Celebrazioni eucaristiche per i cresimandi nella XXXII domenica del Tempo Ordinario
Nel rivolgersi ai giovani che si apprestavano a ricevere il sacramento della Cresima, il Vescovo Gennaro, durante le celebrazioni dei giorni scorsi nelle diverse parrocchie della Diocesi ischitana, non poteva non ricordare la prima discesa dello Spirito Santo, quella potente forza che Gesù aveva promesso agli Apostoli, il Paraclito che sarebbe rimasto sempre con loro, lo ‘Spirito di verità che il mondo non può accogliere, perché non lo vede e non lo conosce’ (Gv 14,15- 17).
Esso scende per la prima volta sugli Apostoli e su Maria, chiusi nel Cenacolo, spaventati dopo la morte del Maestro, timorosi di finire come lui, condannati e crocifissi. Il Vescovo ha descritto efficacemente la scena della prima Pentecoste ricordando come lo Spirito Santo venne preceduto, secondo le Scritture, da un vento forte, che attirò l’attenzione della gente e discese poi nel Cenacolo sui presenti sotto forme di lingue di fuoco.
Quel fuoco era la fiamma dell’amore di Dio. La presenza della Spirito Santo ha subito un effetto sorprendente: trasforma quel piccolo gruppo di persone spaventate in uomini in grado di agire in modo risoluto, mentre le porte fino a quel momento serrate si spalancano e Pietro, che avevamo conosciuto timoroso fino al rinnegamento, esce e comincia ad annunciare che Cristo è risorto ed è vivo, iniziando quella predicazione che sarà interrotta solo dal suo martirio. «Quelle porte – ha detto il Vescovo – non si chiuderanno più.
Dopo oltre duemila anni l’annuncio è arrivato a noi e noi oggi abbiamo la responsabilità, in questi tempi difficili dove la fede diminuisce e l’indifferenza cresce, di passare il prezioso testimone alle generazioni future». Probabilmente ciò è anche l’effetto del modo con il quale noi abbiamo recepito il messaggio evangelico, del modo in cui noi lo abbiamo tradotto nella nostra esistenza quotidiana. «Il Cristianesimo non è una dottrina, ma l’incontro con una persona viva: Gesù Cristo. Ma io vivo il suo Vangelo?».
Il Vescovo ha poi ricordato le parole di Papa Francesco, che, celebrando in Terra Santa proprio nel Cenacolo, ha detto che proprio in quel luogo è nata la Chiesa ed è nata con le porte aperte, una chiesa nata da quella uscita e da quelle porte aperte, porte che devono continuare ad essere aperte, per uscire e per accogliere.
Dunque lo Spirito Santo è in grado di cambiare le vite di coloro che lo accolgono, conferisce forza (la Fortezza è appunto uno dei sette doni dello Spirito Santo) e ha infatti cambiato per sempre le vite degli Apostoli, che certamente non erano molto virtuosi: rinnegano, scappano, tradiscono, si nascondono, vorrebbero uccidere, eppure andranno in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo e hanno dato tutta la loro vita per questo.
Per i cresimandi – ha proseguito il Vescovo – lo Spirito Santo rappresenta una occasione per trovare un alleato valido per affrontare le difficoltà della vita, esso ci aiuta, quando invocato con fiducia, a suscitare in noi il desiderio di realizzare il sogno di Dio per noi, ci aiuta a plasmare i nostri cuori e le nostre vite indirizzandoci verso quella che è la “nostalgia di Dio” il desiderio di non vedere mai estinto l’amore che Dio ha per noi: è questo il senso del timor di Dio, non è paura, ma desiderio di non rompere la relazione con lui.
E questo è anche il senso della dichiarazione di “rinuncia al male” che viene pronunciata dai cresimandi, si tratta cioè della promessa di non mettere in atto azioni che possano dividere Dio da noi. Allo stesso modo noi possiamo conformarci all’amore che Dio ha per noi attraverso le nostre azioni, prendendo esempio e spunto dalla Parola, che ci aiuta a comprendere come realizzare il volere di Dio e con esso la nostra felicità.
Così il Vescovo ha voluto concludere la sua omelia ricordando le due figure proposte dalla Liturgia della Parola, due figure che sono esempio da imitare: la vedova di Serepta, nella Prima Lettura, grande esempio di fiducia in Dio, il quale le parla attraverso le parole del profeta e le fa guadagnare la salvezza, rappresentata dall’olio e dalla farina che non si esauriscono mai, e la vedova che, nonostante la condizione di indigenza, dona al tempio quel poco che ha, esempio di come nessuno sia mai tanto povero da non poter donare nulla, e modello per ogni cristiano, per il quale la condivisione deve essere segno distintivo.
La condivisione è anche espressione dell’amore, che in Dio raggiunge la perfezione. Noi fatichiamo molto sulla strada dell’amore e della condivisione, ma questo obiettivo, ci ha ricordato anche il Concilio Vaticano II, sebbene lontano e apparentemente irraggiungibile, deve diventare obiettivo della nostra vita. E in questo ci aiuta senza dubbio lo Spirito Santo.