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Il Santo Padre ha voluto parlare della nascita di Gesù come evento da cui non può prescindere la storia: «Pensiamo: il Creatore dell’universo … a Lui non fu concesso un posto per nascere! Forse fu un’anticipazione di quanto dice l’evangelista Giovanni:

 “Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto”;

 e di quello che Gesù stesso dirà:

“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.»

 Fu un angelo ad annunciare la nascita di Gesù, e lo fece a degli umili pastori. E fu una stella che indicò ai Magi la strada per raggiungere Betlemme. L’angelo è un messaggero di Dio. La stella ricorda che Dio creò la luce e che quel Bambino sarà “la luce mondo”, come Egli stesso si autodefinirà, la “luce vera […] che illumina ogni uomo”, che “splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.

I pastori personificano i poveri d’Israele, persone umili che interiormente vivono con la consapevolezza della propria mancanza, e proprio per questo confidano più degli altri in Dio. Sono loro a vedere per primi il Figlio di Dio fattosi uomo, e questo incontro li cambia profondamente. Annota il Vangelo che se ne tornarono “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”.

Intorno a Gesù appena nato ci sono anche i Magi. I Vangeli non ci dicono che fossero dei re, né il numero, né i loro nomi. Con certezza si sa solo che da un paese lontano dell’Oriente (si può pensare alla Babilonia, all’Arabia o alla Persia del tempo) si sono messi in viaggio alla ricerca del Re dei Giudei, che nel loro cuore identificano con Dio, perché dicono di volerlo adorare.

I Magi rappresentano i popoli pagani, in particolare tutti coloro che lungo i secoli cercano Dio e si mettono in cammino per trovarlo. Rappresentano anche i ricchi e i potenti, ma solo quelli che non sono schiavi del possesso, che non sono “posseduti” dalle cose che credono di possedere. Il messaggio dei Vangeli è chiaro: la nascita di Gesù è un evento universale che riguarda tutti gli uomini».

San Francesco d’Assisi amava il Natale più di ogni altra festa, esortava tutti a vivere questo tempo con grande devozione, invitava perfino le sorelle allodole a fare altrettanto, tanto da dire:

“« Se avrò occasione di parlare con l’imperatore, lo supplicherò che per amore di Dio e per istanza mia emani un editto, al fine che nessuno catturi le sorelle allodole o faccia loro del danno. E inoltre, che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e dei villaggi siano tenuti ogni anno, il giorno della Natività del Signore, a incitare la gente che getti frumento e altre granaglie sulle strade, fuori delle città e dei paesi, in modo che in un giorno tanto solenne gli uccelli, soprattutto le allodole, abbiano di che mangiare. Dia ordine inoltre l’imperatore, per riverenza al Figlio di Dio, posto a giacere quella notte dalla beata Vergine Maria nella mangiatoia tra il bove e l’asino, che a Natale si dia da mangiare in abbondanza ai fratelli buoi e asinelli. E ancora, in quella festività, i poveri vengano ben provvisti di cibo dai benestanti».

 Francesco aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell’anno. Invero, benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il Santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a salvarci.

E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli.

Diceva ancora dell’allodola: «La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi. Ed è un umile uccello che va volentieri per le vie in cerca di qualche chicco. Se anche lo trova nel letame, lo tira fuori e lo mangia. E volando loda il Signore, proprio come i buoni religiosi che, avendo in spregio le cose mondane, vivono già in cielo. La veste dell’allodola, il suo piumaggio cioè, è color terra. Così essa dà esempio ai religiosi a non cercare abiti eleganti e fini, ma di tinta smorta, come la terra».

Mirando questi pregi nelle sorelle allodole, Francesco le amava molto e le guardava con gioia (FF 1669)”.

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