di san Buonaventura che, in riferimento a san Francesco, ha scritto che in lui si realizza la figura del perfetto cristiano, che conforma la propria vita a quella di Cristo, da vivo al Cristo vivo, da morente al Cristo morente e da morto al Cristo morto, avendo per tale motivo meritato l’onore di avere le stesse piaghe di Cristo.

La ammirevole perseveranza di Francesco, la fiducia nei confronti di Dio, il suo rimanere saldo nella tribolazione deve essere per noi esempio e modello. Francesco, come Gesù, ha amato i suoi fino alla fine. Non solo con le parole, ma con la sua stessa vita. Il Vescovo ha concluso chiedendo per noi tutti di poterci riconciliare con la morte, che Francesco chiamava “sorella”, quella morte che il mondo moderno tenta di escludere e dimenticare e che invece fa parte della nostra esistenza. Quanto più la si esclude, tuttavia, tanto più essa genera angoscia. Chiediamo – ha detto – la grazia di vivere bene la nostra vita e di prepararci a vivere bene la nostra morte.

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