Parla Michel Roccati, tornato a camminare dopo quattro anni grazie agli elettrodi
«A Losanna dopo l’intervento siamo andati al pub a festeggiare. Dopo due ore in piedi erano tutti stanchi. Tutti tranne me», racconta. E la sua storia fa il giro del mondo.
La soddisfazione più bella? «A Losanna dopo l’intervento siamo andati al pub a festeggiare. Dopo due ore in piedi erano tutti stanchi. Tutti tranne me». E’ felice Michel Roccati, 30 anni: a dicembre, dopo 4 annidi paralisi, è tornato a muovere le gambe grazie a un elettrodo fissato al midollo spinale. «I primi passi sono stati un sogno», racconta. Michel era rimasto paralizzato dalla vita in giù a causa di un incidente. «Ci credevo. Sapevo che ci sarei riuscito. Ma quando ho mosso le gambe per la prima volta è stato pazzesco: neanche riuscivo a parlare dall’emozione. Sono rimasto lì, muto, a guardare i medici e la gente che avevo attorno. Ero tornato a muovermi», racconta oggi a La Stampa. «Mi sono spezzato la schiena in più punti. Ti devi rassegnare, mi avevano detto i medici. Ma io lo sapevo che sarei tornato a camminare», aggiunge in un’intervista a Repubblica. Il “miracolo” è stato possibile grazie a un dispositivo realizzato da un gruppo di ricerca coordinato dal Politecnico di Losanna (Epfl), a cui ha preso parte anche il nostro paese con Silvestro Micera, che lavora fra Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed Epfl. E il risultato è sorprendente: il 30enne di Montaldo Torinese ha ripreso a camminare in appena un giorno.
Ora – racconta – nuota, le scale non sono più un ostacolo insormontabile, e il suo obiettivo è percorrere almeno un chilometro in primavera. Il programma di ricerca ha coinvolto altri volontari con l’obiettivo di riuscire a restituire la capacità di movimento a chi è rimasto paralizzato per traumi alla colonna vertebrale. «Quest’inverno un amico mi ha invitato a sciare. A casa sua c’erano le scale e lui si è scusato. Allora mi sono alzato e ho cominciato a farle da solo. Non sapevano dell’intervento. Sono rimasti tutti a bocca aperta», racconta Roccati. Di fronte alle parole disperate dei medici era rimasto in silenzio. Schiacciato dal peso di quella diagnosi senza appello. Ma non si è arreso. «Io, che non sapevo nemmeno di avere un midollo, dopo l’incidente mi sono messo a studiare. Ho seguito un convegno per specialisti dove ho conosciuto Grégoire Courtine del Politecnico di Losanna. Gli ho raccontato la mia storia, gli ho detto che non mi davo per vinto e continuavo ad allenarmi, per quanto potevo, per non veder sparire tutta la massa muscolare. All’inizio però non mi hanno preso. La mia lesione era troppo grave. Ma ho continuato a insistere e il 5 dicembre mi hanno operato a Losanna».
Ora quel chip nella schiena gli ha ridato la possibilità di muoversi. «Non lo accendo sempre, un paio di ore al giorno. Se sono seduto in ufficio, nella mia azienda, non lo tengo in funzione. È un elettrodo impiantato nella schiena, che comunica tramite un filo con un pacemaker che ho nell’addome, sottopelle. In un marsupio tengo l’antenna, che viene azionata da un telecomando che uso per attivare i muscoli delle due gambe ogni volta che muovo un passo. No, non è complicato. Dopo poco viene automatico. Su un tablet ho i programmi per le varie attività, dal nuoto alla palestra», dice il 30enne torinese. E il tanto allenamento, assicura, non è un problema. «All’inizio si lavora in laboratorio, c’è un’imbragatura che ti tiene per alleggerire il peso del corpo. Si procede per gradi. Io non solo non uso più l’imbragatura, ma per allenarmi mi metto dieci chili addosso.
Le reazioni della stampa estera
Il comando volontario del paziente, spiega il Corriere della Sera, si serve di un tablet che ha la funzione di «cervello» che stimola il movimento. L’intento è quello di arrivare a un «bypass» wireless in grado di raccogliere gli impulsi elettrici nel cervello e mandarli a un chip collocato nel midollo, di fatto evitando la lesione spinale. L’esperimento è riuscito su due macachi nel 2016. «Questa tecnologia non è una cura per le lesioni spinali ed è ancora troppo complicata per essere utilizzata nella vita di tutti i giorni, ma è un passaggio fondamentale per migliorare la qualità della vita delle persone», spiega Gregoire Courtine.
La notizia ha fatto il giro del mondo e delle testate internazionali. Il dispositivo ha aiutato tutti e tre i pazienti a stare in piedi già dopo poche ore dall’operazione, ricorda il Guardian, ma le loro prestazioni sono migliorate con tre/quattro mesi di allenamento. «All’inizio il risultato non è stato da subito perfetto, ma si sono subito potuti allenare per avere un’andatura più fluida», spiega Jocelyne Bloch, neurochirurgo dell’ospedale universitario di Losanna.
Immagine: Il Messaggero