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La fatica di tirare fuori il meglio di noi stessi!

Commento al Vangelo Lc 6,39-45

Abbiamo ancora sullo stomaco le pagine dei vangeli delle scorse domeniche e sentiamo oggi che ahimè il Signore continua ad rincarare la dose perché ci vuole bene, perché sa che, in un mondo in cui tutti cercano di essere fintamente buoni, in realtà non si sta aiutando le persone a crescere. “A voi che ascoltate” ci aveva detto il maestro.

E così il vangelo di oggi aggiunge un’ulteriore riflessione un po’ impegnativa. La domanda da cui si parte è questa: Chi sta seguendo la mia vita? Chi conduce la mia vita? Chi guida la mia vita? So che subito istintivamente saremo portati a dire che siamo liberi e che decidiamo noi il tutto, ma poi guardando con calma ci accorgiamo che siamo influenzati sempre da qualcosa.

“A noi che ascoltiamo” e se ascoltiamo Gesù, egli ci chiede di fare un salto di qualità: “Stai attento perché a volte rischi di seguire delle guide che non sanno dove andare, e se le segui, finirai per cadere inevitabilmente dentro un buco”. È vero questo.

Dunque chi veramente motiva le nostre decisioni e spinge le nostre scelte? Forse la nostra educazione ricevuta da bambini, forse il giudizio degli altri, forse un po’ il nostro opportunismo. Ognuno di noi ha più di un maestro, ognuno di noi ha più di una guida. Il Signore non dice che questo sia una cosa negativa in sé, ma ci ricorda che egli è l’unico che sa dove portarti, è l’unico vero maestro!

Gesù è l’unico che sa come funzioniamo, e questo mi piace molto perché non siamo nati con allegato libretto di istruzioni, non sappiamo bene cosa ci costruisce e cosa ci demolisce, non sappiamo bene ciò che apparentemente ci aiuta ma poi in realtà ci distrugge.

Ecco allora che il Signore ci chiede di fermarci un attimo per valutare chi o cosa stiamo seguendo. E come sempre il Signore ci offre una soluzione, una strada. C’è qualcosa che proprio nella nostra vita non va bene, non ci fa funzionare bene: è il giudizio. Tutti noi corriamo un rischio: quello di giudicare. Il giudizio è qualcosa di terribile.

Mi piace molto che Papa Francesco insista tanto su questo. Giudicare il fratello vuole dire ucciderlo, perché uccidi l’immagine di Dio che ha dentro di lui. Ma il giudizio non solo fa del male al fratello, ma fa male anche alla tua vita. Il gioco della pagliuzza e della trave che Gesù fa nel Vangelo ci rivela due verità: la prima che siamo diventati noi i maestri della vita e quindi ci siamo messi al posto di Gesù; la seconda è questa: quando c’è qualcosa che ci innervosisce nell’atteggiamento degli altri, o qualcosa che suscita immediatamente in noi il giudizio, quello è il chiaro segno che lo stesso difetto in noi sovrabbonda ma non ce ne accorgiamo. Inconsciamente lo detestiamo, ma non riuscendolo a odiare in noi, lo odiamo solo quando lo incontriamo negli altri.

Così invece di cambiare noi, pretendiamo che cambi il resto del mondo. Gesù chiama questo atteggiamento “ipocrisia”. È, cioè, una forma di falsità che fa sì che da una parte pretendiamo delle cose, ma quando quelle stesse cose riguardano noi, non siamo disposti ad ascoltare. Infatti, più una persona è rigida ed è sprezzante nei confronti degli altri, più significa che ha zone irrisolte nella propria vita.

È un’esperienza particolarmente intensa quella di pensare che la pagliuzza che ci infastidisce nell’occhio di nostro fratello, è solo un rimando alla grande trave che è nel nostro. Se cominciassimo a usare questo come criterio di giudizio, allora il carattere storto di chi mi vive accanto, il fastidio della sua superficialità, gli errori grossolani ed evidenti che fa ogni giorno sono una grande lezione non sulla sua vita, ma sulla nostra. C’è una saggezza estrema nell’insegnamento di Gesù: l’altro funge molto spesso da specchio.

Noi vediamo e notiamo negli altri ciò che a noi manca e che non accettiamo in noi stessi. Ma io devo misurare ed essere misurato con la logica di chi con sincerità ha sperimentato la tenerezza di Dio. Ecco siamo chiamati a guardare a noi stessi e agli altri con la compassione.

La misericordia è la luce che caratterizza il giudizio divino, che non è bonaccione né buonista, ma è colmo di bontà e di redenzione perché sa che possiamo cambiare! Come riusciamo a non giudicare? Lo abbiamo sentito nella prima lettura.

Bellissima la reazione di Ben Sira: “Aspetta che uno parla e poi capisci cosa porta nel cuore”. E Gesù dice la stessa cosa: dal frutto si vede di cosa è fatto un albero. Da quello che esce fuori, dal cuore ti accorgi di tutto. Pensate a quando vedete una persona che, al di là dei bei discorsi, dice di essere molto credente, molto disponibile, ma in realtà è una persona che giudica, che è malevola, che gode del male degli altri; beh è evidente che lì non c’è un cuore legato al vangelo.

Insomma cari amici continuano i vangeli abbastanza impegnativi ma molto veri. Io chiedo con verità al Signore di aiutare tutti noi a tirar fuori cose buone dal nostro cuore; se anche abbiamo peccato, se anche abbiamo, come dire, ceduto alla logica del mondo, c’è sempre la possibilità di incontrare il Dio della compassione e della misericordia che ci permette poi di guardare con compassione e misericordia a tutte le persone che incontriamo.

Mi raccomando togliamo la trave che c’è nel nostro occhio invece che guardare subito la pagliuzza; tiriamo fuori cose buone dal nostro cuore, seguiamo l’unico maestro.

Buona domenica!

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