Papa Francesco non ama la definizione “cammino sinodale”, perché ritiene che sia una tautologia, preferisce definirlo “Percorso sinodale”. Il Sinodo è l’evento più importante dopo il Concilio Vaticano II, forse più importante di un concilio, perché la Chiesa universale è coinvolta tutta: il popolo Santo di Dio, il collegio dei Vescovi, il Papa. E si snoda attraverso l’imprimatur, che è il permesso concesso dall’autorità ecclesiastica per opere direttamente o indirettamente attinenti alla religione, la collegialità, che rappresenta la totalità dei membri della chiesa ed infine la sinodalità, ovvero il camminare insieme.
Sinodo vuol dire camminare insieme. Allora bisogna provare a farsi un’idea di cosa ciò significhi per noi. Anche perché questo è l’obiettivo di Papa Francesco dal giorno della sua elezione a vescovo di Roma. Infatti quella sera del 2013 lui non disse che i suoi fratelli cardinali lo avevano scelto come papa, ma disse che lo avevano scelto quale nuovo vescovo di Roma.
E parlò di sinodalità: “E adesso, – disse – incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella città tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. Dunque la parola cammino è lì, ripetuta tre volte. Cammino di fratellanza, ma tra chi? Francesco non parlava ai sacerdoti di Roma, non parlava ai consacrati, parlava ai battezzati. In piazza c’era “il popolo di Dio in cammino”. Tutti, sacerdoti e laici cattolici.
Dunque la Chiesa sinodale è una Chiesa non clericale, non è una Chiesa dove il celebrante, dando le spalle ai fedeli, li guida verso la verità. No, è una Chiesa dove il sacerdote, insieme ai fedeli, celebra con loro e con loro ricostruisce una mensa comune. Il sinodo che noi conosciamo invece è il sinodo dei vescovi, istituito tra enormi resistenze dal Concilio Vaticano II, ma tenuto come strumento consultivo del papa. Dunque i vescovi come consultori del papa.
Ma Paolo VI sapeva che questo era una novità per la Chiesa gerarchica, piramidale e clericale, un esordio del cammino verso la Chiesa sinodale, cioè Chiesa in uscita, non rinchiusa in sé stessa e nella sua gerarchia. Infatti con linguaggio tutto nuovo definì questo sinodo (strumento che dovette accettare consultivo) “segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale”. Siamo a un cambio di paradigma: dal paradigma “Gesù, apostoli, popolo di Dio”, si passò a “Gesù, Papa, vescovi” e ora si torna verso il paradigma d’origine.
Il Documento preparatorio e il Vademecum presentate dalla Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi sono guide indicative che servono per iniziare il cammino sinodale, ma la guida principale è lo Spirito Santo.
Il Sinodo non è qualcosa in più da fare ma è una sfida da mettere in atto.
Il senso del Sinodo è l’ascolto del popolo di Dio. Ascolto vuol dire dare tempo ad una persona e, dare tempo vuol dire dare importanza ad una persona. Scopo del sinodo è l’occasione per la Chiesa di ristabilire nella Chiesa le relazioni interrotte e faticose per vari motivi soprattutto per la pandemia. Anche gli organismi di partecipazione e comunione esistenti sono a volte sprecati perché hanno solo una funzione consultiva. È un ‘occasione per avviare un processo di crescita e cambiamento.
Al sinodo non dobbiamo chiedere delle risposte ma dobbiamo chiedere di far maturare in noi più domande. Le domande non sono: Come fare? Cosa Fare? Ma perché fare? Perché facciamo queste cose? Perché la parrocchia? Perché il sacerdote? Dobbiamo cercare la dimensione di sostanza e non solo la funzionalità. È un tempo questo di discernimento.
A cosa serve, dunque, un sinodo sulla sinodalità? La differenza tra sinodo e cammino sinodale è questa. Il sinodo dalla Chiesa Universale è un atto gerarchico normato che porta a creare un documento. Cammini sinodali sono processi diffusi non normati, non formali che servono per ritessere un discernimento comunitario. Quello del Sinodo non è un sogno individuale ma comunitario ed è l’inizio di un processo spirituale. Pertanto la sinodalità non è un evento, ma è un vero e proprio stile evangelico.
Cristo è il sole, e la Chiesa è la luna e la luna c’è anche quando non la vediamo.
Anche la tradizione deve essere dinamica, deve essere un atto sovversivo, un processo per custodire non il guscio ma la sostanza.
Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca e non un’epoca di cambiamenti.
Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi.
Tutto questo è al centro del confronto ecclesiale oggi.
di Maria Anna Verde