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La carità e l’invidia

Terzo incontro del gruppo delle consacrate al Convento di s. Antonio

L’incontro di domenica 16 gennaio 2022 si è svolto nella gioia delle nozze di Cana, gioia che è frutto ottimo del primo, tra i segni di Gesù, compiuto dopo le parole di Maria: «Non hanno vino» e «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

La nostra gioia è iniziata con l’Adorazione eucaristica ed è proseguita con la catechesi di padre Maurizio e fra Mario. Il tema: “la carità e l’invidia”.

Ci riconosciamo invidiosi? Si? No?

Dall’invidia nascono odio, maldicenza, calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo, il dispiacere causato dalla fortuna del prossimo. A livello umano tende a nascondersi rispetto agli altri vizi e proprio quando la stiamo notando o quando pensiamo di non essere invidiosi per niente. L’invidia intristisce e si rafforza con la mormorazione. E pensiamo di essere più bravi degli altri. Non giova dunque a nessuno! Allora perché?

S. Gregorio Magno ci dice di rallegrarci dei progressi del nostro fratello: così sarà glorificato Dio! La soluzione allora è fare della gioia dell’altro il motivo della propria gioia.

Invidia è guardare biecamente. Proviene dal nostro modo di vedere interno. Nasce dal cuore dell’uomo e fu conseguenza del peccato originale, a sua volta conseguenza dell’invidia di Lucifero: che voleva essere oggetto di adorazione, piuttosto che adorare da creatura il Creatore; che voleva essere simile all’Altissimo; che voleva compiacersi di sé; che invidiò l’uomo, perché grazie all’immagine e alla somiglianza con la quale era stato fatto dal Creatore, solo lui era stato creato come Dio. Chi ama il fratello, ancor più quello che è in difficoltà, ama Dio stesso!  

Può capitare che, quando non amiamo, una parola detta non ce la scordiamo più. Che cosa fare? Ci dobbiamo rappacificare con la nostra diversità che è unica. Ci dobbiamo accettare. Dobbiamo fare pace con la nostra diversità e metterci in relazione con l’altro. Relazione che si crea nella diversità, perché per andare d’accordo non necessariamente l’altro la deve pensare come noi.

Anche Caino e Abele erano diversi e nel contempo avevano tanto in comune: figli degli stessi genitori, stesso sangue, concepiti nel medesimo istante, entrambi lavoratori, entrambi felici del loro lavoro, entrambi riconoscenti e dunque accomunati dall’offerta a Dio dei propri prodotti. Eppure nonostante ciò – che è tantissimo – Caino scelse la pochezza: piuttosto che guardare al tanto in comune, si sentì rifiutato e scelse ciò che non doveva scegliere.

Ci sono due tipi di invidia:

  • passionale = tristezza profonda in conseguenza del bene altrui che è una deviazione del senso di emulazione;
  • viziosa = dolore spirituale determinato dal bene del prossimo. Bene che viene visto come attentato alla propria pretesa di superiorità.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dà i rimedi: BENEVOLENZA. Ossia:

  1. considerare che tutti siamo fratelli e membri del Corpo mistico il cui capo è Gesù.
  2. coltivare il sentimento dell’emulazione ( = il bene che vedo fare all’altro lo emulo, provo anch’io a farlo) con mezzi leali e onesti.

E dobbiamo riconciliarci anche con il passato, con la nostra storia.

C’è anche la falsa invidia che è quando qualcuno possiede un bene che, secondo noi, lui non merita assolutamente. La domanda in questo caso che spesso ci facciamo è: “Perché lui sì e io no?” Poi per di più aggiungiamo: “Che ho fatto di male?” come se il non avere quello stesso bene fosse la punizione per una nostra cattiva azione. Ma da parte di chi, visto che Dio-Amore non punisce? E se, il non avere quello stesso bene, è proprio quello che è necessario nella nostra vita affinché sia beata?

Noi vorremmo essere sempre considerati, amati e, in questo sentimento di accoglienza, ci vorremmo sentire sempre liberi di esprimere le nostre capacità.

L’invidia invece può essere sconfitta con l’agape, la carità per l’altro: senza scopo, senza alcun fine personale, ma soltanto per amore gratuito.

Domandiamoci: “Devo raggiungere quel bene per me o per gli altri? Per gratificare me o l’altro?”

Perché: “DOV’E’ IL TUO TESORO LA’ E’ IL TUO CUORE!”

Pensiamo che carità sia soltanto donare al povero. Invece, dando al povero, gli restituiamo soltanto ciò che non è nostro. La carità edifica, costruisce: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). La carità è il progetto originario di Dio; è amore che diventa un a priori per costruire relazioni. L’amore è il pre-giudizio che Dio ha messo nel mondo. La carità è una decisione che prendiamo perché non possiamo vivere senza l’altro; e incontrarlo nell’ottica della carità genera vita.

Quando al Giordano il Padre dice al Figlio: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22) con Gesù ci siamo tutti noi. Perché con Lui nel Giordano c’eravamo anche noi, c’era anche il popolo. L’umanità dell’uomo è quella di potersi guardare dentro, la libertà dal proprio sé guardandosi dall’esterno.

La vita spirituale è una relazione. E se io credo la mia esistenza ha un senso. Gesù è il senso!

Convertirsi significa liberarsi dalle proprie certezze per relazionarsi con l’altro e avere un cuore di carne che sanguina quando viene ferito; mentre quello di pietra no. Assaporo la leggerezza di essere di Dio quando mi libero dalle false certezze, dal possesso.

Amore è lasciarsi amare da Dio. Questa è carità. Carità è lasciarsi amare dal Padre che manda suo Figlio.

Scopo della vita spirituale è fare esperienza concreta dell’amore di Dio. E’ prendere coscienza di essere amati da Lui. Sentirci amati ci permette di osare, di fare cose che prima non avremmo fatto pur di non allontanarci dalle nostre false sicurezze. Se ci sentiamo amati invece osiamo essere veramente liberi.

Carità non è soltanto essere caritatevoli. Ma è anche chiedere amore, sentirsi amati. E questo lo fa lo Spirito Santo. E’ restituire al Padre lo stesso amore che Lui ha donato a Gesù. È Gesù che restituisce al Padre, attraverso di noi, l’amore che ha ricevuto, che abbiamo ricevuto. E’ Gesù che prega il Padre attraverso di noi gridando «Abbà, Padre!» Quella gioia che proviamo facendo un sacrificio che non sa nessuno, quella è carità. Quella gioia è quella che Gesù sta restituendo al Padre.

L’inizio della vita spirituale è fare la volontà di Dio.

Hai la responsabilità della tua felicità! Tutti la cerchiamo, anche il peggiore tra gli uomini. Conversione è quando ti senti amata, figlia, quando ti senti amato, figlio, senza passare per il senso di colpa ma al massimo sentendo il rammarico di non averlo vissuto prima. Quando ci si sente amati gratuitamente ci si lascia trasformare dall’amore di Dio. Questa è carità, che ci possiamo fare.

Dopo la catechesi, la S. Messa ci ha fatto gustare, vivere e immergere in questo Amore sovrabbondante che dona gioia a piene mani. La gioia è la leggerezza di sentirsi amati, di essere amati e di essere portati in braccio da Gesù. La gioia è il meglio che è già venuto, è il meglio che viene e il meglio che deve ancora venire in pienezza.

Buona gioia a tutti fratelli! Buona gioia a tutte, sorelle!

Il gruppo delle consacrate della Diocesi di Ischia

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