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Scandalo in maschera prima del carnevale

È pacifico che non occorre più attendere con impazienza il carnevale per travestirsi da qualcosa, specie oggi che le antiche, storiche, tradizionali mascherine sono relegate a nostalgico ricordo dei tempi andati, del gioco, dell’allegria.

La vivacità di Arlecchino, la furbizia di Colombina, l’avarizia di Pantalone, la superficialità di Gianduja, la vanagloria di Capitan Spaventa, la presuntuosità di Balanzone, il perbenismo di Rugantino, la pretestuosità di Patacca, la scaltrezza di Pulcinella, l’allegra, malinconica, spasmodica pienezza di Farinella o la pigra beffardaggine di Peppe Nappa, hanno attraversato l’intero stivale e forse anche il caleidoscopio delle nostre attitudini in un’epoca in cui travestirsi da Zorro o da Cow Boy americano appariva già rivoluzionario.

Forse di mascherine da un paio d’anni ne abbiamo le tasche piene, che non sono quelle più meditative “piene di sassi” di Jovanotti, quelle dove si poteva aspirare a reperire un qualche ricordo, una massima, un punto fermo a cui ancorarsi in caso di tempesta. Le tasche di oggi sono le nostre, stropicciate, un po’ consunte a furia di tenervi dentro le mani per evitare il contatto fisico con chicchessia, e vuote, svuotate. Di tutto.

“Una risata salverà il mondo” diceva Chaplin, “una risata vi seppellirà” diceva Bakunin.

Cosa è salvifico e cosa è mortifero? In che modo le parole s’intersecano tra loro e, con esse, l’intensità del loro significato si aggiunge ai pesi che facciamo finta di non avere? Sgranocchiando pop-corn tra una canzone e l’altra di Sanremo ci indigniamo, ci distraiamo, ci rallegriamo.

Che poi, durante la pubblicità uno pensa: cosa o chi dovrebbe salvarci da cosa e da chi? Cerchiamo la redenzione passando per la provocazione intelligente dello scandalo o ci fermiamo alla prima porta delle 12 stanze di cui suonava e parlava il compianto Ezio Bosso?-

I pop-corn a una certa ora (e a una certa età), si sa, restano indigesti.

Tra i monologhi, spazi di riflessione tra una canzonetta e l’altra, qualcuno ha superato la barriera della disattenzione, salvo fermarsi al primo step, quello dei contenuti e qualcun altro è scivolato in maniera impietosa nell’oblio, se non nel ridicolo.

In questo 2022 nessuna canzone di Sanremo mi ha particolarmente colpita, nessun travestimento delle varie mascherine che si sono alternate sul palco ha destato particolare attenzione, tutto si è sviluppato senza particolari colpi di scena, all’apparenza. La retorica della satira ad ogni costo ha di parecchio sfidato la tolleranza della mia diversamente giovane età, le rime di cuore-sole-amore- e volemose bene tutti, hanno alimentato in maniera impietosa il secco indifferenziato.

Se non fosse che i neuroni, sopravvissuti alla intera giornata e prossimi al riposo dei giusti, ad un certo punto, come un lampo improvviso che precede il tuono, si rianimano. A 2 a 2 i neuroni apparentemente in coma si ridestano, ringalluzziscono, colti da pruriginosa curiosità – quella che ti porta a stringere l’occhietto per meglio mettere a fuoco il musetto alla Arnold mentre dice “Che cavolo stai dicendo, Willis?!”, mentre le antenne si raddrizzano come le orecchie dei cani quando sentono un rumore che per gli umani resta impercettibile. 

Ecco lo scandalo, l’inaspettato colpo di scena, quello di cui nessun TG parlerà perché “noncelodicono” e potrebbe essere un messaggio in codice per quelli fermamente convinti che la terra è piatta. Senza giudizio, se me la indicassero, io mi affaccerei, tranquillamente. Con la stessa curiosità con cui mi sono affacciata per vedere l’aria che tirava sul palco di Sanremo.

Ho pensato che fosse già abbastanza sui generis il “non monologo” di Sabrina Ferilli, dove ho apprezzato, dopo lunga disanima delle cose di cui non avrebbe parlato, l’onestà intellettuale di non aver voglia di dissertare di cose per le quali occorrono delle competenze che non ha, a differenza dei tuttologi di cui tutti sappiamo. Ne ho apprezzato con compiacimento la risolutezza e la sagacia con cui ha concluso “ho scelto la strada della leggerezza. Che non è superficialità”. Applausi.

Per me poteva terminare qui l’esperienza sanremese e avrebbe portato a riflessioni a oltranza, sulla lievità e sulla profondità di non voler essere superficiali ma solo leggeri.

La tranvata, quella presa in pieno, è sopraggiunta con la maschera di Zorro che cavalca un immaginario destriero, sguaina in maniera improbabile e poco credibile la sua spada e alla domanda sul perché del travestimento risponde “Per tranquillizzare tutti quelli che avevano paura, – un uomo vestito da En travesti -, sicché mi sono travestita. Da Zorro.”

“En travestì”, qui bisogna andarci cauti, una batosta difficile da metabolizzare.

Una donna di mezza età, sembra un uomo, anzi lo è, ma ha le movenze e la grazia di una donna di classe, che stranezza, comunque….si muove con leggiadria, parla con ironia, intelligenza sopraffina, che facciamo? Ci sentiamo in colpa noi super fantastici credenti perché ci intriga un personaggio del genere? Pazienza, in fondo che male c’è, guardiamo ed ascoltiamo, mica frequentiamo. No?

Faremo a meno di qualche consenso diocesano ma la tentazione di vivere quest’onda di intrigante curiosità è troppo forte, troppo intensa, scandalosa.

