Commento al Vangelo Lc 2,41-52
Giuseppe e Maria erano credenti fedeli e osservanti della Legge di Dio data a Mosè, dunque ogni anno facevano la salita, il pellegrinaggio alla città santa di Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua, memoriale della liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto.
Quando Gesù, il figlio nato a Betlemme e ormai cresciuto con loro a Nazareth, compì dodici anni, i suoi genitori lo portarono a Gerusalemme affinché diventasse, attraverso un rito che si svolgeva al tempio, bar mitzwà, “figlio del comandamento”, cioè un uomo credente responsabile della sua identità davanti al Signore e in mezzo al suo popolo.
Il ragazzo allora – come avviene ancora oggi tra gli ebrei – saliva sull’ambone dove si leggevano le Scritture, mostrava di saperle leggerle in ebraico come stava scritto e poi, interrogato dagli scribi, gli esperti della Legge, rispondeva – dando prova della preparazione che aveva ricevuto e dello studio in cui si era impegnato – alle domande riguardanti la volontà del Signore inscritta nella Torà. Così fece anche Gesù.
Poi Giuseppe e Maria, parte della carovana partita dalla Galilea, intraprendono il cammino del ritorno, finché alla sera si accorgono che l’adolescente Gesù non è con loro. Un figlio che si è perduto, o che comunque non è accanto ai genitori in viaggio al calare della notte, significa ansia, paura, e dunque ricerca affannosa, innanzitutto all’interno della carovana. Ma Gesù risulta un figlio che non c’è, che desta la domanda: “Dov’è?”, domanda ben più profonda di quanto possa apparire in quella circostanza di sofferenza e di paura.
Dov’è Gesù? Quante volte facciamo questa domanda: dove sta il Signore? Dove sta in questo momento della mia vita? Ma se ci fermiamo alle domande, le risposte non arrivano mai. Giuseppe e Maria si rimettono in viaggio, tornano indietro, cercano quel figlio.
Sarebbe bello che davanti a questa domanda ciascuno di noi si rimetta in cammino verso Dio. Per tre giorni quella ricerca continua, e tutti noi sappiamo cosa significhi non trovare più qualcuno che amiamo, non sapere dove sia, dover fare i conti con la prospettiva di una sua mancanza definitiva. Tre giorni, il tempo dell’attesa secondo la tradizione ebraica, il tempo dell’angoscia che trova un termine, perché al terzo giorno Dio si fa presente.
Dopo averlo cercato ovunque, ritornano infine al tempio, là dove Gesù aveva letto le Scritture, diventando un credente adulto, maturo, un vero figlio d’Israele. Ed ecco, trovano Gesù proprio al tempio, dal quale non era uscito: era rimasto a dimorare là dove dimora la Shekinà, la Presenza di Dio.
Egli è seduto tra i rabbini, gli uomini esperti e interpreti delle sante Scritture, intento ad ascoltarli e a interrogarli. Gesù non sta facendo un’omelia che stupisce tutti, ma si fa veramente discepolo dei rabbini, in primo luogo attraverso il loro ascolto e poi interrogandoli, per comprendere meglio ciò che il Signore dice a chi lo ascolta. Dovremmo dunque dire che questa pagina evangelica ci parla di “Gesù discepolo”, ragazzo credente, dotato di “un cuore che ascolta” (lev shomea‘: 1Re 3,9) e capace di porsi domande.
Gesù manifesta che, anche nella sua crescita, quello che più cercava e più lo coinvolgeva era la presenza del Signore capace di “parlare” a chi si fa figlio dell’insegnamento e “servo della Parola”. Ecco dov’è Gesù! Ecco dove sta Dio! I suoi genitori sono stupefatti, sorpresi, non capiscono e la madre Maria lo rimprovera: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!”.
Ed ecco la seconda domanda forte di questo vangelo: “Perché mi cercavate?”. Parole che certamente hanno raggiunto il cuore di Maria e Giuseppe, i quali hanno dovuto interrogare sé stessi, i loro sentimenti e la loro fede riguardo a questo Figlio dono di Dio, nato per volontà di Dio e non per loro volontà. Perché cerchiamo Dio? Per tornaconto? Per utilizzarlo per i nostri scopi? Per impossessartene come vuoi fare con tuo figlio, tua figlia, la comunità? Ci farà bene interrogarci su questo.
Poi Gesù pone un’ultima domanda: “Non sapevate che devo stare presso il Padre mio?”. Non sapete, come a dirci ecco perché siete infelici, ecco perché siete angosciati perché non sapete, non conoscete il Padre, perché nulla è più importante di Dio Padre. Gesù deve stare presso il Padre, è una necessità per lui, ed egli tante volte nella sua vita sentirà e annuncerà ai suoi discepoli che qualcosa “è necessario, bisogna, occorre”.
Lungo tutta la sua esistenza Gesù obbedisce a tale “necessità”, non perché questo sia il suo destino, dal momento che egli conserva sempre una piena libertà, ma perché questa è la sua volontà e la sua missione: compiere ciò che Dio suo Padre gli chiede.
Questa è la festa della santa famiglia, in queste tre domande possiamo anche noi ritrovare il senso del matrimonio cristiano: Dove è Dio nella nostra famiglia? Perché cerchiamo Dio? Non ci rendiamo conto di ciò che è davvero necessario nella nostra famiglia? Tutti i legami di famiglia che mettono da parte Dio non sono legami autentici e cristiani.
Di fatto in questa pagina, come nelle altre che mettono in evidenza il legame tra Gesù e la sua famiglia (madre e clan), vi è una forte critica alla famiglia tradizionale con i suoi codici, assolutamente contraddetti dal Vangelo.
