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Esprimersi ed essere ascoltati

Il processo sinodale con i rifugiati

Il campo profughi di Kakuma in Kenya ospita circa 218.380 rifugiati provenienti da 22 paesi diversi. La pastorale dei profughi è stata affidata da Dominic Kimengich, Vescovo di Eldoret, alla comunità salesiana, in collaborazione con le Suore Missionarie di Charles De Foucauld e il Jesuit Refugee Service.

Ispirandosi agli obiettivi del Sinodo, questa pastorale cerca di attuare “un processo ecclesiale partecipativo e inclusivo che offra a tutti – soprattutto a coloro che per vari motivi si trovano ai margini – l’opportunità di esprimersi ed essere ascoltati…”. Su invito del parroco salesiano, José Padinjareparampil, hanno avviato un programma intensivo per favorire un vero “processo ecclesiale inclusivo” in queste piccole comunità cristiane.

Il processo è stato diviso in due fasi: la prima fase consiste in un incontro introduttivo con la partecipazione di tutti i cristiani, suddividendoli in gruppi linguistici (swahili, inglese o altre lingue da tradurre) e utilizzando i poster del metodo Lumko.

 Nella seconda fase, gli otto “nuclei tematici” del Sinodo sono affrontati nel contesto della migrazione forzata. Ogni settimana viene affrontato un nucleo tematico per consentire un’ampia partecipazione e una discussione approfondita.

Questo metodo è stato avviato presso il “Lumko Catholic Missionary Pastoral Institute” di Desmonville, in Sud Africa ed è pensato per gruppi composti da persone che non avevano una formazione biblica e teologica, e avevano bisogno di un accesso alla Bibbia semplice ed efficace, dove fede e vita si incontrano.

Ecco alcune testimonianze di rifugiati che hanno partecipato al processo e che offrono l’opportunità di riflettere su una serie di questioni.

  • Donna nubiana: ero musulmana, sono diventata cristiana dopo il matrimonio con mio marito cristiano, ma ho ricevuto pochissima formazione. Abbiamo pregato insieme, ma ho capito molto poco della nostra fede. Dopo la sua morte (è stato ucciso) sono venuto a Kakuma con i miei figli. Mi sono avvicinata alla Chiesa, ma sono rimasta scoraggiata: non capivo l’inglese, non capivo lo swahili. È vero, hanno tradotto qualcosa dell’omelia in arabo, ma io ne so poco e poi non capivo di cosa stessero parlando: tutto mi era estraneo, non ero abituata alla messa, e non capivo cosa stesse succedendo durante la celebrazione. Dopo un po’ volevo lasciare la chiesa, non andarci più. Ho pensato che forse avrei potuto tornare all’Islam a cui sono abituata. Ma in quel periodo di confusione, una vicina di casa mi ha invitato a un incontro. Sono andato, e mi si è aperto un mondo. Abbiamo letto la parola di Dio nella nostra lingua, poi ne abbiamo parlato, qualcuno ci ha aiutato a capire, abbiamo potuto condividere insieme. Ho iniziato a capire qualcosa della mia fede. Ho iniziato ad ascoltare la Parola di Dio. Adesso posso dire che sono felice di essere cristiana e mi sento parte della Chiesa.
  •  Donna adulta della Repubblica Democratica del Congo (RDC): Mi ha colpito il fatto di proporre una nuova visione della Chiesa come popolo di Dio in cammino. Per me è nuovo: pensavo più alla Chiesa come a qualcosa di statico, a una struttura, in cui dovevo entrare. Voglio capire di più.
  • Giovane adulto RDC: Mi sono commosso quando hai detto che non dobbiamo sentirci rifugiati nella Chiesa, che siamo parte della Chiesa, che siamo la Chiesa qui, non dobbiamo aspettare gli altri. Che per la Chiesa non ci siano né stranieri né estranei.
  • Uomo adulto RDC: Mi ha colpito il fatto che il Papa abbia detto che una delle tentazioni è quella di parlare della Chiesa, magari criticandola, senza metterci piede dentro. Sì, sento che è anche il mio rischio: guardare da fuori, vedere i difetti, giudicare, ma andare solo a messa la domenica e non farsi coinvolgere da nulla.
  • Giovane Adulto RDC: Provo tanta gratitudine per il Papa che ha pensato a una cosa del genere. Di solito ci sono solo i vescovi per un Sinodo. Ora posso anch’io e esprimere quello che penso… Sono stato colpito e sfidato.
  • Donna adulta  RDC: Abbiamo dentro di noi l’idea che chi deve fare le cose sono i sacerdoti, le suore, i catechisti: noi siamo dal lato ricevente. Cambiare questa mentalità non è facile.
  • Donna nubiana: Penso davvero a tutti noi in cammino… anche con i preti, i catechisti… con la stessa dignità… Per me è una novità. Ero più abituata a pensare a una struttura piramidale.
  • Giovane nubiano: Questa introduzione è stata un po’ scioccante per me. Se devo essere sincero, dentro di me c’era un po’ l’idea che la Chiesa fosse qualcosa del parroco e che andare in Chiesa fosse quasi come un favore che gli facevamo. Ora capire che non solo la Chiesa è per noi, ma noi siamo la Chiesa… cambia la prospettiva! non posso più dire: “Questa Chiesa di p. Josè!”, quando voglio lamentarmi, perché è la mia Chiesa! Questo mi chiama a fare qualcosa.
  • Uomo Nubiano: Penso che siamo molto nell’immagine Lumko del mkokoteni [carro] trainato dai sacerdoti, spinto dalle suore… e possiamo includere anche i catechisti o i nostri leader. In ogni caso qualcuno che spinge, lavora, fa sforzi, chiama… e tutti gli altri che stanno passivamente seduti, cantando o facendo altro. È davvero qualcosa di nuovo per me.
  • Donna sud-sudanese: sono commossa per il fatto che veniamo mandati. A volte siamo bloccati dall’andare a trovare un malato, o qualcuno, perché non abbiamo niente da portare e quindi rimandiamo la visita. In questo modo perdiamo la nostra vita di cristiani. Vedo ora la chiamata a renderci presenti con una preghiera, con la vicinanza della comunità, anche se non abbiamo nulla da portare.
  • Donna sud sudanese: L’appello all’unità tra noi mi ha colpito. A volte qualcuno ha qualcosa contro uno del gruppo e per questo decide di non partecipare più. Sento che dobbiamo imparare a farlo in modo diverso. Se c’è un problema tra due persone, siamo chiamati a non aver paura di affrontarlo in gruppo, insieme, e insieme trovare la strada della riconciliazione. Ma non accettare passivamente le divisioni.
  • Donna sud sudanese: Parlando di partecipazione, mi sono accorta di quante lacune rimangono aperte: per esempio, chi insegna ai bambini le preghiere nella nostra lingua madre? Chi aiuta le donne a imparare a recitare il rosario? Chi legge il Vangelo? Perché sono sempre le stesse persone a guidare il nostro incontro?

Synod.va

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