“Signori, presto, che fra un po’ si chiude” era il finale di una struggente quanto impossibile storia d’amore messa in musica da Claudio Baglioni nel lontano 1978.
Anche questo anno si chiude, come il giorno che volge al termine dopo una serie interminabili di impegni che ci vedono, verso il finale, arrancare; come un turno di lavoro, estenuante, che si porta appresso le stanchezze fisiche e quelle più impalpabili, come un ciclo dal quale volentieri, qualche volta sembra per inerzia, si salta a piè pari per un’altra vita, un altro modo di vedere e di reagire.
Anche a questo giro di giostra, siamo prossimi all’ultima casella, sapendo già che bisogna ripartire dal via, chi c’è, c’è, chi salta il turno si riposa, chi si allontana dal tavolo, ripone la pedina nello scatolo e se ne parla la prossima volta, il prossimo anno, o anche solo, domani.
Tra un po’ si chiude ed il “Ed il juke-box finiva di cantare” anche se poi, lo sappiamo tutti che quel juke-box, presto o tardi, “ricomincerà a cantare”. È la vita stessa che riprende e si ripropone malgrado noi e nonostante noi e noi, “viaggiatori sulla coda del tempo” non possiamo fare altro che assistere al tramonto di un’era sapendo con certezza che da qualche parte ci sarà prima o poi una nuova alba.
Accade, in quel breve spazio eterno interstiziale (oggi è noto a tutti come termine, vero?), che il respiro si fermi, non prima di aver incamerato l’aria di cui necessita una apnea, breve o lunga che sia. Il tempo di una meraviglia, il frammento di uno stupore improvviso, non previsto da nessuna tabella di marcia, non contemplato nella lista della spesa e non preventivato tra le incombenze da espletare.
“Tutto in un abbraccio”, l’abbraccio di un tramonto, un attimo fugace che ti fa mettere le quattro frecce, cercare un piccolo spazio per fermare l’auto nel traffico impazzito di gente che va di corsa, che sgasa sull’acceleratore nel maldestro, quanto fastidioso tentativo di farti correre, di ingranare la marcia e schizzare via, perché abbiamo fretta, perché chiude il negozio, perché scatta il semaforo, perché la vita corre e noi, trafelati, dobbiamo starle dietro.
“La vita è adesso” canterebbe sempre Baglioni, ora, in quello sguardo rubato ad una curva che ti rallenta i battiti del cuore, che ti inchioda sull’asfalto e ti fa tirare il freno a mano, che ti costringe a scendere e ad affacciarti sul mondo, per vedere di carpire, di nascosto dalla gente, dove il sole va a dormire e cosa c’è al di là del promontorio che forma l’abbraccio di questo istante.
E qui una scogliera che scende a mare e ci si fonde, di là quel che resta della penisola, con le sue luci smorzate ed i suoi affanni placati, di fronte un tramonto, un sole che è sempre lo stesso e che però non è mai uguale, i cui riflessi giocano quegli scherzi dell’anima che quasi quasi ti fanno sentire un frammento universale, parte del tutto, quel che c’è in cielo, in mare e in terra ed ovunque.
Riflesso che sembra specchiare l’ultimo bagliore dell’anima e che in quello spazio minuscolo, interstiziale, altro non fa che assaporare il silenzio, sulla coltre della frenesia, su preoccupazioni che svaniscono, su conti che anche se non tornano, poco importa, sulla vita che volge al termine e che domani, malgrado noi, riprenderà a risorgere con la sua alba silente, talvolta un po’ sorniona, che anche in nostra assenza, anche senza la nostra approvazione, farà il suo mestiere.
Forse il messaggio di questo tramonto risiede proprio in quel minuscolo momento di apnea, di stupore, di meraviglia: tutto questo esiste e dura un attimo, nutriamocene in silenzio.
di Rossella Novella