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Prima catechesi di Quaresima 2022 di p. Raniero Cantalamessa

Sono riprese le belle catechesi di p. Raniero Cantalamessa dalla Sala Paolo VI di Roma con un tema che ci sta proprio tutto a cuore: la SS. Eucaristia. L’Eucaristia è al centro di ogni tempo liturgico, è ciò che celebriamo ogni giorno, è la Pasqua quotidiana. Ogni piccolo progresso nella sua comprensione si traduce in un progresso nella vita spirituale della persona e della comunità ecclesiale. Per questo va sempre riscoperto e mantenuto vivo  “lo stupore eucaristico”.

L’Eucaristia è la presenza nella storia dell’evento che ha rovesciato per sempre i ruoli tra vincitori e vittime. Sulla croce Cristo ha fatto della vittima il vero vincitore: “Vincitore perché vittima” (sant’Agostino).

L’Eucaristia ci offre la vera chiave di lettura della storia. Ci assicura che Gesù è con noi, non solo intenzionalmente, ma realmente in questo nostro mondo che sembra sfuggirci dalle mani da un momento all’altro. E Gesù ci ripete: “Abbiate coraggio: Io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33).

L’Eucaristia nella storia della salvezza non occupa un posto, ma la occupa tutta! L’Eucaristia è co-estensiva alla storia della salvezza. Essa, però, è presente in tre modi diversi, nei tre diversi tempi, o fasi, della salvezza: è presente nell’Antico Testamento come figura; è presente nel Nuovo Testamento come evento ed è presente nel tempo della Chiesa come sacramento. La figura anticipa e prepara l’evento, il sacramento “prolunga” e attualizza l’evento.

Nell’AT l’Eucaristia è presente “in figura”. Una di queste figure era la manna, un’altra il sacrificio di Melchisedek, un’altra ancora il sacrificio di Isacco. In quanto figure dell’Eucaristia, san Tommaso chiama questi riti “i sacramenti dell’antica Legge”. Con la venuta di Cristo e il suo mistero di morte e risurrezione, l’Eucaristia non è più presente come figura, ma come evento, come realtà. Lo chiamiamo “evento” perché è qualcosa di storicamente accaduto, un fatto unico nel tempo e nello spazio, avvenuto una volta sola e irripetibile: Cristo “una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” (Eb 9, 26). Infine, nel tempo della Chiesa, l’Eucaristia è presente come sacramento, cioè nel segno del pane e del vino, istituito da Cristo. È importante che comprendiamo bene la differenza tra l’evento e il sacramento: in pratica, la differenza tra la storia e la liturgia. Ci facciamo aiutare da sant’Agostino: “Noi – dice il santo dottore – sappiamo e crediamo con fede certissima che Cristo è morto una sola volta per noi, lui giusto per i peccatori, lui Signore per i servi. Sappiamo perfettamente che ciò è avvenuto una sola volta; e, tuttavia, il sacramento periodicamente lo rinnova, come se si ripetesse più volte quello che la storia proclama essere avvenuto una sola volta. Eppure evento e sacramento non sono tra loro in contrasto, quasi che il sacramento sia fallace e solo l’evento sia vero. Infatti, di ciò che la storia afferma essere accaduto, nella realtà, una sola volta, di questo il sacramento rinnova spesso la celebrazione nel cuore dei fedeli. La storia svela ciò che è accaduto una volta e come è accaduto, la liturgia fa sì che il passato non sia dimenticato; non nel senso che lo fa accadere di nuovo, ma nel senso che lo celebra. La Messa rinnova l’evento della croce celebrandolo (non reiterandolo!) e lo celebra rinnovandolo (non soltanto ricordandolo!). La parola, nella quale si realizza oggi il maggior consenso ecumenico, è forse il verbo (usato anche da Paolo VI, nell’enciclica Mysterium fidei) rappresentare, inteso nel senso forte di ri-presentare, cioè rendere nuovamente presente. In questo senso, diciamo che l’Eucaristia “rappresenta” la croce.
Secondo la storia, c’è stata, dunque, una sola Eucaristia, quella realizzata da Gesù con la sua vita e la sua morte; secondo la liturgia, invece, cioè grazie al sacramento, ci sono tante Eucaristie quante se ne sono celebrate e se ne celebreranno fino alla fine del mondo. L’evento si è realizzato una sola volta, il sacramento si realizza “ogni volta”. Grazie al sacramento dell’Eucaristia noi diventiamo, misteriosamente, contemporanei dell’evento; l’evento si fa presente a noi e noi all’evento.

