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Sinodo: il cambiamento dello sguardo

L’Equipe Sinodale Diocesana Incontra le Parrocchie

Premessa
Questo Sinodo sarà il più lungo nella durata (2021-2023), il più vasto nel coinvolgimento, il più nuovo nelle modalità; Sinodo straordinario a tutti gli effetti, tanto da non avere un argomento fuori di sé: il suo oggetto-la Sinodalità-è anche il suo metodo.

Parole chiave: COMUNIONE-PARTECIPAZIONE-MISSIONE.

Un Sinodo sulla Sinodalità ci fa soffermare e riflettere anche sul tema del CAMBIAMENTO – termine di origine gallica che nella sua etimologia greca -Kambein- curvare, piegare, girare intorno, nasconde il senso profondo di un bisogno interiore di crescita, che implica una necessità di trasformazione senza nostalgie.  Occorre acquisire uno sguardo che sia rivolto al cielo, uno sguardo che sia in grado di posarsi sulle persone in modo benevolo che sia sempre un invito a rialzarsi, ad avere coraggio.

Tutti noi viviamo un tempo singolare e complesso e per entrare in contatto dobbiamo acquisire uno sguardo prospettico, profetico, che non evita né il discernimento severo né l’eventuale necessaria riprovazione. Questo significa che ci sono sguardi che appartengono a tutti noi che vanno radicalmente ribaltati. Ci sono strabismi dell’anima da cercare e perseguire, perché solo uscendo dal modo comune di vedere si arriva alla verità dell’essere.

Il nostro tempo così pieno di contraddizioni spesso ci spaventa e la paura paralizza, incessantemente invece dobbiamo ricercare i motivi per credere e sperare e mostrarli nella testimonianza, ricordando che il Vangelo è sempre più grande dei discepoli che l’accolgono e lo diffondono. La verità della realtà è raggiungibile solo se consideriamo la possibilità di conoscere lo sguardo di Dio sulla realtà medesima. Il tema di una lettura teologica della storia è un tema di orizzonte che salva dall’autoreferenzialità.

Noi tutti, nessuno escluso, amiamo molto certe radicate convinzioni, che ci fanno sentire sicuri, dalla parte dei fortunati, o giustificano la nostra indifferenza e questo pensiero deformato ce lo portiamo nelle nostre case, nei posti di lavoro, nelle parrocchie, nelle relazioni con gli altri e così facilmente dai preconcetti passiamo ai pregiudizi e precipitiamo nel baratro degli stereotipi inamovibili e castranti.

Occorre imparare a volerci bene, ad amarci talmente tanto da riuscire a regalarci uno sguardo libero da qualunque giudizio impietoso; occorre cambiare le prospettive di valutazione e rinfrescare i criteri dei nostri approcci al reale; bisogna reimparare l’arte preziosa del DISCERNIMENTO, del SILENZIO, dell’ASCOLTO vero e del PARLARE CHIARO e del parlare solo quando è necessario e costruttivo senza conformazione acritica ai pensieri altrui, abbandonando tra i ruderi delle cose passate la paura di mettersi in discussione e di esporsi al pensiero dell’altro.

Nell’ascolto reciproco ciascuno ha qualcosa da imparare. La fragilità nostra personale e delle comunità in cui viviamo vanno riconosciute come il luogo più vero del compiersi della bellezza divina. Nella vita ordinaria di ciascuno di noi, il fatto di censurare il Vangelo diviene causa per cui la convivenza tra le persone ha perso il suo fondamento.

Il Sinodo è un tempo di grazia, una occasione generosa per attuare e accogliere questo cambiamento, una occasione per ragionare sul NOI plurale, non con un appello alla buona volontà che potrebbe avere i caratteri della precarietà in quanto soggetta al mutare della sensibilità comune, ma come ritorno al fondamento teologico del vivere insieme.

