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Diffondere una cultura di pace forte e tenera

Il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, si è schierato con Putin vantando i sacri valori della Russia cristiana contro il decadimento morale dell’Occidente, affermando tra l’altro: “Giusto combattere, è una guerra contro i modelli delle parate gay.”

Non voglio soffermarmi su quanto possiamo essere d’accordo sul crepuscolo di un certo cristianesimo strutturatosi nei secoli in Europa e che sta abbandonando faticosamente forme e linguaggi non più comprensibili alle persone che vivono in Europa, e sulla scarsa forza attrattiva della testimonianza evangelica di noi cristiani occidentali. Su questo, papa Francesco ha indetto per tutta la Chiesa un Sinodo che sta cercando innanzitutto di rimettere al centro l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto di tutti gli uomini e donne del nostro tempo: non solo cattolici praticanti, non solo cristiani di diverse tradizioni, non solo persone di altre fedi, ma tutti, proprio tutti. Perché al centro vi è una basilare verità, ancora tutta da scoprire: siamo “fratelli tutti”.

Se è vero che a distanza di duemila anni facciamo ancora tanta fatica a comprendere il valore della fratellanza umana, l’intervento del patriarca russo si pone in modo a dir poco imbarazzante su questo processo/tentativo in atto. Le sue parole addormentano e addomesticano le coscienze e diventano perciò forse più gravi delle censure di Putin e più pericolose delle pallottole dei Kalashnikov, perché mirano dritto al cuore dell’uguaglianza fra gli esseri umani e ne giustificano la morte.

Nella storia dell’umanità spesso, purtroppo, tante atrocità sono state commesse in nome di una religione, che pensava di difendere la morale del suo dio.

In passato e al presente persone di religione benedicono armi e uomini, mandati al macello convinti della propria “guerra giusta”.

Speravamo tutti che questo fosse un passato per il quale non ci restava altro che chiedere perdono e farne motivo di elevazione culturale, spirituale, umana…, ma le parole del patriarca di Mosca risuonano come il boato di una granata che lacera l’animo di ogni uomo di fede che crede nel vangelo e mina fortemente il già difficile cammino ecumenico.

«Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada». (Mt. 26, 52); «Ma a voi che mi ascoltate io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano». (Mt.5,27); «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati». (Lc 6, 36). Sono solo alcune tra le tante citazioni evangeliche che dovrebbero spingere tutte le confessioni cristiane a considerare la guerra una pazzia e a condannare – senza “se” e senza “ma” – una qualsiasi azione violenta.

Da queste brevi considerazioni una proposta.

È giunta l’ora in cui dovremmo tutti – uomini e donne cristiane – nel nome del vangelo a cui attingiamo le “parole di vita” e non di morte, dovremmo tutti, con forza, diffondere una cultura della pace che si ponga “fortemente e teneramente” in alternativa agli eserciti e alla guerra. Dovremmo tutti elaborare, nel caso di un attacco bellico, una sorta di «difesa popolare nonviolenta» e fissarla nei libri di scuola, arruolando ad essa un esercito fatto soprattutto di donne – maestre, nonne, mamme scappate coi figli da paesi devastati da bombe e mine – e da persone che portano nel corpo e nell’anima le ferite della violenza subita, quale migliore antidoto all’ideologia della “guerra giusta” o “santa”. I primi a dover frequentare questa ‘scuola primaria” dovrebbero essere gli uomini chiamati a ruoli di responsabilità nelle Chiese e nella società civile.

La cultura e la pratica della non-violenza è per ora snobbata dalla quasi totalità dei politici, compresi molti cristiani e cattolici. Forse perché si pensa che la non-violenza sia sinonimo di passività e sia utopistica per la risoluzione di conflitti. La storia invece ci insegna che i grandi nonviolenti non sono stati per nulla passivi, ma hanno scritto pagine magnifiche sulla base di un coraggio a mettere a rischio la propria vita forse maggiore di chi va imbracciare un fucile (come non pensare al grande movimento di liberazione suscitato da Gandhi…?). Tragico è, invece, il persistere della mentalità che solo eserciti e guerra siano adeguati alla soluzione di controversie internazionali.

Ho l’impressione, dopo le affermazioni del capo della chiesa russa, che i ricchi paramenti liturgici non gli servano ad altro che coprire le connivenze di uomo asservito al potere e ai suoi privilegi; e il prezioso copricapo sia il prolungamento del vuoto che si sta venendo a creare tra i vertici di quella chiesa che lui rappresenta e la maggioranza del “sentire religioso” più profondo del popolo russo che non può ammettere ancora oggi che, in nome di una sbandierata verità di facciata, dei loro figli – i loro soldati – e quelli di un popolo con tanti legami debbano assurdamente morire o procurare morte. Chi vivrà vedrà. Nel frattempo lavoriamo per la costruzione di una cultura della pace nonviolenta…”Beati i costruttori di pace!”

Don Pasquale Trani

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