“In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi». È così che inizia il vangelo di questa domenica, e il dettaglio degli occhi di Gesù che si soffermano sui volti dei discepoli la dice lunga sul contenuto delle stesse beatitudini.
Sembra quasi che il Signore dica che le beatitudini sono per i discepoli e non per tutti. E vorrei ben dirlo! Poveri, affamati, afflitti, persone con tutte le problematiche legate alla vita, con le loro preoccupazioni, le loro disperazioni, le loro croci, i loro affanni, le loro lacrime. “Beati” dice Gesù. Che sappia il segreto della felicità? Che finalmente Dio si sbottoni e spieghi l’essenziale agli uomini evitando fatiche boia? E subito una delusione: “beati voi poveri… voi che piangete…”.
Ma come? Cosa significa? Semplice, geniale: la beatitudine, la felicità non consiste certo nella povertà, nella sofferenza (non facciamo dire stupidaggini a Gesù: Dio non ama la sofferenza!) ma in Dio, perché chi soffre, chi ha fame si rivolge a lui. È come se Gesù dicesse: «Se, malgrado la povertà, la sofferenza, la persecuzione, sei felice, allora la tua felicità è posta altrove: beato».
Sì, amici, Gesù svela che l’origine della felicità è nel sentirsi amati da Dio, nel leggere la propria storia nella grande storia d’amore di Dio. La beatitudine è altrove, è dentro, è in Dio. Beato se capisci questo: allora neppure la sofferenza, la povertà, la fame possono distaccarti da questo grande oceano di felicità che è il cuore di Dio. Solo chi è discepolo può capire tutto questo!
Chi non lo è, può affermare che siamo pazzi a inneggiare alla sofferenza! Geremia conferma questa riflessione, come il ritornello del salmo che abbiamo proclamato: «Beato l’uomo che confida nel Signore». Ma il Vangelo non si conclude solo sui beati, ma contiene anche un secondo elenco che inizia così: «Ma guai a voi».
E Gesù pare che smonti quelli che invece sono ricchi, sazi, ridenti, strafottenti. Tra i discepoli c’erano anche loro. Gesù non maledice, Dio è incapace di augurare il male, lui che è bene. Gesù vede la conseguenza di una ricchezza, di un’arroganza che chiude il cuore. Un cuore sazio si dimentica, un cuore affannato non si accorge della verità, un cuore in ansia per la ricchezza è schiavo, non libero, del proprio potere. Quant’è drammaticamente vero!
Quante persone “realizzate” conosco e che pure sono umanamente miseri, spiritualmente aridi. Realizzati, sì, temuti, invidiati eppure soli con la propria supponenza, estranei al mistero della vita … Ci è lecito pensare che queste due categorie di persone in realtà sono due facce della stessa medaglia, sono due modalità che ogni discepolo di Cristo si porta dentro. Siamo contemporaneamente medicanti di senso, e superbi ricchi che pensano di bastare a sé stessi.
Siamo affamati di un valido motivo per cui vivere e allo stesso tempo siamo sazi del mondo confondendo la felicità con la soddisfazione. Siamo persone che piangono la propria autenticità e siamo dei cinici che ridono con strafottenza pensando che l’indifferenza ci terrà al sicuro. Insomma, siamo l’uno e l’altro, ma possiamo decidere noi da che parte stare: se stare dalla parte dei “beati”, oppure stare dalla parte dei “guai”.
Non è la vita a decidere al posto nostro. Il cristianesimo mette radice nella nostra debolezza, nelle nostre mancanze, nei nostri fallimenti ma non perché si pone come soluzione o consolazione, ma perché l’Amore di Dio sa porre fiducia lì dove nessuno la riporrebbe mai, compresi noi stessi.
La beatitudine cristiana consiste nel lasciarsi amare proprio lì dove ci sentiamo più perdenti, più fragili, più falliti. È far entrare Dio nella nostra miseria prima ancora di risolverla. È permettere a Dio di manifestarsi nella nostra debolezza più ancora che nella nostra autosufficienza.
Beato non è chi sa tirarsi fuori dai guai da solo, ma chi si lascia tirare fuori dal Suo Amore.
Buona domenica!
Correlati
Beati i guai!
Commento al Vangelo Lc 6,17.20-26
“In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi». È così che inizia il vangelo di questa domenica, e il dettaglio degli occhi di Gesù che si soffermano sui volti dei discepoli la dice lunga sul contenuto delle stesse beatitudini.
Sembra quasi che il Signore dica che le beatitudini sono per i discepoli e non per tutti. E vorrei ben dirlo! Poveri, affamati, afflitti, persone con tutte le problematiche legate alla vita, con le loro preoccupazioni, le loro disperazioni, le loro croci, i loro affanni, le loro lacrime. “Beati” dice Gesù. Che sappia il segreto della felicità? Che finalmente Dio si sbottoni e spieghi l’essenziale agli uomini evitando fatiche boia? E subito una delusione: “beati voi poveri… voi che piangete…”.
