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Nel numero scorso, avevamo parlato della visita di Suor Pina alla parrocchia SS Maria Madre della Chiesa. Abbiamo avuto l’opportunità d’intervistarla, così che anche i lettori del Kaire potessero godere in pieno della sua testimonianza.

Suor Pina, lei ormai da quasi 50 anni opera in Africa a favore dei poveri più poveri, ad Asmara, in Eritrea, dove ha fondato una congregazione di suore Eritrea, ci racconti un po’ la sua storia…

Per raccontare cinquanta anni di storia ci vorrebbero cinquanta anni…a parte gli scherzi cerco di riassumere tutto in poche parole, non è facile, ma ci provo: arrivo in Eritrea come suora comboniana – in Italia avevo preso il diploma di ragioneria – dopo aver preso i voti e scelto la vita missionaria, da Roma mi inviarono in Eritrea dove le suore avevano una missione. Arrivata in Eritrea sentì che era mio dovere fare di più per la gente del posto, così, con il permesso dei miei superiori, iniziai ad aiutare delle donne che vivevano in strada o, meglio, in quelle che oggi si chiamano più genericamente bidonville. Dopo pochi mesi mi ritrovai a vivere con loro. Da quel momento in poi in me nacque l’esigenza di vivere per loro vivendo con loro. In questi cinquanta anni e per questo scopo ho dato vita alla Congregazione delle Suore del Buon Samaritano che a oggi conta circa quaranta suore tutte di nazionalità Eritrea. La Congregazione è riconosciuta dall’Eparchia di Asmara. Ad Asmara gestiamo tre case-famiglia che ospitano 40 bambini, una delle tre case-famiglia è per i bambini malati di AIDS e abbandonati per questo motivo. L’AIDS, purtroppo, è una malattia ancora molto presente nell’Africa subsahariana. Fino a poco tempo fa avevamo anche gli asili, ora in Eritrea le scuole sono tutte state requisite dallo stato.

Può parlarci in modo specifico delle case-famiglia?

Certo, parlare dei bambini è sempre bello. I bambini presenti nelle nostre case sono quasi tutti orfani, chi non lo è ha famiglie poverissime alle spalle che non sono in grado di sostenerli. Da noi restano fino al compimento della maggiore età. Negli anni vengono educati come se fossero una grande famiglia, come se fossero fratelli e sorelle naturali, educati a considerarsi tali e ad essere solidali fra loro. Quasi tutti coloro che in questi quaranta anni sono cresciuti con noi ancora oggi si informano uno della vita dell’altro e cercano di aiutarsi reciprocamente nei momenti di difficoltà. Nelle nostre case-famiglia educhiamo alla solidarietà evangelica, già da piccoli i bambini condividono non solo i giocattoli, ma tutto ciò che viene loro regalato dai donatori. Chi è diventato grande conserva i rapporti con noi e ci aiuta, donando ciò che può, a far crescere ed educare coloro che in questo momento vivono nelle nostre case. Ormai siamo una grandissima famiglia, in questi anni circa duecento bambini hanno vissuto e sono cresciuti con noi.

 Come avete vissuto gli anni della pandemia in Eritrea?

Guardi, quasi tutti i nostri progetti vengono finanziati da cittadini europei, in grandissima parte italiani. Quando l’economia europea è in crisi, l’Africa diventa ancora più povera, perché va in crisi quella solidarietà economica che si realizza attraverso gli esseri umani e che essenzialmente consiste nel far sì che chi ha di più doni qualcosa di suo a chi ha di meno. Nei momenti di crisi questo tipo di solidarietà è una delle prime cose che vengono sospese, dovrebbe essere il contrario, ma non succede mai. In Italia, attraverso e grazie all’associazione Mariam Fraternità- ONLUS gestiamo un programma di adozioni a distanza per bambini e famiglie eritree che in questi anni pandemici ha visto diminuire molto le offerte a favore dei nostri bambini. Sono tempi difficili, i 26euro mensili chiesti per il sostegno a distanza in fondo non equivalgono nemmeno ad un caffè al giorno, eppure spesso si preferisce risparmiarli questi soldi, non sapendo che con quella cifra mensile si assicura in Africa la sopravvivenza di tutta la famiglia non solo del bambino adottato.

Come vede il futuro?

Sono una donna di fede e mi affido a Dio e alla Santa Vergine affinché aiuti e trovi sostegno in futuro a tutti coloro che potremo e dovremo aiutare, però non posso fare a meno di pormi un problema: gran parte delle persone che aiutano la nostra comunità sia in Italia che in Eritrea ci conoscono da molti anni. Tutti invecchiamo, non possiamo fermare il tempo. È necessario nei prossimi anni che ci sia una nuova generazione di donatori che si prenda cura della nostra missione, dei nostri progetti e che vada ad aggiungersi ai nostri donatori di sempre. Sapere che questo possa avvenire mi dà molta speranza per il futuro e, non le nascondo, è uno dei motivi principali che mi ha convinta a rilasciare questa intervista.

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