“Faccio il sacerdote in terra ferita (e mai il don Abbondio)”
«Anche i parroci devono essere uomini di fegato. Via i don Abbondio, perché se mettiamo i don Abbondio nelle parrocchie, continueremo a vedere lo sconcio di mani grondanti di sangue che danno offerte che alcuni accettano», ha detto il Procuratore generale di Napoli, Luigi Riello. Dio benedica chi, senza storpiare le parole, dice pane al pane e vino al vino. Di codardi e disonesti non c’è bisogno in alcun campo. Siamo grati, noi preti campani, a Riello. Il camorrista non può «entrare in chiesa con in mano una pistola e nell’altra il rosario». Il rosario in mano? Al massimo, il camorrista lo sfoggia, d’oro, al collo come una collana.
Riello segnala anche «che la dimensione imprenditoriale della camorra si è accentuata», ha cambiato volto. Il camorrista, quindi, non è più facilmente individuabile. Come riconoscerlo? Come fa un prete, magari fresco di seminario, a sapere se quel giovane che è entrato in chiesa è un feroce camorrista o una persona perbene? Pochi mesi fa, nella mia parrocchia, un signore, che ha sempre avuto a che fare con il commercio della droga, gravemente malato, ha chiesto i sacramenti. Sono andato, abbiamo pregato, l’ho unto con l’olio santo. L’ho affidato alla misericordia di Dio. Poche ore dopo è morto. Funerali programmati in chiesa, era un uomo libero. Poche ore prima dell’arrivo della salma, tuttavia, la Questura ne ha vietato i funerali in chiesa, permettendo solo una benedizione al cimitero. Obbedisco. Atmosfera nervosa, incandescente; carabinieri e poliziotti in divisa e in borghese dappertutto. Benedico. Vado via.
Un parroco sa tante cose, ma anche no. I documenti che contano e cantano non li ha, e non può decidere per sentito dire. Anche attorno a un camorrista c’è vita: moglie, figli, genitori, fratelli, amici. Non tutti sono suoi complici, alcuni, anzi, sono vittime innocenti delle sue scelte scellerate. Certe parentele possono costarti la vita, di certo te la rovinano. Confondere un camorrista con chi ha la sfortuna di portare lo stesso cognome, o che rientra, suo malgrado, nella cerchia dei familiari sarebbe imperdonabile. Ma Riello ha messo il dito nella piaga. La camorra prima di essere affari, sangue, pistole, morti ammazzati è “cultura” che occorre sradicare a tutti i costi.
Per farlo bisogna essere umili e chiamare a raccolta tutti. Le parrocchie sul territorio sono un presidio prezioso. Anche chi a Messa non va, volentieri manda i figli alla catechesi. I bambini sono sensibili, se li inviti a servire alla mensa dei poveri accettano volentieri. Essi comprendono bene la differenza tra il bene e il male. Si deve avere il coraggio di investire su di essi energie, risorse, personale, denaro. Ma non basta. La legge deve assicurare la giusta e severa pena per chi si è reso colpevole. Scivoliamo in un discorso che esula dalle competenze del parroco. Se il camorrista arrestato, poco dopo, viene rimesso in libertà, te lo ritrovi a passeggiare – ironico e beffardo – per il quartiere. Se entra in chiesa, non glielo puoi impedire. Per quanto strano possa apparire a chi non ha il dono della fede, il prete spera sempre che egli si possa convertire e cambiare vita. Nei paesi dove sopravvivono le feste patronali, il camorrista entra in scena attraverso prestanomi incensurati. Alcuni vescovi italiani hanno preso la drastica decisione di eliminare la figura del padrino per non permettere a persone non idonee di accedere a questo importante ruolo. Li capisco e condivido. Ma un parroco non può entrare nella coscienza di una persona, può solo accertarsi che vi siano i requisiti oggettivi: battesimo, cresima, matrimonio in chiesa. Si capisce che chiunque – anche un camorrista in libertà o un industriale, un politico corrotto o un probo magistrato – può esibirli. La distinzione tra foro interno e foro esterno è necessaria.
Ma la collusione tra politica corrotta, imprenditoria disonesta e camorra, almeno in certi luoghi, è forte. E non sempre è visibile. I parroci-don Abbondio sono insopportabili ma anche dei parroci-Masaniello si deve fare a meno.Noi preti vorremmo solo che, in un paese civile e democratico, al parroco fosse concesso di fare il parroco. Sono anni che chiedo – inutilmente – alle legittime autorità di illuminare, videosorvegliare e presidiare di più il quartiere fortemente a rischio dove svolgo il mio ministero. E sono anni che incasso promesse…
Eppure, ancora una volta la parola d’ordine è “insieme”. Ognuno deve fare la sua parte fino in fondo. Avendo il coraggio di dire chiaramente e pubblicamente che fa più male un carabiniere, un politico, un magistrato corrotto che cento camorristi messi insieme. E un prete-don Abbondio può neutralizzare e infangare la missione e le fatiche di cento santi fra Cristoforo.
Fonte: Don Maurizio Patriciello – Avvenire