Ma come? Cosa significa? Semplice, geniale: la beatitudine, la felicità non consiste certo nella povertà, nella sofferenza (non facciamo dire stupidaggini a Gesù: Dio non ama la sofferenza!) ma in Dio, perché chi soffre, chi ha fame si rivolge a lui. È come se Gesù dicesse: «Se, malgrado la povertà, la sofferenza, la persecuzione, sei felice, allora la tua felicità è posta altrove: beato».
Sì, amici, Gesù svela che l’origine della felicità è nel sentirsi amati da Dio, nel leggere la propria storia nella grande storia d’amore di Dio. La beatitudine è altrove, è dentro, è in Dio. Beato se capisci questo: allora neppure la sofferenza, la povertà, la fame possono distaccarti da questo grande oceano di felicità che è il cuore di Dio. Solo chi è discepolo può capire tutto questo!
Chi non lo è, può affermare che siamo pazzi a inneggiare alla sofferenza! Geremia conferma questa riflessione, come il ritornello del salmo che abbiamo proclamato: «Beato l’uomo che confida nel Signore». Ma il Vangelo non si conclude solo sui beati, ma contiene anche un secondo elenco che inizia così: «Ma guai a voi».
E Gesù pare che smonti quelli che invece sono ricchi, sazi, ridenti, strafottenti. Tra i discepoli c’erano anche loro. Gesù non maledice, Dio è incapace di augurare il male, lui che è bene. Gesù vede la conseguenza di una ricchezza, di un’arroganza che chiude il cuore. Un cuore sazio si dimentica, un cuore affannato non si accorge della verità, un cuore in ansia per la ricchezza è schiavo, non libero, del proprio potere. Quant’è drammaticamente vero!
Quante persone “realizzate” conosco e che pure sono umanamente miseri, spiritualmente aridi. Realizzati, sì, temuti, invidiati eppure soli con la propria supponenza, estranei al mistero della vita … Ci è lecito pensare che queste due categorie di persone in realtà sono due facce della stessa medaglia, sono due modalità che ogni discepolo di Cristo si porta dentro. Siamo contemporaneamente medicanti di senso, e superbi ricchi che pensano di bastare a sé stessi.
Siamo affamati di un valido motivo per cui vivere e allo stesso tempo siamo sazi del mondo confondendo la felicità con la soddisfazione. Siamo persone che piangono la propria autenticità e siamo dei cinici che ridono con strafottenza pensando che l’indifferenza ci terrà al sicuro. Insomma, siamo l’uno e l’altro, ma possiamo decidere noi da che parte stare: se stare dalla parte dei “beati”, oppure stare dalla parte dei “guai”.
Non è la vita a decidere al posto nostro. Il cristianesimo mette radice nella nostra debolezza, nelle nostre mancanze, nei nostri fallimenti ma non perché si pone come soluzione o consolazione, ma perché l’Amore di Dio sa porre fiducia lì dove nessuno la riporrebbe mai, compresi noi stessi.
La beatitudine cristiana consiste nel lasciarsi amare proprio lì dove ci sentiamo più perdenti, più fragili, più falliti. È far entrare Dio nella nostra miseria prima ancora di risolverla. È permettere a Dio di manifestarsi nella nostra debolezza più ancora che nella nostra autosufficienza.
Beato non è chi sa tirarsi fuori dai guai da solo, ma chi si lascia tirare fuori dal Suo Amore.
Buona domenica!
Correlati
Condividi su:
Don Cristian Solmonese
Seguici su:
Articoli recenti
N° 47 – Anno 11 – Condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dell’umanità – 23 novembre 2024
Condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dell’umanità
I 1700 anni del Credo di Nicea
Lettera del Santo Padre Francesco per il ricordo nelle chiese particolari dei propri santi, beati, venerabili e servi di Dio
Categories
Articoli correlati
N° 47 – Anno 11 – Condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dell’umanità – 23 novembre 2024
CLICCA E SCARICA IL KAIRE IN ALTA RISOLUZIONE
Condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dell’umanità
Roma, 15-17 novembre 2024 “Partiti dalle nostre Chiese locali ci siamo riuniti qui a Roma, la Chiesa di Pietro e Paolo, per inserirci nell’ininterrotta corrente spirituale che scaturì dal mandato
I 1700 anni del Credo di Nicea
“Occasione straordinaria per essere una luce di speranza nell’oscurità di un mondo diviso e ferito” Il 2025 è l’anno in cui ricorrerà il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di
Lettera del Santo Padre Francesco per il ricordo nelle chiese particolari dei propri santi, beati, venerabili e servi di Dio
Con l’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate ho voluto riproporre ai fedeli discepoli di Cristo del mondo contemporaneo la chiamata universale alla santità. Essa è al centro dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale