Tra i 16 laici che il Papa istituisce lettori e catechisti, per la prima volta, compaiono anche nove donne. Ministeri non ordinati, come ha specificato il Pontefice nel Motu proprio Spiritus Domini che ha modificato il canone 230 abrogando – nella formula «i laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti» – la specificazione «di sesso maschile».
In una lettera indirizzata al cardinale Luis Ladaria, Prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, papa Francesco aveva specificato che questi ministeri laicali sono «essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il sacramento dell’ordine». E se, «rispetto ai ministeri ordinati la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale», per quelli non ordinati, come appunto il lettorato e l’accolitato, «è possibile, e oggi appare opportuno, superare tale riserva».
Perché, è il pensiero del Pontefice, «offrire ai laici di entrambi i sessi la possibilità di accedere al ministero dell’Accolitato e del Lettorato, in virtù della loro partecipazione al sacerdozio battesimale incrementerà il riconoscimento, anche attraverso un atto liturgico (istituzione), del contributo prezioso che da tempo moltissimi laici, anche donne, offrono alla vita e alla missione della Chiesa».
Per dar corso alla nuova disposizione, resa nota nel giorno del Battesimo di Gesù, Francesco ha aspettato proprio la Domenica della Parola. Tra gli otto lettori e gli otto catechisti istituiti ufficialmente dal Papa ci sono sei italiani, quattro dal Brasile e dal Perù (a sottolineare l’importanza del Sinodo dell’Amazzonia che aveva chiesto esplicitamente questa apertura), e poi due ghanesi, un pachistano, una coreana, una spagnola e un polacco.
«Lettori e catechisti», ha spiegato Bergoglio al termine della sua omelia, che «sono chiamati al compito importante di servire il Vangelo di Gesù, di annunciarlo affinché la sua consolazione, la sua gioia e la sua liberazione raggiungano tutti». In virtù del Battesimo «questa è anche la missione di ciascuno di noi: essere annunciatori credibili, profeti della Parola nel mondo. Perciò», è l’invito del Pontefice, «appassioniamoci alla Sacra Scrittura, lasciamoci scavare dentro dalla Parola, che svela la novità di Dio e porta ad amare gli altri senza stancarsi. Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa! La Parola di Dio ascoltiamola, preghiamola, mettiamola in pratica».
Queste tre esortazioni, ha sottolineato, ci aiutano a radicarci sempre di più nella fede. A capire che non siamo noi al centro della vita di fede, ma che tutto «ha avuto inizio dalla Parola che Dio ci ha rivolto». Il Pontefice spiega che «in Cristo, sua Parola eterna, il Padre “ci ha scelti prima della creazione del mondo”.
Con la sua Parola ha creato l’universo: “Egli parlò e tutto fu creato”. Fin dai tempi antichi ci ha parlato per mezzo dei profeti; infine, nella pienezza del tempo, ha mandato a noi la sua stessa Parola, il Figlio unigenito. Per questo, terminata la lettura di Isaia, Gesù nel Vangelo annuncia qualcosa di inaudito: “Oggi si è compiuta questa Scrittura”.
Si è compiuta: la Parola di Dio non è più una promessa, ma si è realizzata. In Gesù si è fatta carne. Per opera dello Spirito Santo è venuta ad abitare in mezzo a noi e vuole dimorare in noi, per colmare le nostre attese e sanare le nostre ferite».
Questo ci invita a riflettere su due aspetti tra loro legati: «la Parola svela Dio e la Parola ci porta all’uomo». Infatti, all’inizio della sua missione, commentando il brano di Isaia Gesù annuncia«una scelta precisa: è venuto per la liberazione dei poveri e degli oppressi. Così, proprio attraverso le Scritture, ci svela il volto di Dio come di Colui che si prende cura della nostra povertà ed ha a cuore il nostro destino».
Dio non si rivela come un «padrone arroccato nei cieli, ma un Padre che segue i nostri passi. È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre lacrime. Non è un dio neutrale e indifferente, ma lo Spirito amante dell’uomo, che ci difende, ci consiglia, prende posizione a nostro favore, si mette in gioco e si compromette con il nostro dolore».
Il lieto annuncio è proprio questo: sapere che Dio è vicino e si prende cura di noi, ci solleva dai pesi, ci scalda, «vuole illuminare le tue giornate oscure, vuole sostenere i tuoi passi incerti». E tutto questo lo fa con la sua Parola, riaccendendo, così, la speranza.
Il Papa esorta a chiedersi se abbiamo questa immagine di Dio, oppure se lo pensiamo come un «giudice rigoroso, un rigido doganiere della nostra vita». A interrogarci se la nostra è una fede di speranza o zavorrata dalla paura, se annunciamo come battezzati e come Chiesa un Dio Salvatore che guarisce e libera. Occorre convertirsi al vero Dio e, per farlo, si deve partire dalla Parola che «abbatte i falsi idoli, smaschera le nostre proiezioni, distrugge le rappresentazioni troppo umane di Dio e ci riporta al suo volto vero, alla sua misericordia. La Parola di Dio nutre e rinnova la fede: rimettiamola al centro della preghiera e della vita spirituale».
Il secondo aspetto poi è quello della Parola che ci porta all’uomo. «Proprio quando scopriamo che Dio è amore compassionevole, vinciamo la tentazione di chiuderci in una religiosità sacrale, che si riduce a culto esteriore, che non tocca e non trasforma la vita. La Parola ci spinge fuori da noi stessi per metterci in cammino incontro ai fratelli con la sola forza mite dell’amore liberante di Dio». Gesù, infatti, non è venuto «a consegnare un elenco di norme, ma è sceso sulle strade del mondo a incontrare l’umanità ferita, ad accarezzare i volti scavati dalla sofferenza, a risanare i cuori affranti, a liberarci dalle catene che ci imprigionano l’anima. In questo modo ci rivela qual è il culto più gradito a Dio: prendersi cura del prossimo».
Possiamo farlo quando ci facciamo interrogare dalla Parola di Dio. Una Parola che, per cambiarci, ci penetra nell’anima come una spada. «Se da una parte consola, svelandoci il volto di Dio», dice infatti il Pontefice, «dall’altra provoca e scuote, riportandoci alle nostre contraddizioni. Non ci lascia tranquilli, se a pagare il prezzo di questa tranquillità è un mondo lacerato dall’ingiustizia e a farne le spese sono sempre i più deboli.
La Parola mette in crisi quelle nostre giustificazioni che fanno dipendere ciò che non va sempre da altro e dagli altri. Ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il “non c’è niente da fare” o il “che cosa posso farci io?”». Al contrario, la Parola di Dio «ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo. Perché la sacra Scrittura non ci è stata data per coccolarci in una spiritualità angelica, ma per uscire incontro agli altri e accostarci alle loro ferite.
Quanto dolore sentiamo nel vedere fratelli e sorelle nostri morire sul mare perché non li lasciano sbarcare». Ma la Parola ci interpella e ci sprona ad agire, ad ascoltare le sofferenze dei fratelli, il grido dei poveri, ad agire contro le violenze e le ingiustizie che feriscono le persone, la società, il pianeta. «Per non essere», conclude il Papa, «cristiani indifferenti, ma operosi, creativi, profetici».
Per essere, invece, «una Chiesa docile alla Parola. Una Chiesa portata all’ascolto degli altri, impegnata a tendere la mano per sollevare i fratelli e le sorelle da ciò che li opprime, per sciogliere i nodi delle paure, liberare i più fragili dalle prigioni della povertà, della stanchezza interiore e dalla tristezza che spegne la vita».