Nei primissimi giorni della Chiesa, la liturgia della Parola era distaccata dalla liturgia eucaristica. I discepoli, riferiscono gli Atti degli Apostoli, “ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio”; lì ascoltavano la lettura della Bibbia, recitavano i salmi e le preghiere insieme con gli altri ebrei; facevano quello che si fa nella liturgia della Parola; quindi si riunivano a parte, nelle loro case, per “spezzare il pane”, cioè per celebrare l’Eucaristia (cf At 2, 46). Ben presto però questa prassi divenne impossibile sia per l’ostilità nei loro confronti da parte delle autorità ebraiche, sia perché ormai le Scritture avevano acquistato per essi un senso nuovo, tutto orientato a Cristo. Fu così che anche l’ascolto della Scrittura si trasferì dal tempio e dalla sinagoga ai luoghi di culto cristiani, prendendo a poco a poco la fisionomia dell’attuale liturgia della Parola che precede la preghiera eucaristica. Nella descrizione della celebrazione eucaristica fatta da san Giustino nel II secolo, non solo la liturgia della Parola è parte integrante di essa, ma alle letture dell’Antico Testamento si sono affiancate ormai quelle che il santo chiama “le memorie degli apostoli”, cioè i Vangeli e le Lettere, in pratica il Nuovo Testamento. Ascoltate nella liturgia, le letture bibliche acquistano un senso nuovo e più forte di quando sono lette in altri contesti. Non hanno tanto lo scopo di conoscere meglio la Bibbia, come quando la si legge a casa o in una scuola biblica, quanto quello di riconoscere colui che si fa presente nello spezzare il pane, di illuminare ogni volta un aspetto particolare del mistero che si sta per ricevere. Questo appare, in modo quasi programmatico, nell’episodio dei due discepoli di Emmaus. Fu ascoltando la spiegazione delle Scritture che il cuore dei discepoli cominciò a sciogliersi, sicché furono poi capaci di riconoscerlo “allo spezzare del pane” (Lc 24, 1 ss.). Quella di Gesù risorto fu la prima “liturgia della parola” nella storia della Chiesa! Nella Messa le parole e gli episodi della Bibbia non sono soltanto narrati, ma rivissuti; la memoria diventa realtà e presenza. Ciò che avvenne “in quel tempo”, avviene “in questo tempo”, “oggi”, come ama esprimersi la liturgia. Noi non siamo soltanto uditori della parola, ma interlocutori e attori in essa. È a noi, lì presenti, che è rivolta la parola; siamo chiamati a prendere noi il posto dei personaggi evocati. Ad esempio nell’episodio di Dio che parla a Mosè dal roveto ardente, noi siamo, nella Messa, davanti al vero roveto ardente… Un’altra volta si parla di Isaia che riceve sulle labbra il carbone ardente che lo purifica per la missione: noi stiamo per ricevere sulle labbra il vero carbone ardente, il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra… Ezechiele è invitato a mangiare il rotolo degli oracoli profetici: noi ci apprestiamo a mangiare colui che è la parola stessa fatta carne e fatta pane. E così anche quando passiamo dall’Antico al Nuovo Testamento. Ad esempio:  la donna che soffriva di emorragia è sicura di essere guarita se riuscirà a toccare il lembo del mantello di Gesù. Che dire di noi che stiamo per toccare ben più che il lembo del suo mantello? Oppure le parole rivolte a Zaccheo sono rivolte a me, a te, a noi: “Oggi devo venire a casa tua”; “È andato ad alloggiare da un peccatore!”, “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (cf Lc 19, 9). Come non identificarsi nella Messa con il paralitico al quale Gesù dice: “I tuoi peccati ti sono rimessi” e “Alzati e cammina” (cf Mc 2, 5.11); con Simeone che stringe tra le braccia il Bambino Gesù (cf Lc 2, 27-28); con Tommaso che tocca le sue piaghe (Gv 20, 27-28)? Nella seconda domenica del Tempo Ordinario del corrente ciclo liturgico c’è il brano evangelico in cui Gesù dice all’uomo dalla mano paralizzata: “Tendi la mano! Egli la tese e la sua mano fu guarita” (Mc 3,5). Noi non abbiamo la mano paralizzata; però abbiamo tutti, chi più chi meno, l’anima paralizzata, il cuore inaridito. È a chi ascolta che Gesù dice in quel momento: “Stendi la tua mano! Stendi il tuo cuore davanti a me, con la fede e la prontezza di quell’uomo”.
La Scrittura proclamata durante la liturgia produce degli effetti che sono al di sopra di ogni spiegazione umana, alla maniera dei sacramenti che producono quello che significano. I testi divinamente ispirati hanno anche un potere di guarigione. Dopo la lettura del brano evangelico nella Messa, la liturgia invitava un tempo il ministro a baciare il libro dicendo: “Le parole del Vangelo cancellino i nostri peccati”. Nel corso della storia della Chiesa eventi epocali sono accaduti come risultato dell’ascolto delle letture bibliche durante la Messa. Un giovane udì un giorno il brano evangelico dove Gesù dice a un giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Quindi vieni e seguimi” (cf Mt 19, 21). Capì che quella parola era rivolta a lui personalmente, perciò andò a casa, vendette tutto quello che aveva e si ritirò nel deserto. Il suo nome era Antonio, l’iniziatore del monachesimo. Molti secoli dopo, un altro giovane, da poco convertito, entrò in una chiesa con un suo compagno. Nel Vangelo del giorno Gesù diceva ai suoi discepoli: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche” (Lc 9, 3). Il giovane si voltò verso il suo compagno e disse: “Hai sentito? Questo è ciò che il Signore vuole che facciamo anche noi”. Cominciò così l’Ordine francescano. La liturgia della Parola è la migliore risorsa che abbiamo per fare ogni volta, della Messa, una celebrazione nuova e attraente, evitando così il grande pericolo di una ripetizione monotona che specialmente i giovani trovano noiosa. Perché questo si realizzi, dobbiamo investire più tempo e preghiera nella preparazione dell’omelia. I fedeli dovrebbero poter capire che la parola di Dio tocca le situazioni reali della vita ed è l’unica ad avere risposte alle domande più serie dell’esistenza.