Ecco dunque che il cambiamento dello sguardo implica un mutamento del modo di agire e l’impegno deve essere rivolto ad attuare un processo invisibile che deve mirare al camminare insieme. Papa Francesco afferma che il nostro tempo, più che un’epoca di cambiamento, sta sperimentando un vero e proprio cambiamento d’epoca.

È tempo di fare spazio e di accogliere mutamenti antropologici, revisione del linguaggio e alterità che più di ogni altra cosa scombina le nostre visioni del mondo e ci spinge a migliorarle. La Chiesa e i cristiani devono stare in campo aperto, devono abbandonare le acque calde della riva e affrontare il mare aperto; questa società è la nostra società, quella in cui Dio ci ha posti per realizzare il massimo in termini di bene e di amore per poter contribuire a questo radicale cambiamento e inversione di rotta.

Sotto una certa chiave di lettura, la sinodalità e la familiarità sono stili convergenti, approcci che chiamano a vivere processi di dialogo, confronto e decisione sapendo mettere insieme l’orizzontale e la verticalità dei nostri rapporti. L’intenzione del processo sinodale è anzitutto, quella di dar voce a chi di solito si trova ai margini della vita ecclesiale.

Quando pensiamo alle “periferie”, non si deve pensare solo alle periferie fuori, prestiamo occhio attento a quelle dentro, guardiamo, ascoltiamo e mettiamo al centro le periferie delle e nelle Chiese. Il Sinodo è l’occasione per convertirci dagli irrigidimenti ideologici che si sono sedimentati nella nostra storia recente e che stanno allontanando molti dalla chiesa.

Con urgenza siamo chiamati come generazione di battezzati a sopperire ad una carenza, è mancata una educazione alla corresponsabilità di tutto il popolo di Dio, nel quale vescovi e presbiteri sono venuti a concentrare tutte le funzioni ministeriali, delegate all’occorrenza, occasionalmente e per supplenza. Una chiesa comunione, realtà complessa, dove carismi e ministeri delle persone battezzate vengono riconosciuti e rappresentati nei luoghi di riflessione teologica e di decisione, è l’antidoto al clericalismo che impoverisce la comunione e genera tanta solitudine, anche in coloro che sono investiti di potere.

La testimonianza della comunione è parte integrante della missione evangelizzatrice. Una Chiesa che non testimonia l’accoglienza della comunione non può evangelizzare. Disperde, scandalizza e viene vanificato ogni annuncio. Annunciare il Vangelo non è proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione e per testimonianza. Nel nostro viaggio lo Spirito del Signore ci accompagna, ci guida, ci precede, ci prepara la strada, lavora i cuori.

Lo Spirito Santo, dice Papa Francesco, è la forza divina che cambia il mondo. Entra nelle situazioni e le trasforma; cambia i cuori e cambia le vicende. Lo Spirito sblocca gli animi sigillati dalla paura. Vince le resistenze. Fa camminare chi si sente arrivato. Non rivoluziona la vita intorno a noi. Ma cambia il nostro cuore. È necessario che l’uomo riscopra il valore fondamentale dell’umiltà, del riconoscersi fragile e per questo bisognoso di camminare insieme agli altri.

Le parrocchie devono essere all’altezza dei tempi hanno il compito di far sentire le persone a casa, rappresentano l’agire concreto della Chiesa, i laici che frequentano la parrocchia si devono ritrovare in questa casa comune per adorare il Signore, per attingere forza, per imparare ad evangelizzare il mondo esterno.

Abbiamo bisogno in ultima analisi di parrocchie desiderose di interagire con i problemi di tutti, di appassionarsi alle questioni di ciascuno e capaci di mettersi a servizio di sforzi comuni, condividendo la comune preoccupazione educativa e favorendo quelle reti di sostegno dei più fragili, dell’ambiente e della legalità.

La parrocchia non propone la cura esclusiva delle proprie cose, ma la gratuità di un impegno libero e appassionato a fianco degli uomini del nostro tempo.

di Pina Trani – Referente dell’Equipe Sinodale Diocesana

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