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Il discernimento è l’anima del processo sinodale

L’avventura sinodale continua: L’intervento di Mons. Coda, Segretario della Commissione teologica internazionale

Il cammino sinodale della nostra Chiesa locale prosegue articolandosi nelle singole parrocchie e mettendo in pratica quanto appreso ed elaborato durante le fasi diocesana e decanale vissute nelle settimane che hanno preceduto il Natale, fasi che possono considerarsi introduttive o anche di ‘allenamento’.

Nel numero precedente abbiamo già avuto modo di mostrarvi, con un articolo sull’apertura del Sinodo presso la parrocchia di Fiaiano, come il cammino nelle Chiese locali particolari stia già dando buoni frutti. Conviene però, nel frattempo, considerare quanto a proposito del Sinodo ha detto una autorevole voce, quella di Mons. Piero Coda, intervenuto il 15 dicembre scorso come relatore per il primo degli incontri dei corsi di formazione previsti dalla CNAL (Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali) in preparazione al Sinodo della Chiesa universale.

Un ospite d’eccezione: Mons. Piero Coda, teologo e accademico, attualmente professore ordinario di teologia e ontologia trinitaria, e coordinatore del Dipartimento di Teologia, Filosofia e Scienze Umane presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano fondato da Chiara Lubich e consultore del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, per citare alcuni dei suoi tanti, impegnativi e prestigiosi incarichi, tra i quali anche la presenza dal 29 settembre 2021, come Segretario, nella Commissione Teologica Internazionale che si sta occupando del Sinodo.

Il protagonista del Sinodo è il popolo di Dio, e ciò avviene per la prima volta in oltre duemila anni di storia: in gioco non c’è l’esito di un pontificato, ma il cammino della Chiesa”.

Così si era espresso Mons. Coda il 15 ottobre scorso intervenendo alla prima Assemblea dei Tavoli di studio per l’Ecumenismo promossa dalla CEI.

L’intervento per la CNAL è stato incentrato essenzialmente sul tema del discernimento comunitario, anima e perno intorno al quale gira tutto il Sinodo, ma è stato anche occasione per sottolineare alcuni aspetti teologici fondamentali da tener presenti nel proseguimento del percorso sinodale.

Il contesto del processo sinodale

Il Sinodo attualmente in corso non è la risposta ad una crisi, né c’è un tema specifico come suo oggetto, “non è una convention – ha detto Papa Francesco -, ma un evento dello Spirito”, un tornante nella vita della Chiesa, una tappa fondamentale per la quale i tempi erano maturi. Già nel 2014 – ha precisato Mons. Coda – nella Commissione Teologica Internazionale con il Papa è stato elaborato un Documento (La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2017), nel quale si è cercato di delineare i tratti dell’essere sinodale della Chiesa.

Nel Discorso dei 50 anni del Sinodo dei Vescovi del 2015 il Papa aveva sottolineato che “tutto ciò che il Signore ci chiede è nella parola Sinodo”. Ma questa intuizione non è stata altro che la realizzazione del dettato del Concilio Vaticano II e non è altro che ciò che nel terzo millennio ci si aspetta dalla Chiesa, “Una Chiesa – così Mons. Coda- che interpreta ciò che nel Vangelo è perenne e sempre attuale alla luce delle sfide del tempo presente. Il Concilio Vaticano II va considerato come il provvidenziale inizio – a lungo incubato – di quel processo che porta oggi all’avvio di questo avvenimento sinodale”.

Dunque ciò che stiamo vivendo oggi è l’evento più importante e strategicamente più decisivo dal Concilio Vaticano II ad oggi.

“È scoccata l’ora dei laici”

Il Concilio Vaticano II ha segnato un discrimine a partire dal quale i laici sono entrati sulla scena della vita della Chiesa come parte attiva, riscoprendo quella ‘orizzontalità’ che sostituisce la verticalità ecclesiastica precedentemente imperante. “La Chiesa sinodale – precisa Mons. Coda – ripristina l’orizzontalità, quell’orizzonte da cui sorge il sole che è Cristo”.