Dunque, questa festa della santa famiglia pone in crisi la nostra famiglia tradizionale: io e te il tutto!
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Finalmente la crisi della famiglia tradizionale!
Commento al Vangelo Lc 2,41-52
Giuseppe e Maria erano credenti fedeli e osservanti della Legge di Dio data a Mosè, dunque ogni anno facevano la salita, il pellegrinaggio alla città santa di Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua, memoriale della liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto.
Quando Gesù, il figlio nato a Betlemme e ormai cresciuto con loro a Nazareth, compì dodici anni, i suoi genitori lo portarono a Gerusalemme affinché diventasse, attraverso un rito che si svolgeva al tempio, bar mitzwà, “figlio del comandamento”, cioè un uomo credente responsabile della sua identità davanti al Signore e in mezzo al suo popolo.
Il ragazzo allora – come avviene ancora oggi tra gli ebrei – saliva sull’ambone dove si leggevano le Scritture, mostrava di saperle leggerle in ebraico come stava scritto e poi, interrogato dagli scribi, gli esperti della Legge, rispondeva – dando prova della preparazione che aveva ricevuto e dello studio in cui si era impegnato – alle domande riguardanti la volontà del Signore inscritta nella Torà. Così fece anche Gesù.
Poi Giuseppe e Maria, parte della carovana partita dalla Galilea, intraprendono il cammino del ritorno, finché alla sera si accorgono che l’adolescente Gesù non è con loro. Un figlio che si è perduto, o che comunque non è accanto ai genitori in viaggio al calare della notte, significa ansia, paura, e dunque ricerca affannosa, innanzitutto all’interno della carovana. Ma Gesù risulta un figlio che non c’è, che desta la domanda: “Dov’è?”, domanda ben più profonda di quanto possa apparire in quella circostanza di sofferenza e di paura.
Dov’è Gesù? Quante volte facciamo questa domanda: dove sta il Signore? Dove sta in questo momento della mia vita? Ma se ci fermiamo alle domande, le risposte non arrivano mai. Giuseppe e Maria si rimettono in viaggio, tornano indietro, cercano quel figlio.
Sarebbe bello che davanti a questa domanda ciascuno di noi si rimetta in cammino verso Dio. Per tre giorni quella ricerca continua, e tutti noi sappiamo cosa significhi non trovare più qualcuno che amiamo, non sapere dove sia, dover fare i conti con la prospettiva di una sua mancanza definitiva. Tre giorni, il tempo dell’attesa secondo la tradizione ebraica, il tempo dell’angoscia che trova un termine, perché al terzo giorno Dio si fa presente.
Dopo averlo cercato ovunque, ritornano infine al tempio, là dove Gesù aveva letto le Scritture, diventando un credente adulto, maturo, un vero figlio d’Israele. Ed ecco, trovano Gesù proprio al tempio, dal quale non era uscito: era rimasto a dimorare là dove dimora la Shekinà, la Presenza di Dio.
Egli è seduto tra i rabbini, gli uomini esperti e interpreti delle sante Scritture, intento ad ascoltarli e a interrogarli. Gesù non sta facendo un’omelia che stupisce tutti, ma si fa veramente discepolo dei rabbini, in primo luogo attraverso il loro ascolto e poi interrogandoli, per comprendere meglio ciò che il Signore dice a chi lo ascolta. Dovremmo dunque dire che questa pagina evangelica ci parla di “Gesù discepolo”, ragazzo credente, dotato di “un cuore che ascolta” (lev shomea‘: 1Re 3,9) e capace di porsi domande.
Gesù manifesta che, anche nella sua crescita, quello che più cercava e più lo coinvolgeva era la presenza del Signore capace di “parlare” a chi si fa figlio dell’insegnamento e “servo della Parola”. Ecco dov’è Gesù! Ecco dove sta Dio! I suoi genitori sono stupefatti, sorpresi, non capiscono e la madre Maria lo rimprovera: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!”.
Ed ecco la seconda domanda forte di questo vangelo: “Perché mi cercavate?”. Parole che certamente hanno raggiunto il cuore di Maria e Giuseppe, i quali hanno dovuto interrogare sé stessi, i loro sentimenti e la loro fede riguardo a questo Figlio dono di Dio, nato per volontà di Dio e non per loro volontà. Perché cerchiamo Dio? Per tornaconto? Per utilizzarlo per i nostri scopi? Per impossessartene come vuoi fare con tuo figlio, tua figlia, la comunità? Ci farà bene interrogarci su questo.
Poi Gesù pone un’ultima domanda: “Non sapevate che devo stare presso il Padre mio?”. Non sapete, come a dirci ecco perché siete infelici, ecco perché siete angosciati perché non sapete, non conoscete il Padre, perché nulla è più importante di Dio Padre. Gesù deve stare presso il Padre, è una necessità per lui, ed egli tante volte nella sua vita sentirà e annuncerà ai suoi discepoli che qualcosa “è necessario, bisogna, occorre”.
Lungo tutta la sua esistenza Gesù obbedisce a tale “necessità”, non perché questo sia il suo destino, dal momento che egli conserva sempre una piena libertà, ma perché questa è la sua volontà e la sua missione: compiere ciò che Dio suo Padre gli chiede.
Questa è la festa della santa famiglia, in queste tre domande possiamo anche noi ritrovare il senso del matrimonio cristiano: Dove è Dio nella nostra famiglia? Perché cerchiamo Dio? Non ci rendiamo conto di ciò che è davvero necessario nella nostra famiglia? Tutti i legami di famiglia che mettono da parte Dio non sono legami autentici e cristiani.
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Don Cristian Solmonese
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