Ci sono due modi di preparare una omelia. Uno può sedersi a tavolino e scegliere il tema in base alle proprie esperienze e conoscenze; quindi, una volta preparato il testo, mettersi in ginocchio e chiedere a Dio di infondere lo Spirito nelle proprie parole. È una cosa buona, ma non è un modo profetico. Per essere profetici bisognerebbe seguire la via inversa: prima mettersi in ginocchio e chiedere a Dio qual è la parola che vuole far risuonare per il suo popolo.

Dio infatti ha una sua parola per ogni occasione e non manca di rivelarla al suo ministro che gliela chiede umilmente e con insistenza. All’inizio non si tratterà che di un piccolo moto del cuore, una lucina che si accende nella mente, una parola della Scrittura che attira l’attenzione e che getta luce su una situazione vissuta. Non si tratta, all’apparenza, che di un piccolo seme, ma contiene quello che la gente ha bisogno di ascoltare in quel momento.

Dopo ciò uno può sedersi a tavolino, aprire i propri libri, consultare appunti, raccogliere e ordinare i propri pensieri, consultare i Padri della Chiesa, i maestri, a volte i poeti; ma ora non è più la parola di Dio che è al servizio della tua cultura, ma la tua cultura a servizio della parola di Dio. Solo così la Parola manifesta il suo intrinseco potere.

(continua sul prossimo numero)

di Angela Di Scala

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