E scandalo sia, Drusilla Foer, ti è riuscito davvero bene, il popolo acclama, l’amo è stato abboccato, la frittata è fatta. Qualche curiosa apparizione, qualche battuta ironica ma con sobrietà “si è fatta una certa”. Mentre scivola via con il suo guardaroba eccentrico, sopraffino, demodé o semplicemente classico, elegante, semplice, viene trattenuta o trattenuto, chi può dirlo, da un Amadeus che a stento è riuscito a mantenere il ruolo di co-protagonista, anche dopo l’uscita di scena di Drusilla.

Taglia corto con i preamboli ed esordisce con “Non voglio ammorbarvi a quest’ora con parole sulla fluidità, sull’integrazione, sulla diversità”. Sbadabam. Silenzio.

Ci sarà un “ma”, deve per forza esserci un “ma”, dopo tutto quello che è stato canzonato, detto, travisato, ironizzato e taciuto, cos’altro avrà mai da aggiungere?

Riprende la scena e il silenzio, con compostezza ed eleganza, rimodulando il tono della voce, all’uopo allenata nel timbro e nell’estensione, perché non sia troppo greve e non troppo farsata, facendo i conti con una tensione dettata dalla commozione, rivelandosi prima di ogni genere, un essere dotato di umanità, sensibilità, timidezza.

Riprende da “diversità”. “Diversità non mi piace perché ha in sé qualcosa di comparativo e una distanza che proprio non mi convince. Quando la verbalizzo sento sempre di tradire qualcosa che penso o sento.” E così ci inchioda a pensare, non alla diversità ma alla parola che ha un suo peso specifico e diversità è davvero divisoria, ghettizzante. Genera il conflitto tra una parte e l’altra, una normale ed una diversa, altra da noi, sempre che decidiamo di restare dalla parte del “normale”.

Scandalosa Drusilla.

E rivoluzionaria, sfacciatamente anticonformista, spudoratamente ribelle. E del resto se lo può permettere. Ci faremo perdonare anche questa alla cassa del confessionale con in mano la lista di peccati tra parole, opere e omissioni. Maldicenze, reticenze, giudizio.

“Ho cercato un termine per sostituire questa parola (diversità) e ne ho trovata una che mi convince: unicità. Unicità mi piace, piace a tutti, perché tutti noi sappiano notare l’unicità dell’altro e tutti noi pensiamo di essere unici. Ma non è per niente facile. Per capirlo, dobbiamo comprendere di cos’è fatta la nostra unicità, di cosa siamo fatti noi. I valori, le convinzioni, i talenti, però i talenti vanno allenati, seguiti, delle convinzioni bisogna avere le proprie responsabilità…”.

“E poi ci sono i dolori, le paure che vanno esorcizzate, le fragilità che vanno accudite, non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità, si tratta di un lavoro pazzesco. Come si fa a tenere insieme tutte queste cose? Io un modo l’avrei: si prendono per mano tutte le cose che ci abitano e si portano in alto, quelle brutte e quelle belle, si sollevano insieme a noi, alla luce del sole, e gridiamo “che bellezza, tutte queste cose sono io”. Sarà una figata pazzesca. E sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità, e a quel punto credo che sarà anche più probabile aprirsi all’unicità dell’altro e allontanarci da questo stato di conflitto che ci separa”.

Le convenzioni di cui tutti siamo fautori integralisti e convinti difensori vengono rapidamente, con un colpo di vento, soppiantate dalle Convinzioni.

Altro sbam.

Conclude con l’ultimo atto del suo intervento, ringraziando l’opportunità che ha avuto di falcare il palco ligure più conosciuto al mondo, ma rendendosi conto di non essere una star o una moda del momento, chiede che ci si soffermi al senso della sua presenza nei nostri soggiorni annoiati o non più. Se non fossimo stanchi del nostro inutile correre, protesteremmo vigorosamente, magari dopo lo spuntino di mezzanotte.

“Date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo insieme l’atto rivoluzionario, il più grande”

Gulp! Cosa vorrà mai da noi, assopiti e scomposti sul divano che a stento riusciremo a trascinarci a letto quando questo dannatissimo Sanremo avrà il buongusto di terminare?

“L’ascolto. Il più grande atto rivoluzionario che si possa fare oggi”

Ascoltate voi stessi, gli altri, le nostre unicità. Accogliamo il tutto, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convinzioni. Facciamo scorrere i pensieri in libertà, i sentimenti, e liberiamoci dalla prigionia dell’immoralità”. 

La morale, un’altra delle cose da appuntare e su cui riflettere.

Raffinatezza, eleganza, cultura, normalità (sembra dissacrante, lo so, magari lo è) di gradevole aspetto, gentile, garbata, educata, ironica, ha tutto con sé (anche qualcosa in più, le faceva notare una pungente quanto audace Iva Zanicchi). “Sì, sono colta”. Sbadabam.

E sulla cultura siamo ancora in grado di emozionarci, suggestionarci, ricominciare a credere che questo mondo possa diventare un posto migliore. Al cospetto della cultura le battute non fanno più sghignazzare e quel che ha da trasmettere Drusilla, diventa più urgente di quel che è scritto sulla sua carta di identità alla voce genere.

Con “non si può non amare Drusilla Foer”, Amadeus riprende il suo posto. Non saremo tutti d’accordo ma poco importa, la risolveremo in qualche modo parlando di Quirinale o strategia di guerra.

Per i buontemponi amanti del giudizio e dell’apologia, opinionisti di fama mondiale sugli usi, consuetudini, costumi e scostumatezze varie:  

travesti

s.m.inv. TEATR In uno spettacolo, parte maschile affidata a una donna, o femminile affidata a un uomo.

L’augurio per questo Carnevale è di travestirci tutti da persone uniche capaci di ascoltare.

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