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La preghiera del credente e quella del non credente si incontrano, diventano invocazione e impegno a tenere viva la speranza.

“Un paese in ginocchio” è titolo ricorrente per descrive la tragedia ucraina, raccoglie in un’immagine infinite altre. Proprio per questo motivo gli si affianca un altro titolo “In ginocchio di fronte a un Paese”. Dentro un apparente gioco di parole ci sono due verità che si incontrano e si fondono

“In ginocchio di fronte a un Paese” è la postura di quanti osservano e interiorizzano, grazie al lavoro coraggioso degli uomini e delle donne dei media, quello che sta avvenendo.

Nella postura c’è un balbettio, c’è il grido di chi ha il nodo alla gola nel guardare i volti straziati dal dolore di famiglie, di bambini, donne e anziani. Di fronte al volto di chi, dato un bacio ai figli e alla moglie, rimane o ritorna per difendere il proprio Paese ben sapendo quale rischio questo comporti.

A questi volti si affiancano quelli dei giovani militari russi, ignari complici di un’aggressione, e quelli di cittadini russi che sulle piazze vengono arrestati perché si oppongono alla follia.

“In ginocchio di fronte a un Paese” diventa uno stare in preghiera sia per chi crede sia per chi non crede.

Nella diversità, le due posture dicono che c’è qualcosa che le accomuna: gettare un popolo nella disperazione significa derubarlo dell’anima e della ricerca di Infinito. Un intollerabile furto a tutta l’umanità, un atto violento che spegne il pensiero, straccia i sogni, uccide il futuro.

Scrive ne “I demoni” Fëdor Dostoevskij: “Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande essi non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperazione”. Non sarebbero più uomini.

Terribile disegno che in Ucraina si sta concretizzando dietro tante morti innocenti, tanti pianti, tante macerie.

La preghiera del credente e quella del non credente si incontrano, diventano invocazione e impegno a tenere viva la speranza.

Per ogni uomo pensante la preghiera è infatti come una bussola che guida i passi su strade avvolte nella nebbia.

La bussola è uno strumento prezioso ma non basta per raggiungere la meta. Una poesia di David Maria Turoldo lo ricorda: “Ragione non vale a rispondere alle paure che incombono: sensi e pensieri e propositi fanno un solo groviglio: se tu non accendi il tuo lume, Signore.”

Stare “in ginocchio di fronte a un Paese” come l’Ucraina è condivisione di dialoghi tra fratelli e dei fratelli con il Padre, è invocazione per liberare dall’angoscia, è un grido potente alle orecchie dei superbi. È un balbettare – perché un nodo serra la gola – che la speranza non è l’ultima a morire, non muore. Ha bisogno delle mani dell’uomo per uscire dalle macerie.

Fonte: Paolo Bustaffa – Sir

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