È dunque nella orizzontalità che diventa tangibile nella storia la presenza del Signore risorto tanto cercata e attesa. Molte sono le espressioni del popolo di Dio – leggi ‘laici’ – ridisegnate dal Concilio: i cammini, i ministeri, le vocazioni, i carismi, la trasformazione della Liturgia, la riscoperta della pari dignità in forza del Battesimo, ma è giunta l’ora di tirare le reti e scoprire il frutto della pesca: è ciò che ci si aspetta, è ciò che il Signore si aspetta dalla Chiesa attuale: “È un esodo, da una forma di Chiesa che è stata provvidenziale nel secondo millennio, verso una Chiesa coerente con quelle precedenti, che da esse e dal Vangelo scaturiscono naturalmente. Ma questo esodo richiede fede, coraggio, creatività, pazienza”.

Si tratta di fare un salto di qualità, sotto tre punti chiave indicato da Papa Francesco.

Comunione, missione e partecipazione

La Chiesa vive di comunione ed è missione e anche partecipazione. Ma tutto ciò non può e non deve essere un ideale. “È necessario che la comunione diventi carne e sangue della nostra esperienza e si traduca in partecipazione reale”, ognuno secondo le proprie competenza e i propri carismi, sul modello di Dio, che ha comunicato tutto se stesso in Cristo.

Noi partecipiamo al dono che è Dio quando lo partecipiamo agli altri, questa è la sinodalità, questo il processo da realizzare”.

Bisogna cercare e trovare nuove forme vive di partecipazione per realizzare questo processo, in grado di intrecciare legami nuovi nella vita della Chiesa, affinché essa sia viva ed empatica e immetta il lievito di Cristo, che è il lievito della relazione, nella storia di oggi. E per tutto questo ci vuole uno ‘scatto di reni nelle Chiese locali’

Gli atteggiamenti propizi: l’ascolto e il discernimento

Come realizzare tutto ciò? Con quali atteggiamenti? Mons. Coda ci fornisce alcune indicazioni. Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che noi siamo il popolo messianico e profetico che realizza il Regno di Dio. La premessa è senza dubbio l’ascolto, base della profezia. È il dono dello Spirito che attraverso l’ascolto della voce di Dio propizia e anima un discernimento della missione della Chiesa al servizio dell’avvento del Regno di Dio. Il discernimento è quindi l’anima del processo sinodale, ma esso richiede che vi sia, in chi lo attua nelle singole comunità, una predisposizione, che Mons. Coda traduce in tre coppie di parole, che segnano in sintesi il passaggio dall’io al noi:

1)Intenzione e umiltà: siamo chiamati a riflettere sull’intenzione con la quale ci poniamo in ascolto, cioè con purezza plasmata dall’agape, accogliendo l’altro come ha fatto Cristo, ascoltando con pazienza, facendo il primo passo, aspettando per dare il nostro contributo, nel rispetto dell’altro.

2)Umiltà e parresia: obbedire è ‘ascoltare dal basso’, seguire la volontà del Signore che si esprime nel soffio dello Spirito Santo, non mettere il proprio progetto davanti a quello del Signore, obbedire è staccarsi da noi stessi e ricercare la volontà del Padre, soprattutto a livello comunitario. L’obbedienza intesa in tal senso si sposa con la parresia, che è la franchezza, il coraggio di dire la verità e di non essere ipocriti per convenienza.

3)Sentire nello Spirito: quando si fa discernimento bisogna rifarsi a criteri oggettivi per capire se si è sulla via giusta, cioè la Parola di Dio, la tradizione della Chiesa, i carismi, il sensus fidei, le competenze, per sentire lo Spirito santo in noi.

Quale il metodo?

Mons. Coda indica tre passi: vedere, giudicare, agire. È necessario conoscere le situazioni con obiettività, discernere i segni dei tempi, prendere decisioni, metterle in pratica, verificare. Sono tre atti tra loro in stretta relazione e in circolarità. Ma per metterli in atto è necessario superare la tentazione di lavorare fuori dalla visione ecclesiale, in quella dimensione che Papa Francesco chiama ‘asettica’, dove predomina la ragione, la logica dirigenziale e aziendale e dove manca il cuore.

La realtà va vista sempre con lo sguardo di Cristo: “Se ascolti Dio, il suo grido è quello dell’umanità che ci chiama. Questo è l’impegno del processo sinodale – ha concluso Mons. Coda – finché non siamo in ascolto delle ferite dell’umanità non abbiamo fatto il discernimento. In questo ascolto si coglie che in fondo a quelle ferite c’è la presenza del Cristo che le ha fatte sue e le ha redente”.

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