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Sono solo sette giorni, ma sembrano sette anni

In futuro non voglio dover raccontare a mio figlio che sono fuggito. Nessun popolo scappando ha risolto i problemi del proprio paese

Il racconto telefonico di Mark, cittadino ucraino residente a Leopoli

«Da dove si inizia a parlare di una guerra?». È con queste parole che inizia la nostra intervista a Mark, cittadino ucraino che vive a Leopoli. La città vicina al confine polacco non è per il momento stata bombardata: «L’Ucraina è gigantesca, gli scontri sono più vicini al confine russo. Per il momento noi stiamo bene, ma si sente il vento di guerra. Ho pronta la valigia d’emergenza davanti alla porta. Se dieci giorni fa mi avessero detto quello che sarebbe successo probabilmente avrei riso loro in faccia».

La situazione nel paese è molto nitida nei racconti di Mark: «La maggior parte dei cittadini ucraini in questi momenti non sa nemmeno in che giorno della settimana siamo, ma solo che è il settimo giorno dall’invasione. Li contiamo così i giorni che passano, perché è questo quello che conta adesso. Non sembrano sette giorni, ma sette mesi, talmente sono intensi. Nessuna grande città è ancora stata presa completamente dai russi. Ora è tutto o bianco o nero: se prima i russi venivano chiamati amici, ora fai fatica a negare l’evidenza. Fai fatica a spiegare perché muore una bambina di nove anni».

Al momento a Leopoli i beni di prima necessità e i medicinali non scarseggiano. Tuttavia è stata proibita la vendita di alcolici. «Certo, la vita non è sicuramente quella di prima, e abbiamo il coprifuoco dalle 10 di sera alle 6 di mattina. E più andiamo verso est più aumentano i problemi, perché non sempre è facile far arrivare le medicine a chi ne ha bisogno».

Stando agli ultimi dati circa 830’000 cittadini hanno lasciato l’Ucraina, ma decine di migliaia di persone, soprattutto uomini, hanno anche fatto ritorno in patria, pronti per difenderla. «Noi nelle città in cui non ci sono scontri cerchiamo di fare ciò che possiamo. Collaboro con i volontari, stiamo dando alloggio gratis a chi ne ha bisogno, e mia moglie è un medico, e in caso di necessità è pronta ad aiutare» prosegue Mark.

E per quanto riguarda un possibile suo arruolamento, ci spiega che in pochi giorni le adesioni sono state più di 100’000. «Io purtroppo non ho esperienza militare, perché nella mia vita da imprenditore mi sono occupato di servizi IT e marketing. Dunque per il momento puntano su chi è più formato di me, ma vedremo poi in futuro. Io cerco di fare il mio dovere in altri modi, come far conoscere la situazione attuale all’estero con questa telefonata».

E alla domanda se non abbia mai pensato di scappare da un paese in guerra, nonostante il divieto di Kiev per tutti gli uomini maggiorenni, Mark esprime con la voce tremolante un grande senso di attaccamento alla propria terra: «Ho una famiglia, che in questo momento è composta da due persone, io e mia moglie, e se un giorno un mio ipotetico figlio tornerà a casa da scuola e mi dirà di aver studiato la guerra con la Russia del 2022, e mi chiederà dov’ero, non posso rispondergli che sono scappato. Ci sono dei momenti in questa vita che è meglio non perdere, perché quello che viene dopo è ancora peggio. Nessun popolo scappando ha risolto i problemi del proprio paese».

La notizia della Svizzera che si è esposta al mondo in favore dell’Ucraina, allineandosi alle sanzioni dell’Unione europea, ha fatto subito il giro del mondo. E la posizione elvetica è arrivata forte e chiara anche in Ucraina: «Ci tengo a sottolineare che per noi è stato un passo molto importante, perché abbiamo visto che un paese civile e democratico come la Svizzera, ma soprattutto neutrale, supporta l’Ucraina nel conflitto. La notizia ha avuto subito una grande eco tra i politici ma anche tra le persone comuni. Qui abbiamo sentito fortemente il vostro supporto. Ci ha fatto capire che siamo dalla parte giusta se perfino la Svizzera si è mobilitata».

Man mano che passano i minuti, il discorso vira sempre più sul conflitto vero e proprio. «La guerra non è iniziata una settimana fa, ma nel 2014 con la crisi della Crimea. Allora l’Ucraina si era sentita sola. È impensabile che ancora nel 2022 qualcuno possa bombardare una città in Europa, con l’idea di cancellare dei confini di altri paesi. L’Ucraina ha tanti problemi, ma è un paese libero, e pertanto cercheremo di risolverli al nostro interno, senza che nessuno venga a dirci cosa è giusto o sbagliato. Noi siamo cittadini europei come voi, ma purtroppo i vicini non te li puoi scegliere». 

Al settimo giorno di guerra i russi rimasti uccisi in Ucraina sono circa 6.000. «È un numero senza precedenti, e senza spiegazioni. Kharkiv è una grande città a 22 chilometri dal confine russo, e la più filorussa dell’Ucraina, inoltre parlano la stessa lingua. Alla seconda o terza generazione tutti i cittadini di Kharkiv hanno almeno un parente in Russia, ed è stata comunque bombardata. Utilizzano sistemi di artiglieria non controllata, e puntano ai quartieri residenziali, causando la morte di decine di persone, magari mentre andavano a prendere l’acqua. Non si può dire che la Russia sta colpendo solamente punti militari ucraini, stanno solo cercando di fare piazza pulita. In tutto questo Kharkiv resiste; pur combattendo contro persone che magari hanno le stesse origini. I loro nonni combattevano uniti contro la Germania. E ora un popolo “fratello” sta bombardando un altro popolo. Non so come usciremo da questa situazione».

Con Mark affrontiamo anche il discorso delle perdite umane, sia da una parte che dall’altra. «Quando muoiono gli uomini ucraini vengono schedati e poi seppelliti, uno per uno. I ragazzi russi non vengono nemmeno identificati perché non sappiamo i loro nomi. I corpi bruciati rimangono all’interno dei carri armati, che si trasformano in tombe di ferro. Noi non abbiamo tempo di estrarli e di seppellirli. Abbiamo chiesto l’intervento della Croce Rossa per darci una mano. E il portavoce del governo russo continua a ribadire che non ci sono perdite russe. Vediamo che sono ragazzini ventenni che hanno magari un paio di mesi di esperienza militare, e che sono venuti in Ucraina a combattere perché è stato detto loro che in pochi giorni avrebbero preso Kiev e che li stavano aspettando. Mi fa molto male pensare che un ragazzo possa morire in mezzo alle steppe ucraine, ma mi fa ancora più male sapere che l’hanno ingannato».

In questi ultimi giorni, tra un bombardamento e l’altro, si parla anche di negoziati: «Quando si parla non si spara. Ogni negoziato è una possibilità di fermare almeno per qualche ora i bombardamenti, e quindi far scappare le persone. Ma il negoziato ha senso solo se si vuole arrivare a un accordo».

Fonte: Alessandra Ferrara Biondo – Ticinonline

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