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Babbo Natale tra neopaganesimo e tradizione

Ci risiamo nel magico clima natalizio, tra addobbi, luminarie, canzoncine che ci incantano, forse perché ci riportano con la mente a quando, da bambini, ci si preparava a questa splendida festa, splendida sì, ma anche tanto sentita, vissuta, attesa.

È forse questo che oggi manca più di tutto: la magia dell’attesa. Si aspettava con trepidazione la notte del 24, la vigilia, perché proprio in quella notte i ragazzini di allora, almeno in Italia aspettavano i doni, non da Babbo Natale, ma da Gesù Bambino.

E ci si interrogava sul merito: eravamo stati abbastanza buoni? Ce lo meritavamo? Quante marachelle avevamo combinato? Almeno così i nostri genitori ci preparavano all’evento e ai doni di Gesù Bambino. E ci si accontentava di poco, non si pretendeva nulla, se non quello che si riceveva, e si imparava a condividerlo con fratelli e sorelle.

La mattina del 25 ci si svegliava come minimo alle 7, impazienti e curiosi di vedere se i doni c’erano davvero ed era una festa, una condivisione per tutta la famiglia, grandi e piccini. E cominciava il rito: scoprire ciò che ciascuno aveva ricevuto a partire dai cioccolatini e alla quantità di carbone che ci si ritrovava, a indicare quanto eravamo stati pestiferi.

E poi? Che cosa ne è stato di questa bella tradizione? A poco a poco si è imposta un’altra figura che ha soppiantato il dolce Bambin Gesù, e cioè Babbo Natale, o Santa Claus. Si pensa che sia una figura leggendaria di origine nordica o statunitense, ma così non è.

Per essere precisi giunse in America con Cristoforo Colombo che il 6 dicembre 1492 approdando ad Haiti scopre il territorio inesplorato dell’isola definendola come “la terra più bella che gli occhi dell’uomo abbiano visto”. E ribattezzando la baia che l’aveva accolto col nome cristiano di San Nicola, il sacerdote greco (270 d.C. – 337 d.C.), diventato San Nicola da Bari ma originario di Myra, allora provincia dell’Impero Romano d’Oriente nell’attuale Turchia.

E da quel giorno Nicola cominciò ad evolversi fino a diventare quel Babbo Natale che è poi divenuto il simbolo di questa festa in tutto il mondo. Un simbolo oggi un po’ contestato che con la sua opulenza, tra consumismo sfrenato e mercificazione, male si accorda con la figura del serafico Gesù Bambino nato in assoluta povertà, in una grotta, riscaldato dal fiato di un bue e un asinello. Eppure, la logica del dono è viva e presente in entrambe le figure.

Ma in realtà il Bambinello e il dolce vecchietto, sono agli antipodi e non perché uno sia infante e l’altro anziano, ma per l’idea che incarnano. Nel caso di Babbo Natale, non c’è attesa, le cose si ripetono in una rassicurante successione di eventi. E’ come il ripetersi dei giorni della settimana o delle stagioni. Il futuro è uguale al passato. Nel caso di Gesù Bambino, al contrario, si segna la storia dell’uomo con un’attesa e una finalità ben precise: la redenzione degli uomini e l’avvento del regno di Dio.

Tutto si gioca sul futuro che è altro, diverso da quello ripetitivo, ma che promette cieli nuovi e terra nuova. E’ questo il messaggio cristiano cui occorre prestare attenzione. Quello che disturba semmai è la trasformazione di San Nicola in Santa Claus o Babbo Natale che, ingrassato e arricchito, ben rappresenta l’opulenta e potente civiltà occidentale.

Molti adulti sono convinti che la magia di Babbo Natale sia unica, che vada rispettata per il benessere dei più piccoli. È una figura intoccabile secondo loro e non si rendono conto che questo personaggio è oggi trattato malissimo dalla pubblicità, perché associato inevitabilmente a qualcosa che “si deve” comprare o a regali che i genitori comunque “dovranno pagare”.

E che dobbiamo raccontare a quei figli tenerissimi che hanno chiesto nelle loro letterine “come regalo” una famiglia? Siamo in una società per certi versi malata, inebetita, se vogliamo, narcotizzata dalla mercificazione e dallo scambio di doni a tutti i costi. Ma il Natale non è questo.

E ce lo ricorda lo scrittore Dino Buzzati che nel racconto Ce n’è troppo di Natale immagina un viaggio sulla terra, dal Paradiso degli animali, del bue e dell’asinello che avevano riscaldato Gesù Bambino nella notte Santa: – Mi avevi detto – osservò il bue – che era la festa della serenità, della pace. – Già – rispose l’asinello. – Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali. Il bue tese le orecchie. Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città. – Ma ci credono? – chiese il bue – Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al prossimo?

La serenità, il piacere della condivisione e dello stare insieme sono qualcosa che, nell’atmosfera mercantile di cui siamo intinsi, tende ad affievolirsi, e finisce per contare molto più il regalo acquistato per una persona che un abbraccio dato con sincerità. In questi tempi di pandemia, poi, pare che queste manifestazioni d’affetto siano non solo vietate, ma quasi sparite.

I due protagonisti del racconto colgono in pieno lo spirito di una realtà che è ben diversa dal messaggio che dovrebbe richiamare e rivela quella semplicità e quella serenità che i due avevano ben avvertito nella grotta di Betlemme, nonostante il grande disagio che quell’ambiente poverissimo comportava.

Con quest’immagine della Natività nella sua essenzialità e semplicità e il bisogno di vivere intimamente il Natale e i giorni dell’attesa che lo precedono, auguro a tutti di trascorrere serenamente questo tempo di grazia.

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