Spera. Sempre spera. Vivi, ama, sogna, credi!
Nella Domenica Laetare d’Avvento ci siamo nuovamente ritrovate presso il Convento di s. Antonio a Ischia Ponte per il nostro ritiro mensile, che è iniziato con una meravigliosa adorazione a Gesù Eucaristia, lo Sposo della Chiesa, durante la quale abbiamo cantato e recitato l’Ora Media.
Padre Maurizio e fra Mario si sono poi alternati nella trattazione del tema di questo mese: “Speranza e accidia”, virtù e vizio. La fede è vita, è vivere l’amore di Dio che ci ha cambiato l’esistenza, stretti a Lui, in comunione con Lui, stando vicini ai fratelli e alle sorelle. Con una parola: prossimità! Non esperti del sacro dunque ma testimoni dell’amore che trasforma le nostre rigidità, per essere e non per fare o avere. Fondamentale dunque ritornare alle virtù dal punto di vista esistenziale. E che richiedono un impegno forte, altrimenti perdiamo di vista la nostra identità.
Il tempo passa: che sto facendo della mia vita?
La virtù è una disposizione (l’orientamento) permanente (ogni giorno, costante), della libertà (persona libera) al bene. E la speranza è una virtù teologale che non delude: abbiamo tutti il dovere di sperare! La speranza riguarda la mia relazione con Dio e se sono senza speranza vuol dire ho problemi con Dio. Perché noi facciamo un sostanziale errore: “Io so il mio vero bene” = superbia.
La felicità è invece avere dentro un cuore nuovo, uno spirito nuovo; è sentirsi amati nientemeno che da Dio. Da me posso procurarmi una contentezza che è “a tempo” perché marcisce, invece ciò che Dio vuole darmi è altro, è una felicità costante, eterna.
A volte restiamo immobili, paralizzati, invece la speranza non ci blocca perché anche nella povertà, nell’ingiustizia, nel pianto, nella sofferenza, nella persecuzione e nell’ingratitudine di chi ci sta accanto, in tutto quello che accade di brutto e che non ci andiamo certamente a cercare, quello può diventare funzionale a star bene e meglio. Sono le beatitudini. E la speranza si sviluppa nelle beatitudini, ci procura gioia anche nella prova. “Lieti nella speranza…” chiedendo “…sia fatta la tua volontà, Padre, perché solo tu vuoi il mio bene”.
Vogliamo vivere la sofferenza con le doglie di un parto, e mettere al mondo una vita, quand’anche fosse la mia? Quella personale di ognuno di noi? La Chiesa nasce dalla morte di Gesù: il seme è caduto, ora deve nascere la vita. “Se il seme caduto a terra non muore, non porta frutto” C’è un grido, che è quello di Gesù. E dopo questo grido i discepoli fuggono. Ma pian piano ritornano a incontrarsi e iniziano le novene, i nove giorni di preghiera: perseveranti e concordi. Insieme nel Cenacolo. È un parto! Sta per nascere una vita.
Ognuno deve sperare con la grazia di Dio di perseverare fino alla fine e ottenere la gioia del cielo. La nostra preghiera deve essere a cerchi concentrici: dai più prossimi ai meno prossimi, dal proprio ordine alla parrocchia, alla diocesi, alla chiesa tutta, al mondo intero.
Accidia deriva dal greco akedia con l’iniziale alfa privativa: a – kedia. Kedia deriva dal verbo kedomai che significa mi prendo cura di. …Di chi? Di noi stessi, degli altri, del rapporto con Dio. Evagrio Pontico, monaco del VI secolo d.C. chiama l’accidia il demone di mezzogiorno, perché a quell’ora gli veniva meno lo stupore, quindi usciva dalla cella per fare qualcosa. Come e perché facciamo? L’accidioso indossa una maschera senza accorgersene, perché l’accidia è sottile e da’ l’illusione alla persona di stare facendo tutto bene. La causa dell’accidia è:
- il peccato originale;
- limitazione dell’uso dell’intelligenza;
- debolezza della volontà (è una forma di pigrizia);
- esuberante impulsività (scappiamo da noi stessi e ci buttiamo nel fare. Evagrio non stava bene nella sua cella e ne usciva per fare, non per essere);
- egocentrismo (pensiamo: “sto facendo tutto bene, vedo pure le folle che mi seguono!” Ma poi il succo dov’è?).
L’accidia si insinua quando siamo morbidi con noi stessi: “Ah, come sto pregando bene!”, “Ah, come sto facendo bene!”, “Ah, come sto bene nella mia comunità!” Quando ci crogioliamo nel nostro stato e non combiniamo più niente o viceversa passiamo a fare tante cose. Quando con l’impazienza vogliamo tutto e subito. Invece dobbiamo “stare” come Maria! Perché quello stare ci porta a crescere e a non stare concentrati su noi stessi, perché diversamente non ascoltiamo e vediamo l’altro con i nostri occhi e non con gli occhi di Dio. L’altro è lo specchio di noi stessi e se abbiamo un problema con l’altro, il problema è il nostro, non il suo.
Come si risolve? Amando veramente noi stessi, Dio e il prossimo. Ci sono dei rimedi:
- la testimonianza dei santi (al centro della loro vita c’era Dio, non l’io);
- la preghiera (ci aiuta a riconoscere il vizio);
- lo Spirito Santo (che lo trasforma quando lo riconosciamo e lo offriamo a Dio).
La nostra fede è andare avanti con Dio nella speranza. E ognuno di noi deve avere un padre/una madre, una guida spirituale a cui aprire la propria vita, affinché ci aiuti a vedere la nostra realtà e a farcela con le nostre forze. Dobbiamo metterci in gioco, così che non ci chiudiamo in noi stessi e non subentri la tristezza. Siamo chiamati a essere aperti, anche se con difficoltà, anche se non sappiamo parlare, muoverci. E non dobbiamo limitarci a fare soltanto il nostro dovere.
La mia vocazione che strada sta prendendo?
Bisogna chiedere aiuto e confrontarsi con l’altro (superiore, fratello, accompagnatore spirituale) per lasciar cadere la maschera. Perché quando tutto è calmo c’è qualcosa che non va. L’accidia oltre a interessare il livello morale o il livello spirituale, può portare anche alla depressione. Mettiamoci in gioco, con verità! Sincerità è ancora troppo poco. Ci vuole equilibrio, stabilità perché la mente viaggia anche più del cuore. Non lo sottovalutiamo. E camminiamo sempre con la speranza nei nostri cuori per compiere quel progetto meraviglioso che Dio ha su di noi.
Abbiamo poi partecipato alla S. Messa, insieme alla comunità tutta e sempre tutti insieme abbiamo cantato, più volte e gioiosamente: “Svegliati, svegliati o Sion, metti le vesti più belle. Scuoti la polvere ed alzati, santa Gerusalemme!
Il gruppo delle Consacrate della Diocesi di Ischia