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Una “maestra” di vita comunitaria

La scuola ha il dovere di identificare il tema di fondo, cioè il rapporto tra libertà personale e responsabilità collettiva.

Non sono buone le notizie che vengono dalla società civile in questo periodo di “quasi fine” della pandemia. Non sono buone perché ci restituiscono un clima attraversato da una linea di contrasti, divisioni e discriminazioni che si alimenta via via di fronte a provvedimenti governativi, urgenze lavorative, scontri di piazza.

La questione del green pass – e prima ancora, sottesa a questa, il tema dell’obbligo vaccinale – ha provocato e provoca ben oltre le aspettative, sentimenti e atteggiamenti di scontro sociale.

È vero che alla prova dei fatti – ad esempio nel primo giorno di applicazione dell’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro – tante grida e proteste si sono esaurite come una bolla di sapone e i temuti blocchi e le difficoltà sono risultati di gran lunga inferiori ai timori espressi nei giorni precedenti.

Tuttavia resta una questione culturale che pende sul nostro Paese – e probabilmente non solo sul nostro – e riguarda anche i più piccoli, i quali crescono nelle famiglie e nella società inevitabilmente provocati dalle tensioni che le abitano.
La scuola, a questo proposito può fare molto.

Anzitutto definendo il perimetro della questione. Non si tratta di discutere su una normativa di governo – green pass o no? – o su questioni specifiche legate a tamponi gratis o a pagamento. Di questo si litiga. Piuttosto la scuola ha il dovere di identificare il tema di fondo, cioè il rapporto tra libertà personale e responsabilità collettiva. E’ un tema che sta pienamente all’interno del perimetro dell’educazione scolastica, dove fin dalla più giovane età allievi e studenti sperimentano il senso della collettività e dello stare insieme. Fino a dove posso spingere il mio personale bisogno, il mio personale desiderio di affermazione? E come interagire con i medesimi e talvolta opposti desideri altrui?
La scuola è “maestra” di vita comunitaria e proprio per questo quello che sta accadendo nel Paese non può lasciarla indifferente. In fondo è il grande tema dell’educazione civica o “alla cittadinanza” che provoca e fa discutere da tanti anni, fino alle recenti disposizioni ministeriali.

Ecco, la più o meno sottile linea divisiva e di discriminazione che attraversa il Paese identificando “amici” e “nemici”, usando a sproposito termini dal peso gigantesco come “camere a gas” e “razzismo” non si combatte solo con la mano ferma di un governo che cerca di tenere la barra a dritta per portare il nostro Paese fuori dall’emergenza. Piuttosto le polemiche di questo periodo devono far riflettere proprio sulla questione educativa. Dove e come si impara a stare insieme? Dove e come si impara a comporre le diversità? Dove e come – è un’altra questione, ma la correlazione in questo caso è evidente – si impara ad informarsi a cercare le fonti a evitare i circoli chiusi come quelli – ad esempio – che creano gli algoritmi della rete?

Tutte le opinioni vanno rispettate, ma nello stesso tempo esiste un obbligo di composizione che permette la vita sociale e il rispetto di ciascuno senza prevaricazioni. E qui la scuola resta protagonista. Una buona scuola, una buona esperienza scolastica – trasmissione di cultura, maturazione dello spirito critico, valorizzazione delle personalità individuali, inclusione e rispetto delle diversità – ha tanto da dire.

Fonte: Alberto Campoleoni – SIR

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